Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4288 del 13/05/2014

Penale Sent. Sez. 6 Num. 4288 Anno 2015
Presidente: DI VIRGINIO ADOLFO
Relatore: PAOLONI GIACOMO

SENTENZA
sul ricorso proposto da
A.A.
avverso la sentenza del 15/01/2013 della Corte di Appello di Salerno;
letto il ricorso e la sentenza impugnata;
udita la relazione del consigliere Giacomo Paoloni;
udito il pubblico ministero in persona del sostituto Procuratore generale Eduardo
Scardaccione, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito per la ricorrente l’avv. Armando Veneto, che si è riportato ai motivi di
impugnazione, insistendo per l’accoglimento del ricorso.

FATTO E DIRITTO
1. Con sentenza emessa il 16.2.2009 dal Tribunale di Salerno, procedente ai sensi
dell’art. 11 c.p.p., A.A. è stata riconosciuta colpevole dei connessi reti di
millantato credito (art. 346 co. 1 c.p.) e di truffa realizzati a Cosenza nel maggio 2003 in
pregiudizio dei coniugi B.B. e M.M.. Condotta integrata dall’aver
richiesto ai due coniugi, privi di figli e determinati ad effettuare l’adozione di un bambino,
somme di denaro, in concreto ricevute per gli importi di euro 2.000 in contanti ed euro
1.980 in assegni, come prezzo della propria mediazione presso giudici del Tribunale per i
Minorenni di Catanzaro (dove, tra l’altro, conduceva la B.B. per un generico incontro
con l’ignaro giudice Orazio Ciampa) per favorire la loro pratica di adozione nazionale o
internazionale di un minore. Per l’effetto il Tribunale, unificati i due reati sotto il vincolo

Data Udienza: 13/05/2014

della continuazione e concesse le attenuanti generiche stimate equivalenti ad aggravanti
e recidiva reiterata, ha condannato la A.A. alla pena di un anno e sei mesi di reclusione
ed euro 1.500 di multa ed al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile
B.B..
2. Adìta dall’impugnazione della A.A., la Corte di Appello di Salerno, con
l’indicata sentenza in data 15.1.2013, ha confermato in punto di responsabilità la
decisione di primo grado, dichiarando tuttavia estinto per prescrizione il reato di truffa e

1.200 di multa con conferma delle statuizioni civili.
I giudici di appello hanno disatteso la tesi difensiva prospettata dalla A.A.,
escludendo che la stessa si sia limitata a svolgere una lecita opera di mediazione e di
cura della pratica di adozione dei coniugi B.B.-M.M., avuto riguardo alla piena
attendibilità delle dichiarazioni accusatorie rese dalla persona offesa B.B.. La
A.A., presentatale dalla conoscente Franca Paletta e dichiaratasi membro di
un’associazione benefica, si è esplicitamente detta in grado di intervenire in modo
efficace e in tempi rapidi per far ottenere a lei e al coniuge l’adozione di un minore. Per
avvalorare tale assunto ha vantato la sua amicizia con giudici minorili di Catanzaro,
accompagnandola presso un magistrato del Tribunale per i Minorenni per un colloquio, di
cui non ha compreso le ragioni e poi rivelatosi pretestuoso e diretto ad avvalorare la
pretesa capacità di influenza della stessa A.A., giunta a farle credere possibile
l’affidamento di un bambino appena nato presso l’ospedale di Cosenza da madre che non
intendeva riconoscerlo. Dichiarazioni della B.B. che, per i giudici di appello, hanno
trovato piena conferma nella oggettiva individuazione degli assegni emessi dalla donna
all’ordine della A.A. nonché nelle concordi dichiarazioni, oltre che dell’altra persona
offesa M.M. (marito della B.B.), dei testimoni P.P. e S.S.(il
secondo assiste alla consegna di denaro dalla B.B. al figlio della A.A. ed è edotto
dei motivi di tale consegna sottesi al desiderio della donna e del marito di ottenere
l’adozione di un bambino).
3. Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione il difensore
della A.A., formulando i due motivi di censura di seguito riassunti.
3.1. Erronea applicazione dell’art. 346 c.p. e difetto di motivazione.
L’istruttoria dibattimentale non ha fatto emergere gli elementi costitutivi della
contestata fattispecie nella condotta dell’imputata. Il denaro che la stessa ha ricevuto
dalle persone offese non è il corrispettivo per l’opera di mediazione (se non corruzione)
presso un pubblico ufficiale, ma la retribuzione di attività lecita, frutto dell’ausilio
dispiegato dalla A.A. per l’espletamento delle pratiche di adozione dei coniugi B.B.
e M.M. e per il rimborso delle spese all’uopo sostenute. Ne è riprova il fatto che i due

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rideterminando la pena inflitta all’imputata in un anno e tre mesi di reclusione ed euro

coniugi hanno regolarmente conseguito il decreto di adottabilità

(id est decreto di

idoneità all’adozione).
3.2. Violazione dell’art. 157 c.p. e omessa declaratoria di prescrizione del reato.
La Corte territoriale non ha accolto la deduzione difensiva dell’intervenuta
prescrizione del reato ascritto alla ricorrente, enunciando argomenti erronei. I giudici di
appello hanno ritenuto applicabile al caso di specie il regime prescrizionale previgente alle
novelle introdotte in materia dalla legge n. 251/2005, perché più favorevole all’imputata

reato, inclusa la recidiva reiterata contestata alla prevenuta. In realtà al reato ascritto
alla ricorrente deve ritenersi applicabile il vigente regime della prescrizione che prevede
termini più brevi per il formarsi della causa estintiva (complessivi sette anni e sei mesi).
4. Il ricorso non merita accoglimento.
4.1. Il primo motivo di censura è generico e manifestamente infondato.
Lo stesso riproduce, per altro in maniera sommaria, i medesimi rilievi formulati
avverso la decisione di primo grado, che i giudici del gravame hanno puntualmente
vagliato, giudicandoli privi di pregio sulla base di argomenti logici e giuridicamente
corretti. Gli stessi rilievi sono altresì palesemente infondati, perché contraddetti in tutta
evidenza dai dati storici e comportamentali passati in rassegna da entrambe le decisioni
di merito.
In particolare l’analisi delle dichiarazioni della persona offesa B.B., in
uno ai plurimi riscontri documentali e testimoniali che le stesse hanno rinvenuto,
consente di escludere la riconducibilità delle richieste e delle dazioni di denaro, formulate
e ricevute dalla A.A., ad una sua ipotetica lecita attività professionale. E’ emersa in
modo palmare, infatti, l’insussistenza di qualsiasi iniziativa o intervento della prevenuta
funzionale al proposito delle persone offese di ottenere l’affidamento adottivo di un
minore, salva la deliberata fraudolenta messa in scena della donna, autoproclamatasi
amica di giudici del Tribunale per i Minorenni, al solo scopo di indurre nelle persone
offese una falsa rappresentazione della realtà, integrata dalla supposta possibilità di
influenzare uno o più pubblici ufficiali, in modo da predisporli ad accedere alle richieste
delle somme di denaro da essi versatele (cfr.: Sez. 6, n. 13479 del 17.3.2010, D’Alesio,
Rv. 246734; Sez. 6, n. 45899 del 16.10.2013, Di Matteo, Rv. 257463).
4.2. Infondato va ritenuto anche il secondo, subordinato, motivo di doglianza in
punto di già maturata prescrizione del reato oggetto della regiudicanda.
Ha ragione il difensore della ricorrente nel segnalare come erronea l’applicabilità
nel caso in esame delle regole di prescrizione previgenti ipotizzata dai giudici di appello.
In vero, proprio in ragione dell’avvenuto bilanciamento in termini di equivalenza delle
circostanze del reato, quest’ultimo sarebbe scandito da un termine di prescrizione pari

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in virtù del consentito (ed effettuato in primo grado) bilanciamento tra le circostanze del

nel complesso a quindici anni, certamente superiore a quello emergente dall’applicazione
della disciplina recata dai vigenti artt. 157 e ss. c.p.
Nondimeno, diversamente da quanto sostenuto nel ricorso, il reato non era, né lo
è tuttora, attinto da causa estintiva prescrizionale.
Nel caso della A.A. il termine ordinario di prescrizione (prorogabile in misura di
un quarto) di sei anni deve essere integrato dalla contestata e ritenuta recidiva reiterata
ascritta all’imputata, quale circostanza aggravante ad effetto speciale di cui tener conto
per determinare il tempo necessario a prescrivere (art. 157 co. 2 c.p.). Il giudice di primo

ex art. 61 n. 2 c.p. (millanteria finalizzata alla commissione del reato di truffa dichiarato
prescritto dalla sentenza di appello) e alla recidiva reiterata (cfr. Sez. 6, n. 25082 del
13.6.2011. Levacovich, Rv. 250434). Di tal che all’indicato termine di sei anni deve
cumularsi il termine di tre anni (aumento della metà ex art. 99 co. 3 c.p. per la recidiva
reiterata). Il risultante termine di nove anni è prorogato in misura di un quarto ai sensi
dell’art. 161 co. 2 c.p., divenendo pari a undici anni e tre mesi. Con l’effetto, quindi, che
la prescrizione del reato di millantato credito ex art. 346 co. 1 c.p. attribuito alla A.A.
maturerà soltanto alla data dell’1.6.2014.
Al rigetto del ricorso segue per legge la condanna della ricorrente al pagamento
delle spese processuali.

P. Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Roma, 13 maggio 2014
Il consigliere stensore
Giacom

Il Presidente
wlf. Di Virginio

grado ha, infatti, stimato le riconosciute attenuanti generiche equivalenti all’aggravante

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