Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 42886 del 25/09/2014


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Penale Ord. Sez. 3 Num. 42886 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: PEZZELLA VINCENZO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
DAZZI PAOLO N. IL 15/04/1961
avverso l’ordinanza n. 4/2014 TRIB. LIBERTAt di MASSA, del
03/04/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. VINCENZO
PEZZF.LLA;
.lefte/sentite le conclusioni del PG Dott. Pato P.A.:ccut-.0 ate. k Q.

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Data Udienza: 25/09/2014

RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 02.04.2014 depositata il 03.04.2014 il Tribunale di
Massa ha rigettato l’istanza di riesame proposta da DAZZI PAOLO avverso il
decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca emesso dal GIP del
Tribunale di Massa in data 26.09.2012 ed eseguito dalla Guardia di Finanza il
20.03.2014, indagato per il reato di cui all’art. 5 Divo 74/00, per aver omesso la
dichiarazione dei redditi sulle persone fisiche per l’anno 2008 per un imposta

2. Ricorre per Cassazione, a mezzo dei propri difensori, DAZZI PAOLO
deducendo:
a. Inosservanza ed erronea applicazione della legge penale o di altre
norme (art. 183 TUIR) di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge
penale con riferimento alla sussistenza del fumus commissí delíctí sotto il profilo
dell’elemento oggettivo del reato di cui all’art. 5 D.Lvo 74/2000 ai fini
dell’emissione di un sequestro preventivo funzionale alla confisca – mancanza
assoluta di motivazione con riferimento alla sussistenza del fumus commissi
delicti sotto il profilo dell’elemento oggettivo del reato di cui all’art. 5 D.L.vo
74/2000 ai fini dell’emissione di un sequestro preventivo funzionale alla confisca.
Il ricorrente rileva che il Tribunale avrebbe ritenuto sufficiente, ai fini della
legittimità del sequestro, la sola sussistenza del fumus commissi delícti.
Tanto sarebbe insufficiente secondo la difesa, che evidenzia il mancato
espletamento di un’indagine tendente a verificare la coerenza dell’ipotesi
accusatoria con i dati processuali raccolti.
Mancante, peraltro, risulterebbe anche la motivazione sul fumus, in
quanto il Collegio si sarebbe limitato ad affermarne l’esistenza.
I giudici del riesame si sarebbero limitati a prendere atto del contrasto tra
la lettura dell’art. 183 TUIR offerta dal consulente del P.M. e quella fornita dalla
difesa senza fare alcun accenno ai contenuti e alle ragioni del conflitto.

IRPEF pari ad C 3.694.269,00.

La difesa evidenzia ‘importanza del momento in cui il credito, che ha
determinato la sopravvenienza tassabile, andava inserito nel patrimonio
fallimentare.
In ultimo rileva lincongruenza del ragionamento del Tribunale che ritiene
che la somma erogata all’indagato originerebbe non tanto dalla realizzazione del
credito ceduto a terzi, quanto dalla pronuncia che disposto il risarcimento del
danno, dando vita ad una sopravvenienza tassabile.
Detta affermazione sarebbe erronea perché in forza di tale ragionamento
tutte le plusvalenze da cessione di beni rientranti nella massa attiva

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i

genererebbero una tassazione infra-fallimentare, mentre invece l’imposizione va
calcolata sul solo surplus della liquidazione.
b. Inosservanza ed erronea applicazione della legge penale o di altre
norme (art. 183 TUIR) di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge
penale con riferimento alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di cui
all’art. 5 D.L.vo 74/2000 ai fini dell’emissione di un sequestro preventivo
funzionale alla confisca – mancanza assoluta di motivazione con riferimento alla
sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 5 D.L.vo 74/2000.

come la decisione di non versare le imposte sia scaturita dal parere di due
autorevoli tributaristi. Evidenzia ancora che lo stesso P.M. si è avvalso di una
consulenza tecnica, tenuto conto della complessità e peculiarità delle tematiche
fiscali. Pertanto sarebbe evidente la mancanza di dolo stante il legittimo
affidamento riposto nella tesi secondo cui le somme percepite non dovevano
determinare reddito imponibile ai sensi dell’art. 183 TUIR.
Sul punto il Tribunale si limiterebbe a dire che i pareri forniti all’indagato
non escludono la consapevolezza e la volontà di sottrarsi all’obbligo dichiarativo
e al pagamento dei tributi dovuti.

Chiede pertanto a questa Corte Suprema di annullare l’ordinanza
impugnata e prendere i consequenziali provvedimenti sul sequestro disposto dal
GIP.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1.. I motivi sopra indicati sono infondati e pertanto il proposto ricorso va
rigettato.

2. Va in primis ricordato che l’art. 325 cod. proc. pen. prevede, contro le
ordinanza in materia di riesame di misure cautelari reali, il ricorso per cassazione
soltanto per violazione di legge.
La giurisprudenza di questa Suprema Corte, anche a Sezioni Unite, ha più
volte ribadito come in tale nozione debbano ricomprendersi sia gli “errores in
ludicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione così radicali da
rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del
tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e
ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico
seguito dal giudice (vedasi Sez. U, n. 25932 del 29.5.2008, Ivanov, rv. 239692;
conf. sez. 5, n. 43068 del 13.10.2009, Bosi, rv. 245093).
Ancora più di recente è stato precisato che in tali casi è ammissibile il

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Per quanto riguarda l’elemento soggettivo del reato, il ricorrente segnala

ricorso per cassazione, pur consentito solo per violazione di legge, quando la
motivazione del provvedimento impugnato sia del tutto assente o meramente
apparente, perché sprovvista dei requisiti minimi per rendere comprensibile la
vicenda contestata e l'”iter” logico seguito dal giudice nei provvedimento
impugnato. (così sez. 6, n. 6589 del 10.1.2013, Gabriele, rv. 254893).
Di fronte all’assenza, formale o sostanziale, di una motivazione, atteso
l’obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, viene dunque a

3. Fatta questa necessaria premessa in punto di diritto va tuttavia
evidenziato che, ancorché enunciate come violazioni di legge, le doglianze
proposte, propongono elementi di fatto o, comunque, interpretazioni alternative
della norma.
Il Tribunale di Massa ha congruamente e logicamente motivato, con
provvedimento pertanto immune dai denunciati vizi di legittimità, su tutti i punti
fondamentali della decisione, desumendo l’esistenza del fumus commissi delicti
da specifici dati fattuali, con ciò facendo proprio il dictum di questa Corte
Suprema secondo cui ai fini dell’emissione del sequestro preventivo funzionale
alla confisca il giudice deve valutare la sussistenza del n flIMUS delictr in
concreto, verificando in modo puntuale e coerente gli elementi in base ai quali
desumere l’esistenza del reato configurato, in quanto la “serietà degli indizi”
costituisce presupposto per l’applicazione delle misure (così, tra le altre, sez. 6,
n. 45591 del 24.10.2013, rv. 257816).
Dalla lettura del provvedimento impugnato appare esservi stata una
corretta analisi dell’esistenza di elementi relativi sia al profilo oggettivo che
soggettivo del reato.
Relativamente alla configurabilità oggettiva del reato, il provvedimento
del riesame ha valutato il mancato inserimento del credito “nella determinazione

del patrimonio netto iniziale da sottrarre in seguito al residuo attivo”.

mancare un elemento essenziale dell’atto.

Nella motivazione del provvedimento vengono rilevati tutti gli elementi
dai quali è stato possibile rilevare il dato sopraindicato, ossia l’avvenuta
contestazione del credito e l’esito negativo della procedura di recupero dello
stesso.
Parimenti infondata appare la critica mossa dal ricorrente alla
considerazione che il residuo attivo deriverebbe dal risarcimento del danno
riconosciuto alla curatela del fallimento per gli illeciti commessi dalle banche nei
confronti della stessa. Appare, infatti, del tutto infondata la pretesa di voler
equiparare un’entrata rappresentata da un risarcimento alle plusvalenze da
cessioni beni.

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i

La legislazione sul punto appare chiara, laddove al comma 2 dell’art. 183
TUIR 917/86 si legge: “Il patrimonio netto dell’impresa o della società all’inizio
del procedimento concorsuale è determinato mediante il confronto secondo i
valori riconosciuti ai fini delle imposte sui redditi, tra le attività e le passività
risultanti dal bilancio di cui al comma 1, redatto e allegato alla dichiarazione
iniziale del curatore o dal commissario liquidatore”.
Appaiono suffidenti elementi, nel caso di specie, in termini di fumus, per
far ritenere che la somma realizzata all’atto della liquidazione, rappresenti un

presenti i limiti di sindacato in questa sede possibile per la sola violazione di
legge e non potendo trovare spazio assunti vizi motivazionali che non involgano
l’inesistenza o l’apparenza della motivazione e che quindi trasmodino in violazioni
di legge- nel provvedimento impugnato si ritiene, in maniera logica, che la
provenienza della plusvalenza non derivi dal credito iracheno, ceduto a terzi nel
2003, ma dal risarcimento dovuto dagli istituti bancari per complessivi euro
9.510.150,50 a seguito della pronunda in tal senso del tribunale massese.
Come rileva il Tribunale di Massa nel provvedimento impugnato il credito
in questione non poteva considerarsi inserito nel patrimonio della società già al
momento dell’apertura della procedura concorsuale perché “all’epoca, il credito
in discorso, era contestato e non ne era certa l’esistenza, tanto che la Procura
della repubblica di Torino aveva iniziato le indagini per accertarne l’eventuale
falsità, la procedura di pignoramento presso terzi coltivata dalla Curatela aveva
dato esito negativo, cosicché detto credito veniva ceduto alla soc. Server Plus ltd
con sede nel Regno Unito per la cifra di euro 77.450,00, pur a fronte di un valore
nominale di 10 milioni di dollari.” (cfr. pag. 2 ordinanza impugnata).
In tal senso non vi è doppia imposizione, ma solo una plusvalenza
successiva che è reddito d’impresa e rientra perciò nella previsione dell’art. 183
TUIR.

4. Infondate sono, infine, anche le doglianze che investono il profilo
soggettivo.
Con motivazione logica e congrua il Tribunale ha ritenuto che l’esistenza
di una consulenza non possa valere ad escludere “la consapevolezza e la volontà
dell’indagato di sottrarsi all’obbligo dichiarativo ed al pagamento”.
Diversamente opinando basterebbe al contribuente trovare l’avallo di un
professionista cui richiedere una consulenza, nei casi che ritiene dubbi, perché
possa dirsene incrinata la personale volizione, sotto il profilo dei dolo, rispetto ad
un possibile reato.
E’ di tutta evidenza che non può essere così.

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residuo attivo della chiusura del fallimento. Come detto – e tenendo sempre

Peraltro proprio in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo non
può dimenticarsi – e il Tribunale di Massa non lo fa dandone conto a pag. 3 del
provvedimento impugnato – che il ricorrente era stato avvisato dal curatore della
necessità di procedere alla presentazione della dichiarazione dei redditi in
questione nel Mod. Unico 2009.
Non provvedere alla presentazione della dichiarazione e al pagamento
della relativa imposta è stata, dunque, una sua consapevole scelta, sia pure

5. Al rigetto del ricorso consegue ex lege la condanna al pagamento delle
spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma il 25 settembre 2014

DEPOS ATAN ce’

LEMA

confortata dal parere di consulenti di parte.

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