Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 42950 del 01/10/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 42950 Anno 2014
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: MACCHIA ALBERTO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MANNO DANIELE N. IL 30/10/1977
avverso la sentenza n. 4585/2012 CORTE APPELLO di PALERMO,
del 09/06/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 01/10/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ALBERTO MACCHIA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per ca

°

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 01/10/2014

Con sentenza del 19 giugno 2013, la Corte di appello di Palermo, in parziale
riforma della sentenza emessa il 28 marzo 2012, dal Tribunale della medesima città,
con la quale CIVILLERI Sabino e MANNO Daniele erano stati condannati
rispettivamente il primo alla pena di mesi cinque di reclusione quale imputato dei
delitti di cui agli artt. 2633, 2639 (capo A) e 2622 cod. civ. (capo B) ed il secondo
alla pena di mesi quattro di reclusione quale imputato, in concorso col primo, dei
reati di cui agli arti. 2633 e 2639 cod. civ., nonché al risarcimento dei danni in favore
della parte civile Delisi Laura, ha riqualificato il reato contestato al capo A) della
rubrica in quella prevista e punita dagli artt. 646 e 61 n. 11 cod. pen., confermando
nel resto la impugnata sentenza.
Propone ricorso per cassazione il difensore del MANNO il quale lamenta
violazione di legge anche in rapporto alla giurisprudenza della CEDU in riferimento
alla avvenuta diversa qualificazione giuridica del reato di cui al capo A), in assenza di
contraddittorio sul punto. Si rinnovano, poi, le censure riguardanti la prospettata
tardività della querela e si deduce che il fatto poteva essere qualificato nel perimetro
del reato di cui all’art. 2634 cod. civ. Nel terzo motivo si ripropongono le doglianze
relativa alla mancata applicazione della attenuante di cui all’art. 2640 cod. civ., la
eccessività della somma determinata a titolo di risarcimento del danno e la mancata
sostituzione della pena detentiva in quella pecuniaria. Si deduce, infine, la intervenuta
prescrizione del reato.
Il ricorso è palesemente inammissibile. Quanto, infatti, al vizio derivante dalla
modifica della qualificazione giuridica del fatto in assenza di contraddittorio sul
punto — peraltro del tutto corretta in diritto ed ampiamente articolata nei suoi
presupposti dimostrativi, che ne rendevano fin troppo trasparente l’ampia
“prevedibilità”- il motivo è privo di interesse, in quanto la diversa qualificazione non
ha determinato alcun effetto pregiudizievole, sia sul versante del trattamento
sanzionatorio, sia per ciò che concerne termine di prescrizione del reato. A proposito,
poi, della procedibilità, la pronuncia di appello ha diffusamente affrontato il tema
della tempestività della querela prospettando deduzioni in fatto e in diritto del tutto
esaurienti ed in linea con la giurisprudenza di questa Corte formatasi in tema di favor
querelae. Questa Corte ha infatti reiteratamente avuto modo di sottolineare che, in
tema di querela, l’onere della prova della intempestività della stessa è a carico del
querelato che la deduce e, nella eventuale situazione di incertezza, va risolta a favore
del querelante. (Sez. 5, n. 13335 del 17/01/2013 – dep. 21/03/2013, P.M. e p.o. in
proc. Moggi e altri, Rv. 255060). Del pari adeguata e puntuale è la motivazione
esibita dai giudici a quibus, tanto per ciò che attiene i profili risarcitori, che in merito
alla mancata applicazione di attenuanti speciali e di sostituzione della pena, avuto
riguardo, per di più, alla genericità delle doglianze devolute, su tali punti, ai giudici
del gravame. Il reato non era prescritto alla data della pronuncia della sentenza di
appello.
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2

OSSERVA

Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla Cassa delle ammende di
una somma che si stima equo determinare in euro 1.000,00 alla luce dei principi
affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro mille alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 1 ottobre 2014
Il Consigleejestensore

Presiden(t,

P. Q. M.

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