Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 42834 del 24/04/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 42834 Anno 2015
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: GRILLO RENATO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
CAPASSO FULVIO N. IL 06/08/1973
avverso la sentenza n. 254/2007 CORTE APPELLO di SALERNO, del
16/11/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. RENATO GRILLO;

Data Udienza: 24/04/2014

- -che la Corte di appello di Salerno con sentenza del 16 novembre 2012 ha confermato la
sentenza emessa dal G.U.P. del Tribunale di Nocera Inferiore in data 14 giugno 2006 nei
confronti di CAPASSO Fulvio con la quale lo stesso, imputato del reato di cessione a terzi e di
illecita detenzione a fini di spaccio di stupefacenti del tipo hashish (rato commesso tra il mese
di marzo ed il 9 aprile 2005) era stato condannato, previo riconoscimento dell’ipotesi attenuata
di cui al 5 0 comma dell’art. 73 D.P.R. 309/90, alla pena di anno uno e mesi otto di reclusione
ed € 3.000,00 di multa;
– -che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, il quale ha dedotto
violazione di legge per inosservanza della legge penale e vizio della motivazione in punto di
individuazione degli elementi di responsabilità a proprio carico;
– -che tale doglianza è manifestamente infondata, poiché: la motivazione della sentenza
impugnata (con particolare riferimento all’esclusione della detenzione della sostanza
stupefacente per solo uso personale) appare esauriente e corrispondente alle premesse fattuali
acquisite in atti, in quanto essa esamina tutti gli elementi decisivi a disposizione e fornisce
risposte coerenti alle obiezioni della difesa [sicuramente logica appare l’argomentazione
secondo la quale le modalità con cui il CAPASSO era in contatto – attraverso il telefono ed i
messaggi ricevuti e/o trasmessi, con numerosi soggetti acquirenti dello stupefacente – erano
incompatibili con l’ipotesi dell’uso personale, al pari dei contatti intrattenuti con amici che
hanno indicato nel CAPASSO il loro fornitore di hashish];
– -che è certamente infondata la tesi difensiva secondo la quale la Corte territoriale avrebbe
desunto l’attività di spaccio e di illecita detenzione dal solo dato quantitativo, avendo invece il
giudice territoriale individuato altri e più significativi elementi nella rete dei rapporti intessuti
tra il CAPASSO e numerosi giovani orbitanti nel giro degli acquirenti, escludendo anche che si
versasse in una ipotesi di consumo di gruppo, come asserito dalla difesa, in assenza die
presupposti giustificativi di tale fattispecie;
– -che le censure concernenti asserite carenze argomentative sui singoli passaggi della
ricostruzione dei fatti e dell’attribuzione degli stessi alla persona dell’imputato non sono
proponibili nel giudizio di legittimità, quando la struttura razionale della decisione sia sorretta,
come nella specie, da logico e coerente apparato argomentativo, esteso a tutti gli elementi
offerti dal processo, e il ricorrente si limiti sostanzialmente a sollecitare la rilettura del quadro
probatorio e, con essa, il riesame nel merito della sentenza impugnata;
–che in relazione al tempus commissi delicti è da escludere che la prescrizione per il reato in
esame (pari ad anni sette e mesi sei comprensiva della proroga nella misura di 1/4 per effetto
della sentenza della Corte Costituzionale n. 32/14 che ha ripristinato il regime sanzionatorio
antecedente alla L. 49/06) sia maturata prima della sentenza di appello in quanto la Corte
territoriale con ordinanza dell’8 febbraio 2011 ha sospeso i termini di prescrizione dall’8.2.2011
al 16.11.2012 ai sensi dell’art. 132 bis delle Disp. Att. del cod. proc, pen. e 2 bis del D. Lgs.
125/08;
– -che il ricorso, conseguentemente, va dichiarato inammissibile e, poiché la inammissibilità non
consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione, non può tenersi conto di eventuali
cause di estinzione del reato intervenute – come nel caso in esame – successivamente alla
pronuncia della decisione impugnata (vedi Cass., Sez. Unite: 30.6.1999, ric. Piepoli e
27.6.2001, ric. Cavalera);
– -che, a norma dell’art. 616 c.p.p., alla declaratoria di inammissibilità – non potendosi
escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (Corte Cost. 7-13 giugno 2000, n. 186)
– consegue l’onere delle spese del procedimento e del versamento, in favore della Cassa delle
ammende, della somma, equitativamente fissata, di € 1.000,00
P. Q. M.

4

dichiara inammissibile il ricorso e condanna
ricorrente al pagamento delle spese del
procedimento ed al versamento della somma di € 1.000,00 (mille/00) alla Cassa delle
ammende.
Così deliberato in R
, nella camera di consiglio del 24 aprile 2014

Ritenuto:

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