Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 43048 del 14/05/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 43048 Anno 2015
Presidente: NAPPI ANIELLO
Relatore: MICCOLI GRAZIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
D’ERCHIA SALVATORE N. IL 24/05/1953
avverso l’ordinanza n. 11/2015 TRIB. LIBERTA’ di TARANTO, del
06/03/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GRAZIA MICCOLI;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 14/05/2015

Il Procuratore Generale della Corte di Cassazione, dott. Mario Maria Stefano PINELLI, ha
concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Per il ricorrente, l’avv. Pietro PUTIGNANO ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 5 marzo 2015 il Tribunale di Taranto ha rigettato l’istanza di riesame
proposta da Salvatore D’ERCHIA avverso il decreto (di perquisizione e) di sequestro probatorio
di beni mobili (“attrezzature e giacenze di magazzino”) emesso dal Pubblico Ministero in data

distrazione di cui agli artt. 110 cod. pen, 216 comma 1 n. 1, 219 comma 2 n. 1 e 223 R.D.
267/1942, per avere.
2. Con atto sottoscritto dal suo difensore ha proposto ricorso per cassazione l’indagato,
deducendo i due seguenti motivi.
2.1. Vizio di motivazione in relazione all’art. 324 cod. proc. pen..
Si contesta in particolare l’assunto del Tribunale che ha richiamato i principi giurisprudenziali
secondo i quali, in tema di sequestro probatorio, il sindacato del giudice del riesame non può
investire la concreta fondatezza dell’accusa, ma è circoscritto alla verifica dell’astratta
possibilità di sussunnere il fatto in una determinata ipotesi di reato e al controllo circa la
qualificazione dell’oggetto sequestrato come “corpus delicti” e, quindi, all’esistenza di una
relazione di immediatezza tra il bene stesso e l’illecito penale
Il ricorrente, quindi, sostiene la carenza nel caso in esame del

fumus commissi delicti,

rappresentando che i beni strumentali sequestrati erano stati da lui legittimamente non
restituiti quale “corrispettivo del risarcimento dei danni” in conseguenza di risoluzione di
contratto di affitto di ramo di azienda. Parte di quei beni, peraltro, erano stati pagati, come
comprovato da documenti, fatture e bolle di accompagnamento, prodotti in sede di riesame.
Deduce, quindi, una serie di elementi che confuterebbero la fondatezza dell’ipotesi accusatoria.
2.2. Violazione di legge in relazione alla sussistenza delle esigenze probatorie.
Il ricorrente sostiene che comunque non sono indicate nel decreto del Pubblico Ministero quali
siano le esigenze probatorie cui è finalizzato il sequestro.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
1. Manifestamente infondato è il primo motivo.
Dalla motivazione del provvedimento impugnato si evince che il Tribunale ha fornito esaustiva
e logica risposta alle deduzioni difensive sviluppate nella richiesta di riesame, analizzandole
sulla base della documentazione acquisita agli atti.
Tanto premesso, si deve rilevare che la dedotta censura concernente il difetto del fumus dei
reati ipotizzati risulta con evidenza destituita di ogni fondamento, giacché, come è dato
rilevare dalla semplice lettura del provvedimento impugnato, i fatti storici risultano
2

14 gennaio 2015, indagato, in concorso con altri soggetti, per bancarotta patrimoniale per

compiutamente descritti.
Secondo la consolidata e qui condivisa giurisprudenza di questa Corte, in sede di riesame del
sequestro probatorio, il Tribunale è chiamato a verificare l’astratta sussistenza del reato
ipotizzato, considerando il “fumus commissi delicti” in relazione alla congruità degli elementi
rappresentati e, quindi, della sussistenza dei presupposti che giustificano il sequestro (Sez. 5,
n. 24589 del 18/4/2011, Misseri, Rv. 250397; Sez. 3, n. 33873 del 7/4/2006, Moroni, Rv.
234782; Sez. 2, n. 44399 del 27/9/2004, Rosellini ed altro, Rv. 229899; Sez. 6, n. 12118 del
27/1/2004, Piscopo, Rv. 228227; Sez. 3, n. 19766 del 25/2/2003, Conventi, Rv. 224882; Sez.

sequestro non deve essere effettuata nella prospettiva di un giudizio di merito sulla fondatezza
dell’accusa, quanto, piuttosto, con riferimento all’idoneità degli elementi su cui si basa la
notizia di reato a rendere utile l’espletamento di ulteriori indagini, per acquisire prove certe o
prove ulteriori del fatto, non esperibili senza la sottrazione all’indagato della disponibilità della
res o l’acquisizione della stessa nella disponibilità dell’autorità giudiziaria (Sez. 3, n. 15177 del
24/3/2011, P.M. in proc. Rocchino, Rv. 250300).
Si è poi ulteriormente specificato che il concetto di fumus commissi delicti che caratterizza i
presupposti per l’emanazione di sequestro probatorio deve esser valutato tenendo conto della
disciplina fissata dagli artt. 352 e 355 cod.proc.pen. e considerando che, versandosi in tema di
“assicurazione delle fonti di prova”, spesso si opera nella fase iniziale delle indagini, con la
conseguenza che non può pretendersi il medesimo livello di accertamento che caratterizza il
diverso istituto del sequestro preventivo (Sez. 3, n. 28151 del 20/3/2013, P.M. in proc. Chifor,
Rv. 255458).
Alla luce di questi principi, va ribadito che il Tribunale nel caso in esame ha correttamente
valutato il fumus del reato, considerando le finalità del provvedimento di sequestro e, sulla
base della documentazione a sua disposizione, ha qualificato le condotte oggetto di provvisoria
imputazione, rilevando che il D’ERCHIA nella richiesta di riesame si è limitato a dichiarare la
propria estraneità ai fatti contestatigli ed a fornire una lettura diversa dei dati procedimentali,
chiedendo inammissibilmente al giudice adito di effettuare una totale anticipazione del merito
del processo (pg. 7 della ordinanza impugnata).
L’accesso alla documentazione valutata dal Tribunale (e richiamata dal ricorrente in questa
sede) è precluso a questa Corte, ma deve ritenersi, sulla base di quanto illustrato nel
provvedimento impugnato, che il Tribunale ne abbia esaustivamente e logicamente tenuto
conto.
Tale valutazione, peraltro, risulta effettuata considerando le esigenze probatorie sottese
all’apposizione del vincolo, che i giudici hanno doverosamente indicato.
Per contro, il provvedimento impugnato viene censurato in ricorso con argomenti articolati
prevalentemente in fatto, che attengono al merito della vicenda e per l’accertamento dei quali
sono richieste quelle verifiche, anche di natura tecnica, che giustificano il vincolo, mediante il
quale ne viene assicurata la materiale disponibilità all’organo inquirente.
3

1, n. 4496 del 25/6/1999, Visconti e altri, Rv. 214032) e la valutazione della legittimità del

,.

2. Il secondo motivo è inammissibile perché non dedotto in sede di riesame, così come peraltro
correttamente rilevato dalla stesso Tribunale.
Ed invero, nel caso in cui con il ricorso per cassazione, proposto ai sensi dell’art. 311 comma 1
cod. proc. pen., avverso la decisione emessa all’esito del procedimento di riesame di cui all’art.
309, venga dedotto il vizio di violazione di legge o di motivazione dell’ordinanza applicativa
della misura coercitiva, occorre che tali vizi siano stati denunziati al Tribunale del riesame, con
la richiesta di cui all’art. 309 comma 1 o, comunque, all’udienza fissata in camera di consiglio,
con inserimento a verbale dell’eccezione prima della discussione, ai sensi dell’art. 309 comma

Infatti, le regole che governano la deduzione dei vizi in sede di legittimità, nel ricorso proposto
ai sensi dell’art. 311, devono ritenersi analoghe a quelle di cui all’art. 606 comma 3, in virtù
delle quali i vizi riguardanti il provvedimento vanno denunciati con il primo gravame ammesso
(nel caso di provvedimenti in materia di misure cautelari, con il riesame ex art. 309 o con
l’appello ex art. 310) e non possono essere proposti per la prima volta nel ricorso per
Cassazione a pena di inammissibilità (in tal senso ed ex plurimis, si vedano Sez. 5, n. 24693
del 28/02/2014, D’Isabella, Rv. 259217; Sez. 2, n. 42408 del 21/09/2012, Caltagirone
Bellavista, Rv. 254037).
3. Consegue alla declaratoria di inammissibilità, per il disposto dell’art. 616 cod.proc.pen., la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore
della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dai
ricorso, si determina equitativamente in Euro 1000.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 1000,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 14 maggio 2015
Il consigli re estensore

Il pres ente

6.

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