Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4293 del 13/05/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 4293 Anno 2015
Presidente: DI VIRGINIO ADOLFO
Relatore: PAOLONI GIACOMO

SENTENZA
sul ricorso proposto da
MOCEO Giuseppe, nato a Palermo il 02/01/1969,
avverso la sentenza del 10/12/2013 della Corte di Appello di Palermo;
letti gli atti, i ricorsi e la sentenza impugnata;
udita la relazione del consigliere Giacomo Paoloni;
udito il pubblico ministero in persona del sostituto Procuratore generale Eduardo
Scardaccione, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

FATTO E DIRITTO
1. Con atto d’impugnazione personale l’imputato Giuseppe Moceo ricorre per
cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello di Palermo, che ha confermato la
sentenza del Tribunale di Palermo sezione di Carini del 6.4.2012, con cui è stato
riconosciuto colpevole del reato di evasione dal regime cautelare degli arresti donniciliari,
avendo i carabinieri di Carini constatata il 2.7.2006 il suo prolungato arbitrario
allontanamento dall’abitazione ove si trovava sottoposto alla misura intramurale,
effettuando ripetuti accessi presso detta dimora nella stessa giornata del 2.7.2006.
Condotta illecita per la quale al Moceo è stata inflitta la pena, concessegli le attenuanti
generiche, di quattro mesi di reclusione.
2. Con il ricorso sono formulati due motivi di censura.

Data Udienza: 13/05/2014

2.1. Con il primo motivo si deduce erronea applicazione dell’art. 385 co. 3 c.p. e
carenza di motivazione, poiché l’abitazione del Moceo è situata all’interno di un esteso
fondo agricolo, nel quale egli ben poteva recarsi senza eludere la misura cautelare
domestica anche al fine di evitare i continui e accesi litigi insorti con la moglie. Litigi della
cui attualità ha dato contezza anche l’operante brigadiere Andrea Misuraca.
2.2. Con il secondo motivo di impugnazione si denuncia la mancata assunzione di
una prova decisiva, avendo la Corte di Appello inopinatamente respinto la richiesta della

supportate da copiosa documentazione fotografica, a dimostrazione del fatto che
l’abitazione dell’imputato si trova in una strada di Carini (Via Sant’Anna di Villagrazia)
dove insistono altri sette domicili tutti contraddistinti dal numero civico 174 al pari
dell’abitazione del ricorrente. Di qui la addotta non coincidenza dei luoghi descritti dai
militari operanti con quelli in cui il Moceo trovavasi ristretto in regime di arresti domiciliari.
3. Il ricorso di Giuseppe Moceo deve essere dichiarato inammissibile per genericità
e manifesta infondatezza delle due delineate censure, per altro tra loro contrastanti (la
prima evoca la presenza dell’imputato nell’area agricola annessa al suo manufatto
abitativo; la seconda contesta l’esatta individuazione di detto manufatto).
Entrambe le doglianze, che replicano i motivi di appello adeguatamente valutati
dall’impugnata decisione di appello (e afferenti ad evenienze già esaminate e disattese dal
giudice di primo grado) sono totalmente prive di pregio.
Per la semplice ragione che esse hanno trovato ampia e giuridicamente corretta
soluzione reiettiva nella motivazione dell’impugnata sentenza. In vero emerge dalla stessa
che l’iniziale controllo presso l’abitazione del Moceo è avvenuto su segnalazione della
moglie dell’imputato che ha riferito dell’allontanamento del coniuge a bordo del suo
ciclomotore, secondo quanto testimoniato dal brigadiere Misuraca. Questi, d’altro canto,
come evidenziano sia la sentenza di appello che la richiamata sentenza di primo grado, ha
precisato di conoscere bene l’esatta ubicazione della dimora del Moceo per avervi già
eseguito in passato diversi altri controlli, altresì rimarcando di non avere riscontrato, il
giorno dell’episodio criminoso integrante la regiudicanda, la consueta presenza del
ciclomotore dell’imputato nelle adiacenze dell’abitazione.
Gli esiti valutativi delle deduzioni censorie del ricorrente divengono, quindi,
agevolmente formulabili.
Per un verso sulla base di quanto attestato dai carabinieri operanti intervenuti
presso l’abitazione dell’imputato, dove hanno preso contatto con la moglie del Moceo, non
è prospettabile alcuna incertezza sulla corretta individuazione della dimora del ricorrente,
rendendosi così inutili il sopralluogo e gli accertamenti spaziali invocati con il ricorso. Per
altro verso non è comunque revocabile in dubbio che, a tutto concedere, l’imputato non
aveva alcun titolo per spostarsi dalla sua stretta dimora e recarsi nel fondo agricolo di sua

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difesa di accertamento dell’effettivo stato dei luoghi e ignorato le allegazioni difensive,

proprietà. In vero la nozione di abitazione e relative pertinenze, dalla quale è vietato
allontanarsi al soggetto sottoposto alla cautela domestica, è rigorosamente limitata -anche
in funzione della esperibilità dei necessari controlli sulla osservanza della misura- alla
dimora in cui il soggetto svolge la propria vita domestica e privata con esclusione di ogni
altra appartenenza (aree condominiali, dipendenze, giardini, cortili, fondi finitimi e spazi
simili) che non sia di stretta pertinenza dell’abitazione e non ne costituisca parte
integrante (cfr. ex plurimis: Sez. 6, n. 4143 del 17.1.2007, Bompressi, rv. 236570; Sez.
6, n. 3212/08 del 18.12.2007, Perrone, rv. 238413; Sez. 3, n. 4369/14 del 12.12.2013,

Merita aggiungere per completezza di analisi che il reato ascritto al Moceo non è
attinto da causa estintiva prescrizionale, registrandosi nel giudizio di merito sospensioni
del decorso del termine per complessivi sei mesi. In ogni caso la genetica inammissibilità
del proposto ricorso per cassazione, impedendo l’instaurarsi di un valido rapporto
impugnatorio, precluderebbe ogni possibilità di rilevare l’estinzione del reato per
prescrizione sopravvenuta alla sentenza di secondo grado (Sez. U, n. 32 del 22.11.2000,
De Luca, rv. 217266; Sez. U, n. 23428 del 22.3.2005, Bracale, rv. 231164).
All’inammissibilità del ricorso segue per legge la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e al versamento dell’equa somma di euro 1.000 (mille)
alla cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro mille in favore della cassa delle ammende.
Roma, 13 maggio 2014
/
Il consigliere stenso re
Giacomo

Il Presidente
dolfp Di Virginio
I

LA.142

Radice, rv. 258838).

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