Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 42979 del 26/06/2014


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Penale Sent. Sez. U Num. 42979 Anno 2014
Presidente: MANNINO SAVERIO FELICE
Relatore: CASSANO MARGHERITA

Data Udienza: 26/06/2014

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Squicciarino Donato, nato ad Altamura il 13/10/1984

avverso la sentenza del 20/03/2012 della Corte di assise di appello di Bari

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal componente Margherita Cassano;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato generale
Carlo Destro, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della
sentenza impugnata limitatamente al rigetto della richiesta di rito abbreviato con
conseguente rideterminazione della pena in quattordici anni di reclusione e, nel
resto. il rigetto del ricorso
udito l’avv. Nino Marazzita che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

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RITENUTO IN FATTO.

1. Il 19 febbraio 2011 la Corte di assise di Bari, nell’ambito di giudizio
immediato instaurato a seguito di decreto emesso il 6 luglio 2010 dal Giudice per
le indagini preliminari del locale Tribunale, dichiarava Donato Squicciarino
colpevole del delitto di omicidio volontario aggravato (artt. 575, 577, primo
comma, n. 4, 61, n. 4, cod. pen.) in danno di Salvatore Zizzari e lo condannava
alla pena dell’ergastolo, oltre alle pene accessorie dell’interdizione perpetua dai
pubblici uffici e dell’interdizione legale, nonché al risarcimento dei danni in favore

2. Il 20 marzo 2012 la Corte di assise di appello di Bari, in parziale riforma
della decisione di primo grado, appellata dall’imputato, escludeva l’aggravante di
cui all’art. 61, n. 4, cod. pen. e, per l’effetto, rideterminava la pena in ventuno
anni di reclusione. Confermava nel resto la decisione di primo grado.

3. Entrambe le sentenze di merito così ricostruivano il fatto.
Nella tarda serata del 6 luglio 2009, in località “Serra di Rose” di Altamura,
veniva rinvenuto il cadavere di Salvatore Michele Zizzari, avvolto in una coperta.
Dagli accertamenti medico-legali risultava che l’ora della morte di Zizzari era
da collocare tra le ore 17 e le ore 20 dello stesso 6 luglio 2009. La vittima era
stata attinta da tredici-sedici colpi inferti contro il distretto cranio-facciale,
nonché da altri colpi alla mano e all’avambraccio destro. L’azione si era svolta in
due fasi: nella prima lo Zizzari era stato colpito alla regione frontale mediana
mentre si trovava in posizione eretta; nella seconda fase si era accasciato al
suolo, come documentato dalle lesioni rilevate in regione parietale sinistra. Tutti i
colpi erano stati inferti in rapida successione e la morte era seguita con
immediatezza all’azione aggressiva. Il mezzo usato per l’esecuzione dell’omicidio
veniva individuato in una mazza da baseball.

4. Il successivo 7 luglio Paolo Carlucci si presentava spontaneamente ai
Carabinieri e, sentito con le garanzie difensive in quanto indiziato del delitto di
favoreggiamento personale, riferiva che il giorno precedente, alle ore 21,10,
aveva ricevuto sulla sua utenza cellulare una telefonata del suo amico Donato
Squicciarino, il quale gli aveva chiesto di aiutarlo, senza fornire ulteriori
spiegazioni. Dopo dieci minuti Squicciarino era passato a casa a prenderlo e si
era diretto in campagna, rifiutandosi lungo il tragitto di fornire delucidazioni di
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delle costituite parti civili, da liquidare in separata sede.

alcun tipo per timore di essere intercettato. Giunti presso un casolare. aveva
detto di avere “fatto la cosa più brutta di questo mondo”. Quindi aveva aperto
con le chiavi la porta principale del casolare (posta sul retro). Alla luce della luna,
Carlucci, che era rimasto sulla soglia d’ingresso, aveva modo di vedere, ad una
distanza di circa due metri, il corpo prono di una persona, avvolta dalla testa ai
piedi in una coperta o in un sacco. Turbato, era scoppiato a piangere e si era
andato a sedere su un sedile di pietra posto nello spiazzo antistante il casolare.
Qui era stato raggiunto dallo Squicciarino che era anch’egli scoppiato a piangere
e gli aveva rinnovato la richiesta di aiutarlo, minacciando, in caso contrario, di

per i piedi, lo aveva trascinato all’esterno attraverso la porta secondaria e aveva
cercato di caricarlo da solo sull’auto. In tale contesto Carlucci si era reso conto
che dal corpo colava sangue. Poiché Squicciarino era in difficoltà e non era in
grado da solo di issare il cadavere sull’auto, si era deciso ad aiutarlo e così il
corpo era stato sistemato nel bagagliaio dell’auto. Lo Squicciarino manifestava,
in un primo momento, l’intenzione di scaricare il cadavere nella diga di
Saglioccia. In seguito, accogliendo il suggerimento di Carlucci, lo aveva
abbandonato lungo il ciglio della strada, scaricandolo da solo dall’auto, in quanto
l’amico non aveva voluto aiutarlo. I due erano, quindi, tornati al casolare, dove
Squicciarino aveva provveduto a ripulire il pavimento.
Lungo la strada del ritorno a casa, alla richiesta di Carlucci di spiegare il suo
gesto, l’imputato affermava di non saperne spiegare le ragioni e aggiungeva
testualmente: “tanto teneva cento anni, non lo cercherà nessuno”.
Il 7 luglio 2009 Carlucci, assai turbato dell’accaduto, si confidava con il
collega Tommaso Fiore, il quale gli consigliava di recarsi immediatamente dai
Carabinieri.

5. Dalle testimonianze dei familiari di Salvatore Zizzari e, in particolare, di
Luigi e Vittorio Zizzari, emergeva che, il 6 luglio 2009, la vittima era stata
insieme con i figli in campagna fino, all’incirca, alle 17,30, ora in cui era tornata
a casa. Poco dopo era uscita nuovamente per recarsi allo studio del suo legale.
Verso le 19,30-20 la moglie, non vedendo rientrare il marito, aveva lanciato
l’allarme e alle ore 22 ne aveva denunciato la scomparsa ai Carabinieri.

6. La Corte di assise di appello di Bari preliminarmente respingeva le
seguenti eccezioni sollevate dalla difesa dell’imputato.
6.1. In merito alla eccepita nullità del decreto di giudizio immediato,
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suicidarsi. Squicciarino era quindi rientrato nel casolare e, afferrato il cadavere

emesso, senza alcuna specificazione della tipologia e senza l’osservanza dei
presupposti prescritti dall’art. 453 cod. proc. pen., la Corte osservava che
risultavano svolte nei termini di legge le attività di indagine finalizzate alla
dimostrazione della evidenza della prova, le sole per le quali la norma pone i
termini, rispettivamente, di novanta e centottanta giorni a seconda che si verta
in un’ipotesi di giudizio immediato tipico o c.d. custodiale. Aggiungeva che tali
termini non rilevano per le attività istruttorie complementari né, tantomeno, per
la richiesta del pubblico ministero, non assoggettata ad alcun termine perentorio.

conseguente al mancato rispetto del termine di comparizione, la Corte
evidenziava che la nullità concerneva la notificazione e non il decreto di giudizio
immediato. Correttamente, quindi, era stata disposta la rinnovazione del solo
atto invalido (la notificazione), non sussistendo i presupposti per la restituzione
degli atti al giudice per le indagini, atteso che il decreto con il quale era stato
disposto il giudizio immediato era pienamente conforme al modello legale.
6.3. Circa la declaratoria di inammissibilità della richiesta di giudizio
abbreviato, reputata tardiva dal giudice di primo grado, argomentava che tale
decisione era da reputarsi corretta: ai fini della tempestività della domanda si
doveva, infatti, avere riguardo al termine di quindici giorni, decorrente dalla
prima notificazione del decreto di giudizio immediato.
6.4. Quanto alla mancata consegna dei supporti magnetici contenenti le
intercettazioni, il giudice d’appello evidenziava che gli stessi erano stati
regolarmente depositati a norma dell’art. 454, comma 2, cod. proc. pen. e che le
parti avevano avuto la possibilità di partecipare alle operazioni peritali ai sensi
degli articoli 225 e ss. del codice di rito.
6.5. Nel merito la Corte di secondo grado, nel condividere le valutazioni del
primo giudice, riteneva provata la responsabilità dell’imputato sulla base dei
seguenti elementi:
dichiarazioni rese da Paolo Carlucci;
deposizione di Angela Di Leo (cassiera di un supermercato e conoscente di
Squicciarino) dalla quale risultava che l’imputato, il 7 luglio 2009, verso le ore
20,40-20,45, aveva acquistato due bottiglie di acido muriatico, come comprovato
anche dallo scontrino acquisito;
accertamenti tecnici disposti in incidente probatorio evidenzianti la presenza
di cellule di sfaldamento epiteliale e di tracce di sostanze ematiche appartenenti
alla vittima sull’impugnatura, sulla parte mediana e sull’estremità della mazza da
baseball usata per la consumazione dell’omicidio, nonché la ripulitura del mezzo,
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6.2. Con riferimento alla dedotta nullità del decreto di giudizio immediato

privo delle impronte papillari dell’abituale detentore;
esito delle attività di perquisizione e sequestro che portavano al
rinvenimento della mazza da baseball in un ripostiglio, confusa tra pneumatici e
altri oggetti;
rilievi fotografici e tecnici eseguiti dentro il casolare, dai quali risultavano: a)
la presenza, nei pressi del caminetto, di una vasta chiazza ematica, dalla quale
erano partite tracce satellitari da proiezione che avevano raggiunto l’altezza di
trenta-quaranta centimetri e di altri schizzi che, alla stessa altezza, avevano

stata attinta dalla maggior parte dei colpi mentre si trovava distesa sul
pavimento all’interno del casolare; b) i tentativi di pulizia o rimozione della
sostanze ematica, così come peraltro ammesso dall’imputato che riferiva di
avere utilizzato una scopa e acido muriatico per tentare di cancellare le tracce di
sangue presenti sul luogo del delitto; c) una chiazza ematica in prossimità del
tavolo di pietra esterno, spiegata dal consulente tecnico con la fuoriuscita di
materiale ematico da un sacco di plastica in cui era stato avvolto il corpo della
vittima durante le operazioni di trasporto del cadavere all’esterno e di
caricamento sulla macchina;
disponibilità esclusiva del casolare, dotato di una porta d’ingresso chiusa a
chiave, da parte dell’imputato;
accertamenti svolti sui tabulati delle utenze cellulari in uso all’imputato e ai
suoi familiari e conoscenti.
Tali elementi, ad avviso dei giudici, trovavano ulteriori elementi di conferma
nel contenuto dei colloqui captati in carcere tra l’imputato e i suoi familiari. Nel
corso degli stessi Squicciarino faceva espresso riferimento:
alla fuoriuscita abbondante di sangue durante le operazioni di trascinamento
del cadavere;
alla chiamata effettuata il 6 luglio 2009 alle ore 19,49 allo zio Carlo
(comprovata dai tabulati telefonici acquisiti) per dissuaderlo dal recarsi in
campagna, sì da evitare la scoperta del cadavere;
al timore per il possibile sequestro del suo computer, di un paio di scarpe e
dei suoi “diaretti”.
Dall’ascolto delle conversazioni risultava, inoltre, l’invito rivolto dall’imputato
ai suoi familiari a far sparire l’agenda del 2009, i soldi dell’assicurazione, la
scheda di una macchina fotografica.
I colloqui captati evidenziavano, altresì, che i genitori dell’imputato
provvedevano a bruciare un album e un quaderno contenente l’annotazione della
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interessato il caminetto ed i muri, a dimostrazione del fatto che la vittima era

parola “omicidio” – documenti tutti che, ove rinvenuti dagli inquirenti, avrebbero,
per ammissione degli stessi genitori, gravemente pregiudicato Squicciarino nonché cinquemila euro in contanti.
I dialoghi intercettati mettevano, infine, in luce la ricerca, da parte dei
familiari, di un alibi in favore del loro congiunto e di un possibile diverso
responsabile.
Alla luce delle emergenze processuali sinora descritte, i giudici di merito
ritenevano inverosimile la versione dei fatti fornita da Squicciarino che riferiva di
avere trovato casualmente il corpo della vittima nel suo casolare e di avere

dell’ausilio del suo conoscente Paolo Carlucci. Consideravano, inoltre,
inattendibili le testimonianze rese, rispettivamente, dai familiari e dai conoscenti
dell’imputato (Rosa Denora, Emilia Denora, Carlo Squicciarino, Orsola Iacovelli)
che, oltre a non essere genuine, erano generiche e vaghe a proposito degli
spostamenti posti in essere dall’imputato il 6 luglio 2009.

7. Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione, tramite
i due difensori di fiducia, l’imputato, il quale, anche mediante motivi nuovi,
formula le seguente censure.
7.1. Denuncia violazione degli artt. 453, commi 1 e 1-bis, 454, comma 1,
455, comma 1, e 178, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., atteso che né la
richiesta del Pubblico ministero né il decreto di giudizio immediato emesso dal
Giudice per le indagini preliminari specificano il tipo di giudizio immediato
prescelto e che comunque non sussistevano i presupposti del rito.
Non ricorre l’evidenza della prova, come desumibile dalla circostanza che è
stata la stessa Corte territoriale a qualificare come “indiziario” il processo, così
connotandolo in senso antinomico rispetto alla previsione contenuta nell’art. 453,
comma 1, cod. proc. pen.
Non risultano, inoltre, rispettati i termini per l’instaurazione del rito, a
prescindere dalle sue diverse tipologie. Sia il termine di novanta giorni
(nell’ipotesi di qualificazione del giudizio come immediato “ordinario”) che quello
di centottanta (in caso di ritenuta sussistenza di una ipotesi di giudizio
immediato “custodiale”) risultano ampiamente superati rispetto alla iscrizione
della notizia del reato (avvenuta il 7 luglio 2009) e all’esecuzione della misura
custodiale (11 luglio 2009). Le indagini, infatti, furono proseguite sino al 10 luglio
2010, come comprovato dal fatto che le consulenze medico-legali e l’integrazione
della trascrizione delle intercettazioni ambientali e telefoniche (gli elementi più
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deciso di non denunciare l’accaduto, bensì di far sparire il cadavere, avvalendosi

rilevanti) sono state acquisite a distanza di un anno dal delitto e dall’arresto
dell’imputato.
La qualificazione del giudizio come “custodiale” è avvenuta per la prima
volta in sede di esame delle eccezioni preliminari al dibattimento ad opera della
Corte d’assise, che ha operato una non consentita distinzione tra le indagini volte
ad acquisire l’evidenza della prova, effettuate nel rispetto dei termini di legge, ed
accertamenti non decisivi compiuti dopo la scadenza dei termini e, in ogni caso,
rinnovabili nel corso del dibattimento. Tale distinzione, oltre ad essere priva di

quali emerge il deposito degli accertamenti autoptici (utilizzati per contrastare la
prova d’alibi dell’imputato) il giorno precedente l’esercizio dell’azione penale. La
suddetta qualificazione é incompatibile con la posizione del coimputato Paolo
Carlucci, in stato di libertà al momento della richiesta di immediato e mai
sottoposto a custodia cautelare.
L’illegittimo ricorso al rito immediato ha pregiudicato i diritti di difesa a
causa dell’indebita omissione dell’udienza preliminare.
7.2. Il decreto di giudizio immediato è da ritenere, altresì, nullo perché
notificato ai difensori in data 20 luglio 2010 per l’udienza del 30 settembre 2010,
in violazione del termine minimo a comparire di trenta giorni, tenuto conto del
periodo feriale; la Corte d’Assise, prendendo atto del mancato rispetto del
termine, ha proceduto alla rinnovazione della notifica con ordinanza
immediatamente notificata in udienza alle parti e all’imputato. Tale atto è
illegittimo, poiché alla rinnovazione avrebbe dovuto provvedere il giudice per le
indagini preliminari.
7.3. La rinnovata notificazione dell’atto introduttivo del giudizio, disposta
dalla Corte di assise in data 30 settembre 2010, a seguito della declaratoria di
nullità della prima notifica effettuata ai difensori il 20 luglio 2010 per l’udienza
del 30 settembre 2010, ha riaperto la decorrenza del termine di quindici giorni
per avanzare domanda di giudizio abbreviato, richiesto dall’imputato il 6 ottobre
2010. Erroneamente, quindi, la richiesta é stata ritenuta tardiva, assumendosi,
quale dies a quo, quello di quindici giorni calcolato rispetto alla prima notifica del
decreto di giudizio immediato.
7.4. Il decreto di citazione a giudizio é nullo per carenza dei requisiti
legittimanti e per insufficiente indicazione dell’avviso relativo alla facoltà di
richiedere riti alternativi (in ragione della indicazione erronea dell’art. “444 c.p.”
in luogo di quella, corretta, dell’art.444 cod. proc. pen.).
7.5. Il ricorrente denuncia la nullità della sentenza, per non essere stato
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fondamento giuridico, non trova riscontro nelle risultanze investigative, dalle

consentito ai difensori di disporre delle tracce foniche oggetto delle trascrizioni
delle conversazioni intercettate e di procedere all’esame del perito trascrittore.
7.6. La difesa lamenta, inoltre, violazione di legge e vizio della motivazione,
atteso che la sentenza impugnata privilegia i dati indiziari dell’accusa e sminuisce
le prove offerte dalla difesa, non fornisce una ricostruzione convincente in ordine
agli spostamenti della vittima e alle modalità in cui la stessa avrebbe raggiunto il
casolare, individua illogicamente la mazza da baseball come arma del delitto,
interpreta erroneamente la mancanza di tracce papillari e biologiche

da Squicciarino, l’assenza di un valido movente, ritiene affidabili le dichiarazioni
del coimputato Paolo Carlucci.
7.7. Il ricorrente deduce, infine, violazione di legge e vizio della motivazione
in merito al diniego delle circostanze attenuanti generiche e al complessivo
trattamento sanzionatorio, improntato a eccessiva severità, tenuto conto della
incensuratezza dell’imputato, della sua giovane età, dei sentimenti di rammarico
espressi al Carlucci.

8. La Prima Sezione penale, con ordinanza depositata in data 31 marzo
2014, ha rimesso la trattazione del ricorso alle Sezioni Unite, al fine di stabilire
«se nel giudizio immediato “ordinario” (previsto dall’art. 453, comma 1, cod.
proc. pen.) e nel giudizio immediato “cautelare” (previsto dall’art.453, comma 1-

bis, cod. proc. pen.) il termine rispettivamente di novanta e centottanta giorni
per la proposizione della richiesta al giudice delle indagini preliminari da parte
del pubblico Ministero abbia o meno natura perentoria».
Nell’ordinanza di rimessione, il Collegio muove dall’inquadramento del
giudizio immediato nell’ambito dei procedimenti speciali, funzionali ad un più
rapido svolgimento del processo, reso possibile dall’eliminazione dell’udienza
preliminare che non è priva di riflessi per i diritti difensivi, in quanto esclude il
controllo dell’indagato sulla necessità e sulla opportunità del rinvio a giudizio:
tale controllo si configura come un diritto procedimentale riconosciuto dalla
generalità dei sistemi processuali penali democraticamente evoluti, nella
prospettiva di evitare il ricorso al dibattimento, quando non strettamente
necessario, anche per risparmiare al soggetto coinvolto la sofferenza
determinata dalla sua pubblicità.
In caso di prova evidente a carico dell’indagato, il punto di equilibrio tra le
opposte esigenze – la rapidità del processo e il diritto a non subire un
dibattimento immotivato – è garantito nel sistema attraverso il sindacato operato
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dell’imputato sulla vittima, nonché sulla mazza da baseball, svaluta l’alibi fornito

dal giudice per le indagini preliminari, effettuato

inaudita altera parte, cioè

soltanto sulla base del contenuto del fascicolo delle indagini preliminari
trasmesso dal pubblico ministero.
L’ordinamento conosce peraltro due tipi di giudizio immediato: quello c.d.
“ordinario”, instaurato a domanda del pubblico ministero (art. 453, comma 1
cod. proc. pen.), entro novanta giorni decorrenti dalla iscrizione della notizia di
reato nel registro ex art. 335 cod. proc. pen., oppure su richiesta dell’imputato
(art. 453, comma 2, cod. proc. pen.); quello c.d. “cautelare” – inserito

legge 24 luglio 2008, n. 125 – che può essere chiesto dal pubblico ministero,
nell’ipotesi in cui per il reato oggetto della domanda l’indagato si trovi in stato di
custodia cautelare, anche fuori dai termini fissati dall’art. 454 cod. proc. pen. e,
comunque, entro centottanta giorni, decorrenti dalla esecuzione della misura
custodiale.
A proposito della natura di tali termini, l’ordinanza rimettente ricorda
l’esistenza di una consolidata giurisprudenza (Sez. 1, n. 45079 del 26/10/2010,
Rv. 249006, Arangio Mazza; Sez. 5, n. 1245 del 21/01/1998, Cusani, Rv.
210027), secondo la quale il termine stabilito dall’art. 454, comma 1, cod. proc.
pen. ha carattere perentorio per quanto attiene al compimento delle indagini, da
espletarsi appunto inderogabilmente entro novanta giorni dalla iscrizione
dell’imputato nel registro delle notizie di reato, mentre ha natura ordinatoria
quanto alla materiale presentazione e trasmissione della richiesta di giudizio
immediato. Analogo orientamento è stato espresso con riferimento al giudizio
immediato “custodiale” (Sez. 1, n. 2321 del 09/12/2009, dep. 2010, Stilo, Rv.
246036). Il termine stabilito dall’art. 454, comma 1-bis, cod. proc. pen. non è
correlato al compimento e completamento delle indagini, bensì al solo status
detentionis e la tardiva presentazione della richiesta di immediato cautelare
“custodiale” sarebbe non corredata da alcuna sanzione processuale.
Ad avviso del Collegio rimettente, l’indirizzo interpretativo sinora seguito
dalla giurisprudenza di legittimità merita di essere rimesso in discussione.
Innanzitutto, il tenore letterale della norma non consente una
“scomposizione” del termine, perentorio a determinati effetti, ordinatorio sotto
altri profili.
La possibilità per il pubblico ministero di richiedere il giudizio immediato ben
oltre i termini indicati dalla legge in relazione alle sue due tipologie
determinerebbe la lesione del principio di parità delle parti, si porrebbe in
contrasto con il principio di ragionevole durata del processo e con le ragioni di
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nell’ordinamento con decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92, convertito dalla

celerità connaturate al rito.
L’ordinanza di rimessione, in accoglimento dell’istanza del Procuratore
generale, sollecita, quindi, una riflessione sul contrasto “virtuale” esistente tra
l’orientamento consolidato e l’interpretazione – ritenuta più corretta dal Collegio
– circa la natura perentoria dei termini per l’instaurazione del giudizio immediato
“ordinario” e “custodiale”.

1. Una prima questione all’esame delle Sezioni Unite può essere riassunta
nei seguenti termini: “Se l’inosservanza dei termini di novanta e centottanta
giorni, previsti, rispettivamente, per la richiesta di giudizio immediato ‘ordinario’
e per quello ‘custodiale’ sia rilevabile da parte del giudice per le indagini
preliminari”;

2. Il giudizio immediato, introdotto per la prima volta nell’ordinamento
processuale nel 1989 e in alcun modo assimilabile all’omonimo istituto regolato
nel codice del 1930, si connota per la maggiore celerità nel passaggio alla fase
dibattimentale che avviene senza la preventiva celebrazione dell’udienza
preliminare. Tale peculiarità è presente anche nel rito direttissimo, anch’esso
contraddistinto dall’assenza di premialità. Al contrario di quanto previsto per il
giudizio direttissimo, in cui l’accesso alla fase dibattimentale avviene senza
alcuna previo controllo giurisdizionale, nel rito immediato richiesto dal pubblico
ministero l’instaurazione del dibattimento avviene solo all’esito della verifica
operata dal giudice per le indagini preliminari circa la sussistenza dei relativi
presupposti processuali.
A differenza degli altri riti speciali, connotati dall’unicità del modello
procedimentale, quello immediato si caratterizza per la poliedricità strutturale
conseguente all’ampliamento dell’originaria previsione normativa, costituente
l’archetipo, mediante l’aggiunta del c.d. rito immediato custodiale che con il
primo condivide l’assenza dell’udienza preliminare, in coerenza con le peculiari
esigenze di speditezza e di risparmio di risorse processuali che
contraddistinguono questo giudizio alternativo (Corte cost., ordd. nn. 256 del
2003 e 371 del 2002). Il controllo sui presupposti del rito si svolge, quindi, senza
le formalità tipiche dei procedimenti camerali.

3. Nell’ottica della legittimazione soggettiva si deve distinguere il giudizio
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CONSIDERATO IN DIRITTO

immediato sollecitato dal pubblico ministero (art. 453 e ss cod. proc. pen.) da
quello introdotto dalla domanda dall’imputato.
Il primo è legittimato a richiedere il giudizio immediato ordinario entro
novanta giorni dalla iscrizione della notizia di reato nel registro previsto dall’art.
335 cod. proc. pen., e quello c.d. custodiale, introdotto dal d.l. 23 maggio 2008,
n. 92, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 125, entro
centottanta giorni dall’esecuzione della misura detentiva per il reato in relazione
al quale la persona sottoposta alle indagini si trova in stato di custodia cautelare,

L’imputato, una volta ricevuto l’avviso di fissazione dell’udienza preliminare,
può rinunciarvi, avanzando domanda di procedere con le forme del rito
immediato (art. 419, comma 5, cod. proc. pen.). Può, altresì, sollecitare il
giudizio immediato anche in sede di opposizione a decreto penale di condanna
(art. 461, comma 3, cod. proc. pen.).
Dal punto di vista oggettivo, i vari presupposti del rito sono riconducibili o
alla tutela dell’obbligo dell’azione penale e della correlativa necessaria
completezza delle indagini oppure al piano delle garanzie difensive.
Rientra nel primo ambito la possibilità di non instaurazione del rito in
presenza di un grave pregiudizio per le indagini.
Sono, invece, riconducibili al secondo aspetto, quanto al giudizio immediato
ordinario, l’evidenza della prova, l’obbligo di preventivo interrogatorio o,
comunque, in sua assenza, di regolare notificazione dell’avviso a presentarsi
emesso secondo le forme indicate dall’art. 375 cod. proc. pen., l’inesperibilità nei
confronti degli irreperibili; quanto al c.d. giudizio immediato custodiale,
disciplinato dall’art. 453, comma 1-bis, cod. proc. pen., il perdurante stato di
custodia cautelare della persona sottoposta alle indagini dopo la definizione della
procedura di riesame o il decorso dei termini per proporre la richiesta di riesame,
l’omessa revoca o annullamento della misura per insussistenza dei gravi indizi di
colpevolezza.
Il giudizio immediato tipico si caratterizza per lo stretto collegamento tra
notitia criminis, indagini e giudizio. Infatti, il termine per la sua richiesta decorre
dell’iscrizione della notizia di reato (anche non soggettivizzata) e si ricollega al
presupposto probatorio del rito, traducendosi in una sorta di presunzione legale
di non evidenza probatoria nei casi in cui le indagini si protraggano oltre i tre
mesi. Nel giudizio immediato c.d. custodiale il legislatore delinea un preciso
nesso tra stato detentivo della persona disposto in ordine al delitto per il quale è
stato iscritto il procedimento e profili probatori, integrati dalla definizione della
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salvo che ciò pregiudichi gravemente le indagini.

procedura di riesame o, comunque, dal decorso dei termini per proporla.

4. Secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale e la prevalente
dottrina, la nozione di evidenza della prova, contenuta nell’art. 453, comma 1,
cod. proc. pen., ha una sua precisa valenza semantica che deve essere
ricostruita in base alla peculiarità del giudizio immediato senza possibilità di
mutuare il suo significato dagli altri istituti processuali (artt. 129, 389, 422 cod.
proc. pen.) che richiamano la medesima dizione. Essa qualifica l’indagine
condotta dal pubblico ministero e riguarda tutti gli atti delle indagini preliminari e

affatto acquisite. L’evidenza probatoria si traduce in una prognosi sulla
sostenibilità in giudizio dell’accusa e deve essere tale da consentire di escludere
che il contraddittorio fra le parti possa indurre il giudice dell’udienza preliminare
a pronunciare una sentenza di non luogo a procedere (Sez. U, n. 22 del
06/12/1991, dep. 1992, Di Stefano. Rv. 19247-9; Corte cost., ordd. nn. 276 del
1995 e 182 del 1992). La sussistenza di elementi di tale pregnanza da escludere
la necessità di sottoposizione alla verifica dell’udienza preliminare spiega il
fondamento logico-sistematico del giudizio immediato che prevede il passaggio
alla fase dibattimentale senza la preventiva celebrazione della suddetta udienza.
Il presupposto probatorio sin qui delineato si riflette inevitabilmente sugli
altri due, cui è subordinata l’instaurazione del rito in questione.
La formulazione del giudizio di evidenza della prova è possibile soltanto in
presenza di una compiuta contestazione alla persona sottoposta alle indagini
degli elementi di accusa raccolti nei suoi confronti, idonea a consentire il pieno
esercizio del diritto di difesa mediante l’illustrazione delle proprie discolpe.
Il termine stabilito dalla legge per l’instaurazione del c.d. giudizio immediato
ordinario (pari a novanta giorni) segna il raccordo tra l’evidenza della prova e la
non complessità dell’indagine.
In conclusione, quindi, l’interrogatorio della persona sottoposta alle indagini
o, comunque, la rituale previa contestazione degli addebiti e la fissazione dei
termini per l’introduzione del giudizio sono funzionali ad un corretto
accertamento dell’evidenza probatoria.
Considerazioni analoghe valgono per il giudizio immediato c.d. custodiale disciplinato dal comma

1-bis

dell’art. 453 cod. proc. pen. – in cui il

consolidamento del quadro di gravità indiziaria conseguente alla definizione della
procedura ex art. 309 cod. proc. pen. può costituire soltanto un tassello della più
ampia categoria dell’evidenza della prova, intesa come substrato probatorio
12

non soltanto le prove utilizzabili in dibattimento, che potrebbero non essere

idoneo, in presenza di indagini complete e concludenti, a rendere superflua la
celebrazione dell’udienza preliminare, ad escludere che il contraddittorio fra le
parti in tale sede possa portare ad una sentenza di non luogo a procedere e,
infine, a consentire il passaggio alla fase dibattimentale. Il giudizio di gravità
indiziaria è, infatti, una prognosi di qualificata probabilità di colpevolezza allo
stato degli atti e rebus sic stantibus,

basato sugli elementi selezionati e

presentati al giudice dal pubblico ministero, funzionali all’adozione della misura
cautelare, e su di un materiale fluido, perché non sottoposto ancora a tutte le
necessarie verifiche.

esigenze cautelari del caso concreto, esula dalla sua struttura e dalla sua
funzione la valutazione circa l’utilità del dibattimento. Di conseguenza, in
adesione all’orientamento espresso da una parte della giurisprudenza (Sez. 6, n.
35228 del 12/04/2013, Veseli, Rv. 257079; ma contra Sez. 2, n. 38727 del
01/07/2009, Moramarco, Rv. 244804), si deve affermare che l’applicazione di
una misura cautelare, pur se già sottoposta al vaglio del tribunale del riesame,
implicando unicamente una probabilità di colpevolezza, non esclude di per sé il
vaglio preventivo circa la sostenibilità dell’accusa in dibattimento. Sotto tale
profilo, quindi, nel c.d. giudizio immediato custodiale l’adozione della misura
cautelare, sia pure seguita dalla definizione della procedura di riesame (o,
comunque, dal decorso dei termini per richiederla) non esaurisce il doveroso
apprezzamento dell’evidenza probatoria, intesa come sostenibilità dell’accusa in
giudizio e come inutilità della celebrazione dell’udienza preliminare. Tale
apprezzamento va effettuato dopo l’esame di tutti gli atti delle investigazioni
compiute e dopo avere offerto alla persona incolpata l’opportunità di
interlocuzione – resa possibile dall’avviso a rendere interrogatorio e dalla
indicazione dei fatti da cui risulta l’evidenza probatoria – nel rispetto dei termini
indicati dall’art. 453, comma 1-bis, cod. proc. pen., funzionali a garantire la
speditezza del processo, tenuto conto anche dello stato di privazione della libertà
in cui versa l’imputato.

5. La giurisprudenza di legittimità ha affrontato la questione dell’omesso
rispetto dei termini stabiliti dalla legge per l’instaurazione del giudizio immediato
sotto diversi aspetti.
Tutte le decisioni mettono in luce la stretta correlazione logica esistente tra
il requisito dell’evidenza probatoria che consente di passare alla fase
dibattimentale senza il filtro dell’udienza preliminare e i termini contenuti stabiliti
13

Poiché la misura limitativa della libertà personale è finalizzata a soddisfare le

dall’art. 453 cod. proc. pen. per l’espletamento delle indagini in coerenza con la
fisionomia del rito che richiede la non complessità degli accertamenti.
Muovendo da questa considerazione preliminare di carattere logicosistematico, la giurisprudenza analizza due distinte situazioni che devono essere
esaminate partitamente per ricostruire in maniera compiuta i diversi indirizzi: a)
la tardività della sola richiesta di giudizio immediato, avanzata dal pubblico
ministero dopo il compimento delle indagini entro i termini indicati
rispettivamente dai commi 1 e

1-bis dell’art. 453 cod. proc. pen.; b) la

prosecuzione delle indagini oltre i suddetti termini e la conseguente tardiva

ministero.
5.1. In merito al primo caso si argomenta che, qualora la prova evidente sia
stata ottenuta nel rispetto dei termini di legge e il ritardo riguardi unicamente la
presentazione della richiesta di giudizio immediato, si è in presenza di una mera
irregolarità che non si riflette sugli atti successivi. Il termine per la richiesta di
giudizio immediato non deve, infatti, essere considerato perentorio, ai sensi
dell’art. 173 cod. proc. pen., in assenza di un’espressa previsione di legge in tale
senso (Sez. 5, n. 1245 del 21/01/1998, Cusani, Rv. 210027).
Si esclude, inoltre, che la violazione del termine per la richiesta di giudizio
immediato sia riconducibile alla previsione dell’art. 178, comma 1, lett. b), cod.
proc. pen., che prevede la nullità di ordine generale per la violazione di
disposizioni concernenti l’iniziativa del pubblico ministero nell’esercizio dell’azione
penale e la sua partecipazione al dibattimento. L’ammissione di un giudizio
immediato richiesto tardivamente dal pubblico ministero legittimato non incide
né sul suo potere d’iniziativa né sul suo diritto di partecipazione al procedimento.
Non si può neppure sostenere, con argomentazione evidentemente circolare, che
tale tardività renda di per sé invalido l’esercizio dell’azione penale, perché il
riferimento all’art. 178, comma 1, lett.

b), cod. proc. pen. serve appunto a

qualificare l’invalidità dell’atto, sul presupposto che non sia sufficiente a tale
scopo una qualsiasi violazione della legge processuale (Sez. 5, n. 1245 del
21/01/1998, Cusani, cit.).
La tardiva instaurazione del giudizio immediato non è, d’altronde,
inquadrabile nella previsione di cui all’art. 178, comma 1, lett. c), cod. proc.
pen., che prevede la nullità di ordine generale per la violazione delle norme
concernente l’intervento dell’imputato. In base alla disciplina normativa del
giudizio immediato, infatti, la disposizione che definisce le modalità d’intervento
della persona sottoposta alle indagini è unicamente quella che stabilisce l’obbligo
14

formulazione della domanda di instaurazione del rito da parte del pubblico

del preventivo interrogatorio o, comunque, della contestazione dell’addebito con
invito a comparire ritualmente notificato (art. 453 cod. proc. pen.).
5.2. Con riguardo alla seconda ipotesi, si osserva che la prosecuzione delle
attività investigative oltre i periodi indicati rispettivamente dai commi 1 e 1-bis
dell’art. 453 cod. proc. pen., oltre a costituire una violazione del disposto
normativo, contrasta con la

ratio del rito prescelto, che presuppone una

particolare celerità. Il protrarsi delle investigazioni oltre il periodo di tempo
assegnato dalla legge per l’esercizio in tale forma dell’azione penale rileva, però,
soltanto quando l’evidenza probatoria che giustifica l’impulso processuale

dalla legge (Sez. 3, n. 273 del 26/09/1995, Pellegrino, Rv. 203707). I principi
sottesi a tale ultimo orientamento non appaiono pienamente sovrapponibili a
quelli in precedenza illustrati (cfr. par. 5.1.), in quanto, da un lato, esaminano la
questione concernente la prosecuzione delle indagini oltre il termine di legge non
affrontata dall’indirizzo di cui si è prima detto e, dall’altro, introducono per la
prima volta la distinzione sulla differente valenza delle attività d’indagine ai fini
dell’integrazione dell’evidenza probatoria.

6. Nella successiva elaborazione giurisprudenziale è stata ulteriormente
chiarita la distinzione concettuale tra prosecuzione delle indagini oltre i termini
indicati dai commi 1 e 1-bis dell’art. 453 cod. proc. pen. e tardiva presentazione
della richiesta di giudizio immediato.
Si è, pertanto, osservato che il termine di novanta giorni previsto dall’art.
454, comma 1, cod. proc. pen. per la richiesta di giudizio immediato da parte del
pubblico ministero ha carattere tassativo per quanto attiene al compimento delle
indagini, pur se limitatamente a quelle investigazioni da cui emerge l’evidenza
della prova, e non agli ulteriori accertamenti ad esse complementari, non
utilizzabili ai fini della decisione sulla richiesta di giudizio immediato, ma
acquisibili, secondo le regole generali, nel dibattimento; ha, invece, natura di
termine ordinatorio quanto alla richiesta del rito che può legittimamente essere
presentata oltre il termine stabilito dalla legge, mancando un’espressa
comminatoria normativa ed essendo tassativa la previsione contenuta nell’art.
173, comma 1, cod. proc. pen. in ordine ai termini soggetti a tale sanzione. Il
presupposto dell’evidenza probatoria deve, pertanto, essere acquisito nel rispetto
dei termini fissati dal codice di rito, tenuto conto della ragione giustificatrice del
giudizio immediato (Sez. 1, n. 26305 del 27/05/2004, Dentici, Rv. 228130).
Si è, altresì, argomentato che, in caso di richiesta tardiva del pubblico
15

scaturisca dall’esito delle investigazioni concluse oltre i periodi di tempo indicati

ministero, occorre distinguere l’ipotesi in cui essa si riferisca, comunque, ad
attività d’indagine svolte e completate nel lasso di tempo prescritto dalla norma
da quello in cui, invece, l’evidenza della prova sia stata raggiunta mediante
accertamenti conclusi oltre il lasso di tempo previsto. Soltanto in quest’ultimo
caso è possibile ravvisare una violazione della ratio del giudizio immediato (Sez.
1, n. 45079 del 26/10/2010, Arangio Mazza, Rv. 249006; Sez. 3, n. 41579 del
04/10/2007, Cerami, Rv. 237954; Sez. 3, n. 273 del 26/09/1995, Pellegrino, Rv.
203707).

“custodiale” con riferimento al quale si è osservato che, in presenza delle
condizioni e dei presupposti previsti dai primi tre commi dell’art. 453 cod. proc.
pen., il termine di centottanta giorni dall’esecuzione della misura, per il reato in
relazione al quale la persona sottoposta alle indagini si trova in stato di custodia
cautelare, ha natura tassativa per quanto riguarda il completamento delle
indagini, ma ha natura ordinatoria per quanto attiene alla presentazione della
richiesta di giudizio immediato (Sez. 6, n. 47348 del 01/12/2009, Morello, Rv.
245490; Sez. 6, n. 41038 del 20/10/2009, Amato, Rv. 244858).
Si è, poi, sottolineato che, pur essendo indubbia l’insindacabilità della
valutazione compiuta dal giudice per le indagini preliminari circa l’evidenza della
prova e l’impossibilità di annullare il decreto di giudizio immediato per la
mancanza di una prova evidente, la decisione dibattimentale deve ponderare
soltanto la consistenza degli accertamenti compiuti entro il termine fissato dalla
legge per lo svolgimento delle indagini, sicché un errore di valutazione del
pubblico ministero circa la tenuta del quadro probatorio può comportare
l’affermazione di infondatezza dell’accusa. Sotto questo profilo, pertanto, il
rischio che si assume il pubblico ministero è speculare a quello che accetta
l’imputato, il quale chieda il giudizio immediato, rinunciando all’udienza
preliminare (Sez. 3, n. 273 del 26/09/1995, Pellegrino, cit.).
In coerenza con tale impostazione i termini fissati dall’art. 453 cod. proc.
pen. sono ritenuti perentori per il completamento delle indagini preliminari e
meramente ordinatori ai fini della presentazione della richiesta (Sez. 1, n. 24617
del 10/04/2001, De Siena, Rv. 219950).

7. Alla stregua di un indirizzo formatosi in tema di giudizio immediato
custodiale, il termine per la richiesta del rito è ordinatorio o, comunque,
meramente sollecitatorio e assolve precipuamente alla funzione di garantire la
speditezza del procedimento, d’imporre al pubblico ministero il completamento
16

Principi analoghi sono stati affermati in materia di giudizio immediato

delle indagini prima dell’applicazione della misura cautelare allo scopo di
assicurare il rapido esercizio dell’azione penale e di limitare il rischio di
scarcerazioni per decorrenza dei termini di custodia cautelare (Sez. 3, n. 41078
del 07/07/2011, Zappalà, non massimata; Sez. 1, n. 2321 del 09/12/2009, Stilo,
Rv. 246036). Tale approdo ermeneutico si fonda sull’interpretazione letterale del
comma 1-bis dell’art. 453 cod. proc. pen. e della clausola derogatoria in esso
contenuta («anche fuori dei termini»), sulla previsione dell’art. 173, comma 2,
cod. proc. pen., secondo il quale i termini si considerano stabiliti a pena di

453, comma 1-bis, e 454, comma 1, cod. proc. pen. di una sanzione di
decadenza analoga a quella contenuta nell’art. 458, comma 1, cod. proc. pen. in
tema di richiesta di giudizio abbreviato da parte dell’imputato.

8. Con riguardo al controllo della corretta instaurazione del giudizio
immediato, la giurisprudenza prevalente rileva che la valutazione circa la
sussistenza dell’evidenza della prova, presupposto del rito rispetto al quale i
termini per lo svolgimento delle indagini e il previo interrogatorio della persona
sottoposta alle indagini (ovvero la previa contestazione dell’accusa) sono
strumentali, è riservata in via esclusiva al giudice per le indagini preliminari. Di
conseguenza l’ammissione del giudizio immediato è sempre insindacabile da
parte del giudice del dibattimento. Considerato che occorrerebbe riservare alla
conclusione dell’istruzione dibattimentale la verifica della sussistenza
dell’evidenza della prova da parte del giudice del dibattimento cui è ignota la
gran parte degli atti delle indagini preliminari, sarebbe irrazionale una norma
che, per consentire all’imputato l’esercizio del diritto di difesa, prevedesse la
possibilità di un regresso del processo ad una fase, come quella dell’udienza
preliminare, in cui ha minore estensione il suo diritto di provare e argomentare le
proprie discolpe.
Nell’ambito del procedimento per l’ammissione del giudizio immediato,
quindi, la tardività della richiesta del pubblico ministero non impedisce l’esercizio
del diritto di difesa, ma incide soltanto sull’ammissibilità del rito, la cui
valutazione è però riservata in via esclusiva al giudice per le indagini preliminari.
D’altronde é la decisione di quest’ultimo e non la richiesta tardiva del pubblico
ministero, che priva l’imputato dell’udienza preliminare. Sicché, se si dovesse
ammettere un sindacato del giudice del dibattimento sul presupposto temporale
del giudizio immediato, dovrebbe ammettersi un analogo sindacato anche sul
presupposto probatorio del rito che è, invece, escluso dalla giurisprudenza e
17

decadenza soltanto nei casi previsti dal legislatore, sulla mancanza, negli artt.

dalla dottrina prevalenti (Sez. 1, n. 9553 del 14/07/2000, Kallerig, Rv. 216813;
Sez. 5, n. 5154 del 19/02/1992, Fresta, Rv. 190067; Sez. 5, n. 1245 del
21/01/1998, Cusani, cit.).
Sulla base di tali premesse è stato ritenuto abnorme il provvedimento di
annullamento del decreto di giudizio immediato adottato dal giudice del
dibattimento sul presupposto della ritenuta carenza del requisito dell’evidenza
della prova, trattandosi di valutazione riservata in via esclusiva dall’ordinamento
al giudice per le indagini preliminari. L’eventuale mancanza dell’evidenza della
prova non può, quindi, comportare la regressione del procedimento ad una fase

26/10/2010, Arangio Mazza, Rv. 249006; Sez. 3, n. 12141 del 05/02/2008,
Maretti, Rv. 239334; Sez. 3, n. 179 del 15/11/2007, Di Donato, Rv. 238603;
Sez. 4, n. 46761 del 25/10/2007, Gianatti, Rv. 238506; Sez. 3, n. 41579 del
04/10/2007, Cerami, Rv. 237954; Sez. 4, n. 38592 del 27/06/2007, Pierfederici,
Rv. 237831, relativa ad una fattispecie in cui il giudice del dibattimento aveva
annullato il decreto di giudizio immediato, ritenendo inutilizzabili gli atti
d’indagine compiuti oltre il termine di legge, valutati dal giudice per le indagini
preliminari ai fini dell’evidenza della prova; in senso conforme Sez. 1, n. 23927
del 14/04/2004, Di brio, Rv. 228995).
Un indirizzo minoritario, pur non affrontando espressamente la questione
della natura ordinatoria o perentoria per richiedere il giudizio immediato, ha
ritenuto non abnorme il provvedimento con il quale il giudice del dibattimento
dichiara la nullità del decreto di giudizio immediato per il mancato rispetto dei
suddetti termini da parte del pubblico ministero, osservando che trattasi di
decisione rientrante nell’ambito dei normali poteri di controllo del giudice del
dibattimento che non incide sui poteri d’iniziativa del pubblico ministero che ben
può esercitare azione penale chiedendo la fissazione dell’udienza preliminare
(Sez. 6, n. 8878 del 31/01/2003, Perri, Rv. 223976).

9. L’interpretazione logico-sistematica degli artt. 453, 454, 455 cod. proc.
pen. consente di scandire i singoli passaggi della progressione del giudizio
immediato e di delineare i tempi e i modi dell’esercizio dei poteri delle parti e del
giudice, dai quali quello sviluppo dipende per assicurare la funzionalità del rito in
relazione alle sue peculiari conformazioni risultanti dalle scelte del legislatore.
Il giudizio immediato può essere instaurato solo in presenza di determinati
presupposti, specificamente indicati dal legislatore, equiparati e tra loro
intimamente connessi.
18

processuale precedente, non integrando alcuna nullità (Sez. 1, n. 45079 del

L’evidenza probatoria non si pone come un dato oggettivo, costituendo il
possibile risultato di un’attività investigativa realizzata entro termini
predeterminati. In ragione della logica che ha ispirato le modifiche introdotte
dalla I. n. 497 del 1974 e della peculiare valenza che la nozione di “evidenza”
assume nel contesto dell’art. 453 cod. proc. pen. rispetto ad analoghe
espressioni ricorrenti nella disciplina di altri istituti (artt. 129, 389, 422 cod.
proc. pen.), è possibile affermare che l’evidenza probatoria consiste in una
valutazione di tipo prognostico circa l’idoneità degli elementi acquisiti grazie ad
indagini complete a sostenere l’accusa in giudizio, non diversa da quella

delle indagini devono avere una tale pregnanza e significatività da rendere
superflua la necessità della verifica dell’udienza preliminare e da escludere con
certezza l’eventualità di un proscioglimento in tale sede all’esito del
contraddittorio fra le parti e degli apporti argomentativi forniti in tale sede dalla
difesa (Sez. U, n. 22 del 06/12/1991, dep. 1992, Di Stefano, Rv. 190247-49;
Corte cost., nn. 276 del 1995 e 482 del 1992).
Come osservato da un’autorevole dottrina, il concetto di evidenza probatoria
non può, però, prescindere da indagini complete, idonee a dimostrare la
sussistenza degli elementi costitutivi della contestazione, così come cristallizzata
nella richiesta di emissione del provvedimento di

vocatio in iudicium. Sotto

questo profilo, è agevole cogliere la stretta correlazione esistente fra questo
presupposto e gli altri, cui è subordinata la richiesta d’instaurazione del rito.
Il previo interrogatorio della persona sottoposta alle indagini o, comunque,
la contestazione dell’accusa con l’invito a comparire emesso nelle forme indicate
nell’art. 375, comma 3, cod. proc. pen. è indispensabile per porre la persona in
condizione di esporre la sua versione, fornire le sue discolpe, adottare le più
opportune iniziative defensionali, interloquire sulla natura, evidente o meno,
delle prove, contrastare la richiesta di emissione del decreto di giudizio
immediato e la sua eventuale adozione. Il contraddittorio effettivo (o, quanto
meno, la possibilità dello stesso) in ordine all’esito delle investigazioni svolte dal
pubblico ministero rappresenta un passaggio procedimentale ineludibile per la
formulazione del giudizio di evidenza della prova, implicante, come già detto, un
apprezzamento di superfluità dell’udienza preliminare.
La previsione di termini predeterminati per lo svolgimento delle indagini e
per la richiesta di instaurazione del rito costituisce un ulteriore presupposto
coerente con gli altri legislativamente previsti, potendosi cogliere un chiaro nesso
tra non particolare complessità delle indagini, evidenza della prova, stato
19

compiuta nell’udienza preliminare. In altri termini, gli elementi raccolti nel corso

detentivo della persona accusata (nel giudizio immediato c.d. custodiale),
peculiari esigenze di celerità e di risparmio di risorse processuali che connotano
tale rito (Corte cost. sentt. nn. 52 del 2004, 12 del 2003, 256 del 2003, 371 del
2002). Solo le indagini suscettibili di essere svolte in un tempo contenuto hanno
la capacità d’indurre a quella valutazione di evidenza probatoria, destinata alla
pronta verifica dibattimentale. Come osservato dalla dottrina e da una parte
della giurisprudenza, il superamento dei termini stabiliti dall’art. 454 cod. proc.
pen. può legittimare una sorta di presunzione legale di non evidenza della prova

10. La presentazione, ad opera del pubblico ministero, della richiesta di
adozione di decreto di giudizio immediato rappresenta un atto d’impulso
processuale, teso all’instaurazione del rito, soggetto al controllo del giudice per
le indagini preliminari e alla condizione risolutiva dell’accoglimento della
domanda stessa. Gli artt. 454 e 455 cod. proc. pen. distinguono, infatti,
nettamente il momento dell’iniziativa del pubblico ministero da quello relativo
alla verifica giudiziale della sussistenza di tutti i presupposti per l’effettiva
instaurazione del rito in questione.
La richiesta tardivamente presentata dal pubblico ministero o in quanto le
indagini si siano protratte oltre il termine di legge o in quanto, pur essendosi gli
accertamenti conclusi tempestivamente, il magistrato inquirente abbia omesso di
trasmetterla alla cancelleria del giudice per le indagini preliminari nel rispetto di
quanto disposto dagli artt. 454, comma 1, e 453, comma 1-bis, cod. proc. pen,
deve essere sottoposta al penetrante vaglio giurisdizionale del giudice per le
indagini preliminari secondo i parametri normativamente stabiliti dal combinato
disposto degli artt. 453, 454, 455 cod. proc. pen. Di conseguenza, l’omesso
rispetto dei termini nello svolgimento delle investigazioni e/o nella formulazione
della richiesta di giudizio immediato, sia esso tipico che c.d. custodiale, ha rilievo
sia come insussistenza di un presupposto necessario ed equipollente agli altri ai
fini della corretta instaurazione del giudizio sia come elemento negativo della
evidenza della prova.
La previsione, nell’ambito del giudizio immediato, di specifici limiti
cronologici per lo svolgimento delle indagini preliminari costituisce il frutto di una
precisa scelta operata dal legislatore al fine di soddisfare, da un lato, la necessità
di imprimere tempestività alle investigazioni nei casi in cui la prova appare
evidente (giudizio immediato ordinario) e, dall’altro, di contenere in un lasso di
tempo predeterminato la condizione di chi a tali indagini è assoggettato in stato
20

(Sez. 5, n. 1245 del 21/01/1998, Cusani, cit.).

di custodia cautelare (giudizio immediato c.d. cautelare)
Tale opzione si raccorda intimamente alle finalità stesse dell’attività di
indagine, destinata a consentire al pubblico ministero di assumere le proprie
determinazioni inerenti all’esercizio della azione penale nelle forme di cui all’art.
453 cod. proc. pen., con l’ovvio corollario che il compimento di investigazioni
tendenzialmente complete entro il lasso di tempo stabilito dalla legge viene
funzionalmente a correlarsi con la valutazione di evidenza della prova che
consente al pubblico ministero, dopo avere ammesso la persona a fornire le
proprie discolpe, di esercitare l’azione penale omettendo l’udienza preliminare a

Tale approdo ermeneutico, oltre ad essere coerente con la ratio dell’istituto
in esame, non limita né vanifica le attribuzioni istituzionali del pubblico ministero
che, in caso di accertamenti complessi, insuscettibili di esaurirsi entro i precisi
limiti temporali dettati, rispettivamente, dagli artt. 454 e 453, comma 1-bis, cod.
proc. pen., ben può esercitare in altra forma l’azione penale mediante richiesta di
rinvio a giudizio, come del resto si desume dalla previsione in termini di mera
facoltatività contenuta nel primo comma dell’art. 454 cod. proc. pen. («può
chiedere») e dalla clausola di salvaguardia presente nel comma

1-bis della

medesima disposizione («salvo che la richiesta pregiudichi gravemente le
indagini»).
L’enunciato che contraddistingue la disciplina normativa è, quindi, univoco
nel suo valore e significato precettivo. La circostanza che il pubblico ministero sia
tenuto a trasmettere alla cancelleria del giudice per le indagini preliminari la
richiesta di giudizio immediato entro i termini indicati, rispettivamente, dall’art.
454, comma 1, e 453, comma 1-bis, cod. proc. pen. evoca la configurazione di
un siffatto incombente in termini di rigorosa “doverosità”, nel senso di
riconnettere in capo all’organo titolare dell’azione penale uno specifico e
indilazionabile obbligo giuridico di assumere le proprie determinazioni nei limiti
cronologici stabiliti dalla legge, obbligo, che deve essere adempiuto senza alcuna
soluzione di continuità rispetto al momento in cui sorgono i relativi presupposti.
In questo contesto non é, quindi, condivisibile, l’orientamento esegetico che,
pur in assenza di qualsiasi espressa previsione normativa, distingue, ai fini della
verifica della tempestività del rito, le attività d’indagine coessenziali ai fini
dell’evidenza della prova rispetto alle altre ad essa estranee oppure differenzia il
profilo attinente allo svolgimento delle indagini, che deve avvenire nel rispetto
dei limiti cronologici perentori fissati dalla legge dal termine, da quello
meramente ordinatorio, della presentazione della richiesta (cfr., con riferimento
21

condizione che il giudice ritenga sussistenti tutti i presupposti del rito.

al giudizio immediato ordinario, Sez. 1, n. 24617 del 10/04/2001, De Siena, cit.;
Sez. 1, n. 26305 del 27/05/2004, Dentici, cit.; Sez. 3, n. 273 del 26/09/1995,
Pellegrino, cit.; cfr, inoltre, in relazione al giudizio immediato custodiale Sez. 6,
n. 41038 del 20/10/2009, Amato, Rv. 244858), ovvero qualifica come
meramente “sollecitatorio” il termine per la richiesta di giudizio immediato (Sez.
3, n. 41078 del 07/07/2011, Zappalà, non massimata; Sez. 1, n. 2321 del
09/12/2009, Stilo, Rv. 246036; Sez. 6, n. 47348 del 01/12/2009, Morello, Rv.
245490, tutte in tema di giudizio immediato custodiale).

diritto: “L’inosservanza dei termini di novanta e centottanta giorni, previsti
rispettivamente per la richiesta di giudizio immediato ordinario e per quello
cautelare è rilevabile da parte del giudice per le indagini preliminari, attenendo ai
presupposti del rito”.

11. L’ordinamento processuale prevede un correttivo interno al sistema
rispetto a possibili “patologie”, laddove affida al giudice per le indagini
preliminari, investito della richiesta di giudizio immediato, il controllo circa la
sussistenza dei presupposti per il passaggio alla fase dibattimentale senza la
previa celebrazione dell’udienza preliminare.
Dal tenore letterale dell’art. 455 cod. proc. pen. e dalla sua lettura logicosistematica insieme con gli artt. 453 e 454 cod. proc. pen. si evince che il ruolo
del giudice per le indagini preliminari assume un rilievo centrale e risolutivo nello
sviluppo della sequenza procedimentale che dalla fase delle indagini preliminari è
suscettibile di approdo al dibattimento senza il previo contradditorio fra le parti
in sede di udienza preliminare.
Lo spettro di valutazione affidato al giudice per le indagini preliminari non
attiene a profili di ammissibilità formale, ma è ampio e penetrante, in quanto
riguarda la verifica della sussistenza di tutti i presupposti previsti dalla legge, fra
loro strettamente correlati e funzionali alla fisiologica e corretta dinamica
procedimentale. Tale giudizio, pur non svolgendosi nelle forme del
contraddittorio camerale (art. 127 cod. proc. pen), non evocabile in relazione alle
forme introduttive di questo tipo di rito in ragione delle sue peculiari connotazioni
e della sua ratio giustificativa (Corte cost., ordd. nn. 203 del 2002, 371 del
2002, 127 del 2003, 52 del 2004), non può prescindere dal compiuto esame
degli argomenti offerti dalla difesa che, in sede d’interrogatorio o mediante
memorie presentate ai sensi dell’art. 121 cod. proc. pen., nel contestare la
fondatezza dell’accusa, abbia motivatamente censurato la sussistenza dei
22

Può, quindi, conclusivamente affermarsi il seguente principio di

presupposti per l’eventuale instaurazione del rito.
Lo scrutinio positivo comporta l’emissione del decreto che dispone il giudizio
immediato, introduttivo della fase del dibattimento. Al contrario, la carenza di
taluno dei presupposti indicati dagli artt. 453, commi 1 e 1-bis, e 454 cod. proc.
pen. impone al giudice il rigetto della richiesta avanzata dal pubblico ministero
cui gli atti devono essere conseguentemente restituiti per le sue ulteriori
determinazioni in ordine a differenti modalità di esercizio dell’azione penale.
Attesa la sua natura endoprocessuale e meramente strumentale all’interno

provvedimento adottato dal giudice per le indagini preliminari è insuscettibile di
sindacato da parte del giudice del dibattimento (Sez. 3, n. 31728 del
28/03/2013, En Naoumi Youssef, Rv. 2546733; Sez. 6, n. 6989 del 10/01/2011,
C., Rv. 249563; Sez. 4, n. 39597 del 27/06/2007, Pierfederici, cit.; Sez. 1, n.
23927 del 14/04/2004, Di brio, cit.; Sez. 1, n. 24617 del 10/04/2001, De Siena,
cit.; Sez. 1, n. 9553 del 14/07/2000, Kallerig, cit.; Sez. 5, n. 1245 del
21/01/1998, Cusani, cit.; Sez. 5, n. 5154 del 19/02/1992, Fresta, cit.) in
coerenza del resto, con i principi affermati dalla Consulta che ha
condivisibilmente affermato che non esiste una norma costituzionale che
imponga di riconoscere anche al giudice del dibattimento il potere di valutare
l’ammissibilità del rito (Corte cost. sent., n. 482 del 1992).
Il decreto che dispone il giudizio immediato (sia esso tipico che c.d.
custodiale) chiude, invero, una fase di carattere endoprocessuale assolutamente
priva di conseguenze rilevanti ai fini dell’eventuale condanna dell’imputato, i cui
diritti di difesa non sono in alcun modo lesi dalla sua eventuale erronea adozione
che può assumere semmai rilievo in ambiti diversi da quello processuale. Una
conclusione del genere non è contraddetta dalla circostanza che il giudice del
dibattimento può rilevare l’omesso interrogatorio dell’accusato prima della
formulazione della richiesta di giudizio immediato. Tale vizio é, infatti, rilevabile
dal giudice del dibattimento in quanto violazione di una norma procedimentale
concernente l’intervento dell’imputato, sanzionata di nullità a norma degli artt.
178, comma 1, lett. c) e 180 cod. proc. pen. e non in quanto carenza di un
presupposto del rito.
Per queste ragioni non è condivisibile il minoritario orientamento
giurisprudenziale che, pur con diversità di accenti, ritiene ammissibile una
qualche forma di sindacato del giudice del dibattimento sul decreto di giudizio
immediato emesso dal giudice per le indagini preliminari, talora ritenendo non
abnorme l’ordinanza del giudice dibattimento che ne dichiari la nullità per
23

della più ampia sequenza procedimentale di approdo alla fase del dibattimento, il

insussistenza dei presupposti del rito (Sez. 6, n. 8878 del 31/01/2003, Perri,
cit.), altre volte riconducendo impropriamente a tale ambito questioni
concernenti l’utilizzazione degli atti (Sez. 3, n. 41777 del 16/04/2013; Sez. 3, n.
41867 del 11/07/2007, Rv. 238021; Sez. 1, n. 32722 del 04/07/2003, Ferrua,
Rv. 226179).
La lettura delle norme che disciplinano l’ammissione del giudizio immediato
sin qui delineata non solo è rispettosa dei principi desumibili dalla Costituzione
(artt. 3, 24, 97, 101, 111), ma appare coerente con il complessivo assetto del
processo penale che attribuisce rilevo centrale al dibattimento, quale sede

contradditorio fra le parti il diritto di difesa. L’eventuale regressione del processo
alla fase precedente in accoglimento di eccezioni difensive volte – come nel caso
in esame – ad ottenere la declaratoria di nullità del decreto di giudizio immediato
per omesso rispetto dei termini previsti dagli artt. 453, comma 1-bis, e 454 cod.
proc. pen. sarebbe contrario ai principi dell’ordinamento processuale e ad
esigenze di razionalità e di celerità. In un sistema tendenzialmente accusatorio,
basato sulla centralità del dibattimento, una volta instaurato il giudizio
immediato all’esito delle verifiche del giudice per le indagini preliminari, l’omesso
rispetto dei termini è irrilevante, atteso il prevalente interesse dell’imputato alla
celebrazione del giudizio in un tempo ragionevole. Inoltre, l’unico momento in cui
il giudice del dibattimento sarebbe in condizione di potere verificare la
correttezza della precedente valutazione operata dal giudice per le indagini
preliminari in ordine all’evidenza della prova è quello che si colloca al termine
dell’istruttoria dibattimentale.
Sulla base delle considerazioni sinora svolte, deve affermarsi il seguente
principio di diritto: “La decisione con la quale il giudice per le indagini preliminari
dispone il giudizio immediato non può essere oggetto di ulteriore sindacato”.

12. In base alle considerazioni svolte al paragrafo che precede devono
ritenersi infondati i motivi di ricorso con i quali la difesa del ricorrente ha
denunciato violazione della legge processuale penale, per insussistenza di alcuni
dei presupposti di instaurazione del giudizio immediato (prova evidente e
rispetto dei termini stabiliti dagli artt. 453, comma 1-bis, e 454 cod. proc. pen.)
e per omessa specificazione della tipologia (ordinaria o custodiale) del rito.

13. Non meritano accoglimento neppure le censure riguardanti l’asserita
nullità del decreto di giudizio immediato per insussistenza dei requisiti
24

fondamentale di verifica giurisdizionale in cui può esplicarsi con pienezza e nel

legittimanti, per insufficiente illustrazione delle facoltà di richiedere riti
alternativi, per omessa, tempestiva notifica ai difensori di fiducia dell’imputato.
13.1. Le prime due censure, oltre ad essere genericamente formulate, sono
palesemente prive di qualsiasi fondamento.
Il decreto di giudizio immediato, il cui esame è consentito trattandosi di
denuncia di error in procedendo ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod.
proc. pen. (Sez. U, n. 42792 del 31/10/2001, Policastro, Rv. 220092), è
pienamente rispondente al modello legale delineato dal combinato disposto degli
artt. 456, commi 1 e 2, e 429, commi 1 e 2, cod. proc. pen. e presenta tutti i

Il decreto di giudizio immediato contiene, inoltre, lo specifico e rituale avviso
che l’imputato ha la facoltà di richiedere il giudizio abbreviato, entro il termine di
quindici giorni dalla notifica del provvedimento di

vocatio in iudicium

o

l’applicazione della pena. La mancata specificazione della natura perentoria del
termine, previsto a pena di decadenza, rappresenta una mera irregolarità,
ininfluente ai fini del pieno esercizio del diritto di difesa nell’ambito del più ampio
contesto normativo richiamato nel provvedimento.
L’erronea menzione dell’art. 444 cod. pen. anziché dell’art. 444 cod. proc.
pen. rappresenta, all’evidenza, un mero errore materiale che non ha in alcun
modo conculcato il pieno e consapevole esercizio del diritto di difesa, attesa
l’espressa, integrale menzione del rito e non solo dei suoi estremi normativi.
13.2. Parimenti priva di pregio è l’ulteriore censura di nullità del decreto.
La lettura logico-sistematica degli artt. 456, 429, commi 1 e 2, cod. proc.
pen rende evidente la necessità di distinguere gli aspetti concernenti la validità
del decreto di giudizio immediato – affetto da nullità solo se l’imputato non è
identificato in modo certo ovvero se manca o è insufficiente l’indicazione di uno
dei requisiti previsto dal comma 1, lett. c) e t), dell’art. 429 cod. proc. pen, cui
l’art. 456, comma 1, cod. proc. pen. fa integrale rinvio recettizio – dai profili
attinenti alla ritualità della sua notificazione (Sez. 1, n. 6124 del 13/01/2009, De
Felice, Rv. 243226; Sez. 1, n. 8887 del 19/02/2002, Masciarelli, Rv. 221041;
Sez. 1, n. 7408 del 22/12/1997, Boselli, Rv. 209470).
Eventuali vizi nella procedura di notificazione del decreto di giudizio
immediato non incidono in alcun modo sulla validità del decreto quale atto
propulsivo della progressione del procedimento da una fase all’altra, ma
attengono unicamente alla regolare celebrazione del dibattimento che deve
essere assicurata dal giudice del dibattimento, cui compete sanare una nullità
generale a regime intermedio come quella derivante dall’omessa tempestiva
25

requisiti previsti dalle citate disposizioni.

notifica al difensore dell’imputato del decreto di giudizio immediato nel rispetto
dei termini di legge.
Nel caso in esame, la sentenza impugnata ha correttamente distinto il piano
dei requisiti di validità del decreto di giudizio immediato da quello riguardante la
procedura di notifica e ha evidenziato l’improprio richiamo alla invalidità del
decreto di giudizio immediato, in presenza di una nullità relativa alla sola notifica
dello stesso a seguito dell’omesso rispetto del termine a comparire di trenta
giorni (art. 456, commi 3 e 5, cod. proc. pen.). Ha, altresì, messo in luce la
piena ritualità della nuova notifica, disposta all’udienza del 30 settembre 2010

presente all’udienza e destinatario della notifica del decreto di giudizio immediato
sin dal 6 luglio 2010), ai sensi degli artt. 485 cod. proc. pen, e 143 disp. att.
cod. proc. pen, dal Presidente del Collegio per l’udienza del 2 novembre 2010.

14. Non fondata è anche la doglianza concernente la mancata ammissione
del giudizio abbreviato.
La sentenza impugnata, con motivazione immune da vizi giuridici, ha
evidenziato che il decreto di giudizio immediato emesso dal giudice per le
indagini preliminari, idoneo a segnare, con l’esercizio dell’azione penale, il
passaggio alla fase dibattimentale, era produttivo di effetti anche ai fini del
decorso dei termini per richiedere, a pena di decadenza, il giudizio abbreviato. In
tale prospettiva, richiamando il contenuto dell’ordinanza dibattimentale
pronunziata all’udienza del 2 novembre 2010, ha correttamente argomentato la
tardività della richiesta di giudizio abbreviato, avanzata per la prima volta
dall’imputato il 6 ottobre 2010.
La lettura logico-sistematica degli artt. 456, commi 2 e 3, e 458, comma 1,
cod. proc. pen. evidenzia distinte ed autonome sequenze procedimentali,
ciascuna connotata da una propria finalità, scaturenti dalla notifica del decreto di
giudizio immediato, atto a contenuto complesso volto, da un lato, a garantire
(come in precedenza detto) il controllo giurisdizionale sul rito e, dall’altro, ad
attuare la vocatio in iudicium rendendo, al contempo, edotto l’imputato della
facoltà di accesso al rito abbreviato (art. 438 cod. proc. pen.) o all’applicazione
concordata della pena (art. 444 cod. proc. pen.).
L’art. 456, comma 2, cod. proc. pen. illustra il contenuto del decreto di
giudizio immediato, stabilendo che esso deve, tra l’altro, contenere l’avviso,
rivolto all’imputato, di richiedere i riti alternativi previsti, rispettivamente, dagli
artt. 438 e 444 cod. proc. pen.
26

sia nei confronti dei due difensori dell’imputato sia di quest’ultimo (pur se

L’art. 456, comma 3, cod. proc. pen. non attiene, invece, ai profili
contenutistici del decreto di giudizio immediato, bensì regola la fase
dibattimentale da esso introdotta, fissando un termine a comparire non inferiore
a trenta giorni, funzionale a consentire alle parti la costituzione in giudizio e
un’adeguata predisposizione delle iniziative difensive in tale sede.
Infine, l’art. 458, comma 1, cod. proc. pen. disciplina i tempi di accesso al
giudizio abbreviato da parte dell’imputato nei cui confronti sia stato validamente
emesso il decreto di giudizio immediato, stabilendo che, a pena di decadenza, la
richiesta deve essere avanzata entro quindici giorni dalla notifica del suddetto

preliminari. L’atto evocativo, pur essendo unico, ha una natura complessa,
disciplinando due modalità alternative dell’esercizio del diritto: la richiesta di
giudizio abbreviato oppure la partecipazione al dibattimento introdotto dal
decreto di giudizio immediato. Con la formulazione della domanda di accesso al
rito alternativo è perento il diritto di formulare eccezioni concernenti
esclusivamente la fase dibattimentale.
La nullità del decreto di giudizio immediato non può, in ogni caso, derivare
dalla patologia della procedura di notificazione conseguente all’omesso rispetto
del termine libero a comparire di trenta giorni. Tale ipotesi di nullità della vocatio
in iudicium non è prevista dall’art. 429 cod. proc. pen., richiamato dall’art. 456,
comma 1, cod. proc. pen. In ogni caso, l’inosservanza del disposto dell’art. 456,
comma 3, cod. proc. pen. costituisce un vizio rilevante ai soli fini della regolare
celebrazione del dibattimento e non si riflette sulla validità dell’atto propulsivo
del giudizio pienamente rispondente al modello legale né sulla decorrenza del
termine per l’accesso al rito alternativo, la cui eventuale instaurazione precede la
celebrazione del dibattimento, come desumibile, tra l’altro, dall’art. 457 cod.
proc. pen., il quale prevede la trasmissione del decreto che dispone il giudizio
immediato, insieme con il fascicolo formato a norma dell’art. 431 cod. proc. pen.
soltanto dopo il decorso dei termini previsti dall’art. 458, comma 1, cod. proc.
pen.
Sotto tutti questi profili, dunque, le censure difensive non meritano
accoglimento.

15. Non è fondata la doglianza di violazione di legge, prospettata dal
ricorrente per non essere stato consentito alla difesa di disporre dei files audio
trascritti e, al contempo, di ottenere il differimento dell’esame del perito
trascrittore per consentire un previo ascolto dei predetti supporti.
27

provvedimento, mediante deposito nella cancelleria del giudice per le indagini

I giudici di merito hanno evidenziato che tutta la documentazione relativa
alle intercettazioni era stata ritualmente depositata a norma dell’art. 454,
comma 2, cod. proc. pen., secondo quanto risultante dalle attestazioni apposte
dalla cancelleria dell’ufficio del Giudice per le indagini preliminari sulla
documentazione trasmessa dal Pubblico ministero ai sensi dell’art. 454, comma
2, cod. proc. pen. L’imputato e i suoi difensori erano stati, quindi, posti in
condizione di ottenere la duplicazione dei relativi supporti magnetici. Il ricorrente
non ha, d’altra parte, dimostrato in alcun modo l’asserita mancanza di tale
documentazione tra gli atti del fascicolo ritualmente depositato presso la

E’ stato, altresì, messo in luce il fatto che, nel corso delle operazioni peritali
volte alla trascrizione delle conversazioni intercettate,sono state garantite alle
parti tutte le facoltà loro concesse dall’ordinamento processuale: è stato dato
rituale avviso dell’inizio delle operazioni peritali e della possibilità di nomina di
consulenti di parte, inoltre le attività di trascrizione si sono svolte nel pieno
contraddittorio.

16. I motivi di ricorso concernenti il metodo di valutazione delle prove e la
struttura logico argomentativa della sentenza impugnata sono anch’essi
infondati.
16.1. Nella giurisprudenza di legittimità è stato chiarito che il procedimento
logico di valutazione degli indizi si articola in due distinti momenti. Il primo è
diretto ad accertare il maggiore o minore livello di gravità e di precisione degli
indizi, ciascuno considerato isolatamente nella sua valenza qualitativa, tenendo
presente che tale livello è direttamente proporzionale alla forza di necessità
logica con la quale gli elementi indizianti conducono al fatto da dimostrare ed è
inversamente proporzionale alla molteplicità di accadimenti che se ne possono
desumere secondo le regole di esperienza. Il secondo momento del giudizio
indiziario è costituito dall’esame globale e unitario tendente a dissolverne la
relativa ambiguità, posto che nella valutazione complessiva ciascun indizio si
somma e si integra con gli altri, confluendo in un medesimo contesto
dimostrativo, sicché l’incidenza positiva probatoria viene esaltata nella
composizione unitaria, e l’insieme può assumere il pregnante e univoco
significato dimostrativo, per il quale può affermarsi conseguita la prova logica del
fatto (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231678; Sez. U, n. 6682
del 4/2/992, Musumeci, Rv. 191231).
16.2. Entrambe le Corti territoriali, con un percorso epistemologicamente
28

cancelleria del Giudice per le indagini preliminari.

corretto e argomentazioni motivate circa le opzioni valutative della prova, hanno
ritenuto che plurimi e convergenti elementi dimostrativi della responsabilità
dell’imputato in ordine al delitto di omicidio volontario aggravato in danno di
Michele Zizzari siano costituiti dal contenuto delle dichiarazioni rese da Paolo
Carlucci, motivatamente ritenute dotate di intrinseca attendibilità e riscontrate
oggettivamente, dall’esito degli accertamenti medico-legali, dalle risultanze dei
rilievi tecnici e fotografici eseguiti nell’immediatezza del fatto, dalle attività di
perquisizione e sequestro che avevano consentito il rinvenimento, all’interno del
casolare in uso a Squicciarino, dell’arma utilizzata per la commissione del delitto,

ambientali, dai tabulati telefonici acquisiti, dalla deposizione di Angela Di Leo,
nonché dalla stesse parziali ammissioni dell’imputato.
I giudici di merito, con iter argomentativo correttamente sviluppato, hanno
analizzato ciascuno dei suddetti elementi nella sua specifica valenza indiziaria,
nelle sue inferenze con le altre risultanze e poi hanno esaminato unitariamente
l’intero materiale probatorio anche alla luce dei rilievi difensivi, fornendo poi una
giustificazione razionale e coerente delle ragioni per le quali sussistevano le
condizioni per ritenere dimostrata, al di là di ogni ragionevole dubbio, la
responsabilità dell’imputato in ordine al delitto a lui contestato.
In realtà, il ricorrente, pur denunziando formalmente una violazione di legge
in riferimento ai principi di valutazione della prova di cui all’art. 192, comma 2,
cod. proc. pen., non evidenzia la violazione di specifiche regole inferenziali
preposte alla formazione del convincimento del giudice, bensì, postulando un
preteso travisamento del fatto, chiede la rilettura del quadro probatorio e, con
esso, il sostanziale riesame nel merito, non consentito in sede d’indagine di
legittimità sul discorso giustificativo della decisione, allorquando la struttura
razionale della sentenza impugnata abbia – come nella specie – una sua chiara e
puntuale coerenza argomentativa e sia saldamente ancorata, nel rispetto delle
regole della logica, alle risultanze del quadro probatorio, indicative univocamente
della coscienza e volontà del ricorrente di cagionare la morte di Michele Zizzari.

17. Infondato è anche il motivo di ricorso con il quale vengono denunciati
violazione di legge e vizio della motivazione in merito al diniego delle circostanze
attenuanti generiche e al complessivo trattamento sanzionatorio.
La sentenza impugnata, nel rispetto dei principi costantemente enunciati
dalla giurisprudenza di legittimità e con motivazione esente da vizi logici e
giuridici, ha motivato il diniego delle circostanze attenuanti generiche e il
29

occultata in un ripostiglio, dal contenuto delle intercettazioni telefoniche e

complessivo trattamento sanzionatorio con l’estrema gravità del delitto, quale
desumibile dalla sua natura e dalle modalità di realizzazione, con l’intensità del
dolo sotteso alla condotta illecita, con il comportamento antecedente e
susseguente al reato, espressivo dell’assenza di qualsiasi forma di resipiscenza
da parte di una persona nel pieno possesso delle sue facoltà fisiche e mentali,
dotata di un buon livello culturale e ben inserita nel contesto sociale.

18. Al rigetto del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso il 26/06/2014.

pagamento delle spese processuali.

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