Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 42891 del 13/06/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 42891 Anno 2014
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: OLDI PAOLO

SENTENZA

sui ricorsi proposti da
1. Ingrosso Antonio, nato a Lecce il 01/01/1940
2. Martella Piero, nato ad Atri il 29/08/1952

avverso la sentenza del 25/02/2013 della Corte di appello di Lecce

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Paolo Oldi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Eduardo
Vittorio Scardaccione, che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi;
udito per l’imputato Antonio Ingrosso l’avv. Antonio Gambetti in sostituzione
dell’avv. Piero Mongelli, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 25 febbraio 2013 la Corte d’Appello di Lecce,
confermando la decisione assunta dal locale Tribunale, ha riconosciuto Piero
Martella e Antonio Ingrosso responsabili del delitto di bancarotta fraudolenta

Data Udienza: 13/06/2014

patrimoniale e documentale in relazione al fallimento della società MAR s.r.I.,
della quale il primo era stato amministratore di fatto e il secondo amministratore
formale dal 23 settembre 2004 fino alla data del fallimento.
1.1. L’accusa di distrazione di merci, denaro e beni strumentali della società,
fino a svuotarne completamente il patrimonio facendolo confluire nella diversa
società Framar s.r.l. alla cui gestione aveva partecipato lo stesso Piero Martella,
si è fondata sulla totale mancanza di componenti patrimoniali attive all’atto del
fallimento. Quanto alle scritture contabili, ne era emersa la tenuta soltanto

movimento degli affari e del patrimonio della società.

2. Hanno proposto ricorso per cassazione ambedue gli imputati, per il
tramite dei rispettivi difensori.

3. Il ricorso del Martella è articolato in tre motivi.
3.1. Col primo di essi il ricorrente, denunciando violazione dei criteri di
valutazione della prova e vizi di motivazione, rimprovera alla Corte d’Appello di
aver condotto il proprio argomentare in contrasto col contenuto informativo degli
atti processuali. Lamenta, in particolare, che gli si sia attribuita la qualità di
amministratore di fatto fondando il relativo convincimento soltanto sulle
dichiarazioni interessate del coimputato Ingrosso, estrapolandone alcune frasi e
tralasciando i numerosi elementi fattuali che ben si coniugavano con la
deposizione della teste Katia Montinari, invece ingiustamente svalutata.
A detta del deducente l’assunto secondo cui il Martella avrebbe operato da
dominus della società è smentito: dalle affermazioni dello stesso Ingrosso; dal
trasferimento della sede della società; dalle informazioni testimoniali rese dalla
Montinari.
Prosegue il ricorrente negando capacità dimostrativa alle affermazioni dei
testi Angelina Dell’Aversa, Eduardo Piscopo, Salvatore Reale e dei dipendenti

parziale e frammentaria, tale da non consentire al curatore la ricostruzione del

della Mar s.r.I.. Sostiene di avere esaurientemente spiegato la portata dei
rapporti avuti con la società Framar s.r.l. e lamenta che la Corte di merito gli
abbia riconosciuto credibilità solo nel trarre dalle sue dichiarazioni elementi di
colpevolezza a carico dell’Ingrosso.
3.2. Col secondo motivo il Martella contesta la configurabilità a proprio
carico del delitto di bancarotta documentale, attesa la qualificazione attribuitagli
di amministratore di fatto.
3.3. Col terzo motivo impugna il diniego delle attenuanti generiche, che
assume inadeguatamente motivato.

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4-

4. Il ricorso di Antonio Ingrosso è affidato a due motivi.
4.1. Col primo di essi il ricorrente denuncia omessa valutazione di prove
decisive, che indica in due lettere raccomandate inviate dal proprio legale alla
figlia del coimputato Piero Martella e moglie del precedente amministratore della
Mar s.r.I.. Tali missive, osserva, contenevano la richiesta di consegna della
documentazione contabile e fiscale necessaria alla chiusura del bilancio e alla
gestione della società.
4.2. Col secondo motivo lamenta che gli sia stata ingiustamente negata la

la carica di amministratore formale perché pressato dall’indigenza economica e
dalla grave situazione sanitaria della moglie. Con argomentazione subordinata
deduce l’incompatibilità logica fra la mancata applicazione dell’esimente, nonché
delle attenuanti generiche, e la valutazione di tutti gli atti del processo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso dell’imputato Martella non può trovare accoglimento.
1.1. Il primo motivo si colloca in area di inammissibilità, in quanto esulante
dal novero di quelli consentiti dall’art. 606 cod. proc. pen.. Le ragioni addotte a
sostegno, infatti, dietro la denuncia di violazione di legge e vizi di motivazione, si
traducono nella sollecitazione di un riesame del merito – non consentito in sede
di legittimità – attraverso la rinnovata valutazione degli elementi probatori
acquisiti.
La Corte territoriale ha dato pienamente conto delle ragioni che l’hanno
indotta a ritenere che il ricorrente, pur dopo la cessazione del suo incarico di
amministratore formale, avesse proseguito in via di fatto nella gestione
dell’impresa collettiva malgrado la presenza di un nuovo amministratore,
nominato dapprima nella persona di Gianluca Diohallevi fino al 23 settembre
2004 e, dopo tale data fino al fallimento, di Antonio Ingrosso; a tal fine quel

scriminante dello stato di necessità, sebbene fosse emerso che aveva accettato

collegio ha valorizzato le dichiarazioni dei dipendenti Mario Standoli, Clara De
Laurentis e Giovanni Di Biase, concordi nell’indicare il Martella quale vero
dominus della società (così da occuparsi, secondo la De Laurenti, di tutto ciò che
riguardava la produzione, la commercializzazione e l’amministrazione); ha inoltre
tratto conferma di ciò dalle informazioni rese da Angelina Dell’Aversano, titolare
di una ditta che aveva intrattenuto rapporti commerciali con la MAR s.r.I.: la
quale non soltanto aveva a sua volta constatato il ruolo svolto dal Martella nella
società, ma aveva anche riferito di una vera e propria continuità fra la MAR s.r.l.
e la Framar s.r.I., formalmente amministrata dalla figlia dello stesso Martella. La
Corte d’Appello ha poi disconosciuto la rilevanza (e non già l’attendibilità) del

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n

dichiarato di Katia Montinari in quanto costei, avendo avuto un solo rapporto
commerciale con la Mar s.r.l. previa contrattazione con l’Ingrosso, ha potuto
soltanto riferire circa l’affermazione di costui di essere il legale rappresentante
della società: affermazione certamente rispondente a verità, ma non decisiva, a
fronte del ruolo di «testa di legno» che le restanti risultanze attribuivano
all’Ingrosso.
Della linea argomentativa così sviluppata il ricorrente denuncia l’illogicità,
senza tuttavia segnalare in concreto, nel testo del provvedimento, alcuna

dichiarative valorizzate dal giudice di merito e di enfatizzare, per converso, gli
elementi traibili dal narrato della Montinari si risolve nella prospettazione del
fatto storico alternativa a quella fatta motivatamente propria dal giudice di
merito: il che non può trovare spazio nel giudizio di cassazione. Al riguardo non
sarà inutile ricordare che, per consolidata giurisprudenza, pur dopo la modifica
legislativa dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen. introdotta dall’art. 8 L.
20 febbraio 2006, n. 46, al giudice di legittimità resta preclusa – in sede di
controllo sulla motivazione – la rivisitazione degli elementi di fatto posti a
fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di
ricostruzione e valutazione dei fatti; e il riferimento ivi contenuto anche agli
«altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame» non vale a
mutare la natura del giudizio di legittimità come dianzi delimitato, rimanendovi
comunque estraneo il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai
dati processuali (così Sez. 5, n. 12634 del 22/03/2006, Cugliari, Rv. 233780; v.
anche le più recenti Sez. 5, n. 44914 del 06/10/2009, Basile, Rv. 245103; Sez.
6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099).
È appena il caso di annotare, a chiusura dell’argomento, la genericità delle
contestazioni mosse dal ricorrente in ordine all’attendibilità delle dichiarazioni
eteroaccusatorie rese dal coimputato Ingrosso: dichiarazioni che, in realtà, non
risultano utilizzate dalla Corte d’Appello nell’esposizione del quadro probatorio
formatosi a carico del Martella. Anche a quest’ultimo proposito giova richiamarsi
alla giurisprudenza di legittimità, ricordando il principio secondo cui la mancanza
di correlazione fra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle
poste a fondamento dell’atto d’impugnazione si traduce in un vizio di aspecificità
del motivo di ricorso, che ne comporta l’inammissibilità (Sez. 5, n. 28011 del
15/02/2013, Sammarco, Rv. 255568; Sez. 2, n. 19951 del 15/05/2008, Lo
Piccolo, Rv. 240109; Sez. 1, n. 39598 del 30/09/2004, Burzotta, Rv. 230634).
Per quanto si riferisce all’accusa di aver dato luogo alla distrazione dei beni
appartenenti al patrimonio della MAR s.r.I., disponendone a favore della Framar
s.r.I., è bensì vero che l’odierno ricorrente ha prospettato al giudice di appello

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effettiva caduta di consequenzialità; mentre il suo tentativo di screditare le prove

una ricostruzione dei rapporti fra le due società finalizzata a sorreggere la
propria linea difensiva: ma è altrettanto vero che nella sentenza impugnata sono
ben evidenziate le ragioni per cui le spiegazioni così fornite sono state
considerate in parte inattendibili (sia perché arbitrarie e indimostrate, sia perché
contrastate da risultanze di segno opposto) ed in altra parte sostanzialmente
confessorie di attività distrattiva, come nei casi riguardante la vendita a una ditta
albanese per il tramite della Framar e la cessione di macchinari alla B.S. Arredi.
A quest’ultimo proposito giova ricordare il principio giurisprudenziale a tenore del

intendersi ricompresi i corrispettivi di vendita) appartenuti alla società fallita fa
presumere la distrazione di essi ad opera dell’amministratore, ove questi non ne
abbia giustificato la destinazione (così Sez. 5, n. 3400/05 del 15/12/2004,
Sabino, Rv. 231411; v. anche Sez. 5, n. 30818 del 24/04/2003, Pizzone, Rv.
225804; Sez. 5, n. 2876/99 del 10/06/1998, Vichi, Rv. 212606; nonché la più
recente Sez. 5, n. 7048/09 del 27/11/2008, Bianchini, Rv. 243295).
1.2. Il secondo motivo non ha fondamento giuridico.
Sostiene il ricorrente che non sia logicamente compatibile con la ritenuta
sua qualità di amministratore di fatto l’addebito di responsabilità per l’irregolare
tenuta delle scritture contabili; ciò in quanto – così assume – il relativo obbligo
fa carico esclusivamente all’amministratore formale.
La tesi è contrastata dalla giurisprudenza formatasi in argomento, secondo
la quale, anche in tema di bancarotta documentale, l’amministratore «di fatto»
della società fallita è da ritenere gravato dell’intera gamma dei doveri cui è
soggetto l’amministratore «di diritto», per cui, ove concorrano le altre condizioni
di ordine oggettivo e soggettivo, egli assume la penale responsabilità per tutti i
comportamenti penalmente rilevanti a lui addebitabili (Sez. 5, n. 39593 del
20/05/2011, Assello, Rv. 250844; Sez. 5, n. 15065 del 02/03/2011, Guadagnoli,
Rv. 250094).
1.3. Inammissibile, infine, è il terzo motivo di ricorso, col quale il Martella
impugna la mancata applicazione delle attenuanti generiche.
Trattasi, invero, di statuizione che l’ordinamento rimette alla discrezionalità
del giudice di merito, per cui non vi è margine per il sindacato di legittimità,
quando la decisione sia motivata in modo conforme alla legge e ai canoni della
logica. Nel caso di specie la Corte d’Appello non ha mancato di motivare la
propria decisione sul punto, con l’evidenziare la gravità della condotta in essere
dall’imputato. Siffatta linea argonnentativa non presta il fianco a censura, non
essendo necessario, a soddisfare l’obbligo della motivazione, che il giudice
prenda singolarmente in osservazione tutti gli elementi di cui all’art. 133 c.p.,
ma essendo invece sufficiente l’indicazione di quegli elementi che, nel

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d,

quale il mancato rinvenimento di beni o di valori societari (fra cui devono

discrezionale giudizio complessivo, assumono eminente rilievo (Sez. 3, n. 23055
del 23/04/2013, Banic, Rv. 256172; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane,
Rv. 248244; Sez. 1, n. 1666 del 11/12/1996 – dep. 21/02/1997, Adreveno, Rv.
206936; Sez. 1, n. 866 del 20/10/1994 – dep. 26/01/1995, Candela, Rv.
200204).

2. Da rigettare è anche il ricorso di Antonio Ingrosso.
2.1. Non sussiste il denunciato vizio motivazionale per mancata valutazione

l’avvenuta richiesta al precedente amministratore della documentazione
contabile e, in mancanza di questa, la propria impossibilità materiale di gestire
concretamente la MAR s.r.I..
Ed invero, l’infondatezza della linea difensiva così prospettata è stata
adeguatamente evidenziata dalla Corte d’Appello col rilevare che, da una
dichiarazione senza data recante la sottoscrizione dell’Ingrosso, costui risultava
aver preso in consegna dal vecchio amministratore della società tutti i libri
sociali, le scritture contabili, i registri I.V.A., le dichiarazioni, i bilanci, le fatture
acquisti, le fatture emesse e gli altri documenti relativi alle annualità dal 2001 al
2003. Tanto basta a dar conto delle ragioni poste a base del convincimento del
giudice di appello circa la responsabilità dell’Ingrosso per l’irregolare tenuta delle
scritture contabili, alla stregua del principio consolidato per cui il giudice del
gravame non è tenuto a prendere in esame ogni singola argomentazione svolta
nei motivi d’impugnazione, ma deve soltanto esporre, con ragionamento corretto
sotto il profilo logico-giuridico, i motivi per i quali perviene a una decisione
difforme rispetto alla tesi dell’impugnante, rimanendo implicitamente non
condivise, e perciò disattese, le argomentazioni incompatibili con il complessivo
tessuto motivazionale (Sez. 4, n. 26660 del 13/05/2011, Caruso, Rv. 250900;
Sez. 6, n. 20092 del 04/05/2011, Schowick, Rv. 250105; Sez. 4, n. 1149/06 del
24/10/2005, Mirabilia, Rv. 233187).
2.2. Del pari infondata è la censura riguardante la mancata applicazione
della scriminante dello stato di necessità.
A detta del ricorrente lo stato di grave indigenza nel quale egli versava al
momento di assumere il ruolo di «testa di legno» alla guida formale della MAR
s.r.I., in una con le gravissime condizioni di salute della moglie, dovrebbero
essere riguardati come presupposti per l’applicabilità dell’art. 54 cod. pen..
L’assunto va disatteso per le ragioni già chiaramente esplicitate nella sentenza
impugnata, con l’osservare che la pur gravissima situazione familiare in cui era
venuto a trovarsi l’Ingrosso non era tale da imporgli senza alternative la
necessità di farsi coinvolgere in un’attività criminosa, quale quella accertata.

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dei documenti prodotti dalla difesa dell’imputato, allo scopo di dimostrare

Siffatta linea motivazionale è pienamente condivisibile, atteso che le condizioni di
salute di un sia pur stretto familiare non configurano l’immanenza di una
situazione di grave pericolo alla persona, con caratteristiche di indilazionabilità e
cogenza tali da non lasciare all’agente altra alternativa che quella di violare la
legge.
È appena il caso di rimarcare, da ultimo, che la deduzione conclusivamente
formulata in subordine dal ricorrente, volta a sostenere la sussistenza di un’incompatibilità logica fra il diniego dell’esimente ex art. 54 cod. pen. – nonché

tutto generica in quanto in nessun modo argomentata.

3. Il rigetto dei ricorsi di ambedue gli imputati, che chiaramente consegue a
quanto fin qui osservato, comporta la condanna di ciascuno al pagamento delle
spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso il 13/06/2014.

delle attenuanti generiche – e la valutazione di tutti gli atti del processo, è del

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