Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 42809 del 18/06/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 42809 Anno 2014
Presidente: SAVANI PIERO
Relatore: ZAZA CARLO

SENTENZA

sui ricorsi proposti da
1. Giacomelli Emanuele, nato a Porretta Terme il 19/11/1963
2. Fracassi Dario, nato a Desenzano del Garda il 06/12/1964

avverso la sentenza del 25/10/2012 della Corte d’Appello di Bologna

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere Carlo Zaza;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Gioacchino Izzo, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito per le società in amministrazione straordinaria costituite parti civili l’avv.
Paola Farinoni, che ha concluso per il rigetto del ricorso del Giacomelli, nei
confronti del quale la stessa è costituita, depositando nota spese;
uditi per l’imputato Giacomelli l’avv. Mariano Rossetti, anche in sostituzione
dell’avv. Paolo Righi, e per l’imputato Fracassi l’avv. Gianluigi Bezzi, che ha
concluso per l’accoglimento dei ricorsi;

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Data Udienza: 18/06/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata, in parziale riforma della sentenza del Giudice
dell’udienza preliminare del Tribunale di Rimini del 10/07/2008, veniva
confermata l’affermazione di responsabilità di Emanuele Giacomelli, quale
amministratore di fatto e di diritto della Giacomelli Sport Group s.p.a., della
Giacomelli Sport s.p.a., della Longoni Sport s.p.a. e della Natura & Sport s.p.a.,
società facenti parte del Gruppo Giacomelli, dichiarato in stato di insolvenza dal

1.1. per il reato di cui agli artt. 2621 cod. civ., 216 e 223 r.d. 16 marzo
1942, n. 267, commesso esponendo fatti non rispondenti al vero, nei bilanci
della Giacomelli Sport dal 1997 al 2002 ed in quelli consolidati della Giacomelli
Sport Group dal 2000 al 2002, con l’appostazione di utili derivanti
dall’annotazione di fatture fittizie dal 1997 al 2000, la contabilizzazione di tali
utili fittizi nel 2001 e nel 2002 e la registrazione dal 2000 al 2002 di rimanenze
superiori a quelle reali, così concorrendo a cagionare il dissesto; e falsificando le
scritture contabili con l’annotazione di fatture fittizie emesse dalle società Arredo
Trading s.r.I., Mido Sport s.r.I., Giacomelli & Lenzi s.r.I., Fratelli Bernardo s.p.a. e
Prima Trade s.r.l. e BF Building & Fitting Services Limited, di fatture recanti la
falsa denominazione Nike Italy e di fatture di acquisto da altre società del gruppo
di beni e servizi di allestimento dei punti vendita per importi superiori a quelli
effettivi (capo C);
1.2. per il reato di cui all’art. 216 r.d. 16 marzo 1942, n. 267, commesso
falsificando le scritture contabili con l’annotazione del pagamento di false
forniture della Nike dal 23/10/2001 al 15/01/2002, poi utilizzate per simulare
incassi fittizi dei punti vendita (capo D);
1.3. per il reato di cui agli artt. 216 e.223 r.d. 16 marzo 1942, n. 267,
commesso distraendo somme derivanti dal pagamento di fatture fittizie della
Nike dal 26/09/2002 al 06/01/2003, della Yoko s.r.l. nel 2003 e della BF Building
& Fitting Services Limited nel 2002, dal pagamento a quest’ultima società di
importi costituenti duplicazione di quelli già corrisposti ad altre società del
gruppo per l’allestimento di punti vendita in Polonia e in Ungheria dal 2000 al
2003, dalla sovrafatturazione di costi per l’allestimento di punti vendita, dalla
sopravalutazione dei valori del magazzino, da versamenti alla Yoko s.r.l. per
operazioni estranee all’oggetto sociale e dal pagamento a sé stesso di compensi
non spettanti; e cagionando il dissesto per effetto delle descritte operazioni e di
quelle di cui ai capi precedenti e dell’ulteriore operazione dolosa costituita
dall’acquisizione 1’11/07/2002 della Longoni Sport s.p.a. nonostante lo stato di

Tribunale di Rimini e in amministrazione straordinaria dall’08/10/2003,

crisi economica e finanziaria di quest’ultima e il gravissimo indebitamento del
gruppo Giacomelli (capo B).
2. Venivano altresì confermate l’affermazione di responsabilità di Dario
Fracassi per il reato continuato di cui all’art. 648-bis cod. pen., commesso
ostacolando l’identificazione di somme provenienti dal reato di bancarotta
fraudolenta per distrazione di cui al capo B con l’apertura il 30/08/2002, presso
la banca HSBC Republic di Zurigo, di un conto corrente denominato Nikeint 10,
sul quale venivano accreditati dal 26/09/2002 al 06/01/2003 gli importi di €.

prelevate dal 02/10/2002 al 22/07/2003 somme per complessivi €. 8.830.000; e
la condanna di Dario Fracassi alla pena di anni tre di reclusione ed €. 3.000 di
multa.
3.

La sentenza di primo grado veniva riformata con la declaratoria di

estinzione per prescrizione di ulteriori reati contestati al Giacomelli e la
conseguente rideterminazione della pena nei confronti dello stesso in anni sette
di reclusione.
4. Veniva infine confermata la condanna del Giacomelli e del Fracassi al
risarcimento dei danni in favore delle parti civili.
5. Gli imputati ricorrono sui punti e per i motivi di seguito indicati.
5.1. Sull’affermazione di responsabilità per la condotta di bancarotta
impropria per causazione dolosa del fallimento, contestata al capo B
nell’acquisizione della Longoni Sport, il ricorrente Giacomelli deduce mancanza di
motivazione, in ordine al carattere intenzionalmente fraudolento che
contraddistingue il reato contestato, nel riferimento ad una mera rischiosità
dell’operazione, a fronte della circostanza per la quale i consulenti, i revisori e gli
altri esperti che si erano occupati della questione, nei confronti di nessuno dei
quali era stato sollevato alcun addebito, aveva rappresentato la natura non
vantaggiosa dell’acquisizione.
5.2. Sul ritenuto concorso fra tutti i fatti contestati, il ricorrente Giacomelli
deduce violazione di legge nell’individuazione di un reato autonomo nei fatti di
bancarotta impropria per dolosa causazione del fallimento, di cui al capo B,
indicati nelle condotte distrattive contestate nello stesso e in altri capi, e
pertanto assorbiti nelle imputazioni di bancarotta fraudolenta patrimoniale.
Lamenta rileva ulteriori violazioni di legge nella condanna per i fatti di bancarotta
fraudolenta documentale di cui al capo D, nonostante gli stessi fossero già
contestati al capo C nell’espresso riferimento all’annotazione delle fatture
apparentemente emesse dalla Nike, e comunque nella ritenuta riconducibilità
della condotta alla fattispecie incriminatrice tipica, e contraddittorietà della
motivazione laddove nella stessa si riteneva la pena inflitta per il reato di cui al
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8.999.964 corrispondenti ai fittizi pagamenti alla Nike, e dal quale venivano poi

capo C come determinata in misura base e non aumentata per effetto della
pluralità dei contestati addebiti di bancarotta impropria societaria e bancarotta
fraudolenta documentale.
5.3. Sulla sussistenza della condotta contestata, il ricorrente Dario Fracassi,
premesso che la stessa Corte territoriale ammetteva come il conto corrente
presso la banca svizzera fosse stato aperto da Vittorio Fracassi e fosse a questi
unicamente intestato, deduce violazione di legge ed illogicità della motivazione
sul contributo concorsuale di Dario Fracassi all’operazione nel mero riferimento

effettuate sul conto successivamente all’apertura dello stesso, estranee
all’imputazione contestata ed alla nozione di ostacolo all’identificazione della
provenienza delittuosa del denaro. Rileva ulteriore violazione di legge e
contraddittorietà della motivazione nell’indicazione quale reato presupposto,
posto che la stessa Corte territoriale ammetteva come lo stesso non potesse
essere individuato nel delitto di bancarotta fraudolenta in quanto consumatosi
successivamente alle contestate condotte di riciclaggio con la dichiarazione di
insolvenza, di un reato di ricettazione commesso da Vittorio Fracassi con
l’acquisizione di somme provenienti da appropriazioni indebite degli
amministratori del Gruppo Giacomelli, in realtà non configurabile per essere
stato Vittorio Fracassi ritenuto concorrente nel reato di bancarotta fraudolenta, e
comunque risultato di una non consentita immutazione dell’addebito contestato.
5.4. Sulla qualificazione giuridica della condotta contestata, il ricorrente
Dario Fracassi deduce violazione di legge nella ritenuta ravvisabilità del reato di
riciclaggio e non di quello di concorso nella ricettazione che la stessa Corte
territoriale ritiene configurabile nei confronti di Vittorio Fracassi; e comunque
violazione di legge, laddove reato presupposto del riciclaggio sia ritenuto quello
di appropriazione indebita, punito con pena edittale massima inferiore ai cinque
anni di reclusione, nel mancato riconoscimento della relativa ipotesi attenuata di
cui all’art. 648-bis, comma terzo, cod. pen..

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il motivo proposto dal ricorrente Giacomelli sull’affermazione di
responsabilità per la condotta di bancarotta impropria per causazione dolosa del
fallimento, contestata nell’acquisizione della Longoni Sport, è infondato.
La sentenza impugnata era adeguatamente motivata sul punto in termini
che, a differenza di quanto dedotto dal ricorrente, non si riducevano alla
qualificazione dell’operazione come meramente rischiosa. La Corte territoriale
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alla procura allo stesso rilasciata dal padre e nel richiamo ad operazioni

osservava infatti che il perito incaricato nella fase di amministrazione controllata
aveva accertato che l’acquisizione, priva di coperture, era stata preparata da
tempo, tanto escludendo che il Giacomelli non fosse a conoscenza dello stato di
crisi della Longoni Sport; e che il coimputato Pozzobon riferiva di aver più volte
avvertito il Giacomelli dei rischi dell’operazione. L’intrapresa di quest’ultima era
dunque ricostruita nella sentenza impugnata come assistita dalla consapevolezza
di esporre il Gruppo Giacomelli a perdite tali da contribuire al dissesto; il che è
sufficiente ad integrare l’elemento psicologico del contestato reato di causazione

fraudolento indicato dal ricorrente, ma si riduce alla coscienza ed alla volontà del
compimento delle operazioni contestate ed alla prevedibilità ed accettazione del
rischio del dissesto quale possibile conseguenza della condotta (Sez. 5, n. 11945
del 22/09/1999, De Rosa, Rv. 214856; Sez. 5, n. 17690 del 18/02/2010, Cassa
di Risparmio di Rieti s.p.a., Rv. 247315). Il lamentato vizio di carenza
motivazionale è insussistente anche con riguardo alla mancanza di pareri contrari
degli esperti che avevano seguito l’operazione, trattandosi di un dato all’evidenza
privo di decisività rispetto ad elementi che, per quanto detto, erano
coerentemente valutati come di per sé dimostrativi dell’esistenza del coefficiente
psicologico che si è visto contraddistinguere il reato contestato.

2. I motivi proposti dal ricorrente Giacomelli sul ritenuto concorso fra tutti i
fatti contestati sono infondati.
Posto che il concorso fra il concorso fra il reato di bancarotta fraudolenta
patrimoniale e quello di bancarotta impropria per causazione del fallimento a
seguito di operazioni dolose è configurabile solo nella forma materiale, ossia
allorché tali operazioni non coincidano con le condotte contestate a titolo di
bancarotta fraudolenta (Sez. 5, n. 17978 del 17/02/2010, Pagnotta, Rv. 247247;
Sez. 5, n. 17690 del 18/02/2010, Cassa di Risparmio di Rieti, Rv.247314; Sez.
5, n. 34559 del 19/05/2010, Biolè, Rv. 248167), tale condizione è in effetti
ravvisabile per l’imputazione di bancarotta impropria di cui al capo B, nella
quale, come specificamente sottolineato nella sentenza impugnata, le operazioni
contestate quali fattori concorsuali nella determinazione del dissesto non si
esaurivano nelle condotte distrattive addebitate nello stesso e negli altri capi, ma
avevano ad oggetto anche l’acquisizione della Longoni Sport, la cui rilevanza ai
fini dell’imputazione in esame era oggetto di congrua motivazione per quanto
esposto al punto precedente.
Essendo per quanto detto insussistente la violazione di legge dedotta in
ordine al ritenuto concorso fra i fatti sopra considerati, a conclusioni non dissimili
si perviene per l’analoga censura proposta per il concorso fra i fatti di bancarotta
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del fallimento per effetto di operazioni dolose, che non comprendente l’intento

documentale di cui al capo D e quelli contestati al capo C, con particolare
riguardo all’annotazione delle fatture fittizie apparentemente emesse dalla Nike.
Come dettagliatamente chiarito nella sentenza impugnata, mentre al capo C era
contestata la mera registrazione di pagamenti corrispondenti alle fatture fittizie
annotate, il capo D aveva ad oggetto anche la successiva annotazione di incassi
fittizi derivanti dall’apparente vendita dei beni di cui alle fatture, attraverso un
articolato sistema di doppia contabilità e la produzione di falsi scontrini fiscali. Ed
infondata è l’ulteriore e peraltro generica doglianza sulla riconducibilità della

documentale, viceversa ricorrente in una complessa falsificazione del dato
contabile sia in entrata che in uscita, correttamente ritenuta indicativa, nelle sue
modalità esecutive, del fine di pregiudizio per i creditori.
L’infondatezza delle censure sul concorso fra i reati rende a questo punto
irrilevante la questione posta dal ricorrente, agli stessi fini, sull’essere o meno
compreso, nella pena irrogata in relazione al reato di cui al capo C, l’aumento
per l’aggravante della pluralità dei fatti di bancarotta; questione sulla quale vi
era peraltro esplicita risposta nella sentenza impugnata, nel senso della mancata
applicazione di detto aumento.

3. I motivi proposti dal ricorrente Dario Fracassi sulla sussistenza della
condotta allo stesso contestata sono infondati.
Come osservato dal ricorrente, nella sentenza impugnata si dava atto che il
conto corrente bancario, sul quale venivano accreditate le somme provenienti dai
pagamenti fittiziamente giustificati con le fatture emesse dalla Nike, veniva
aperto da Vittorio Fracassi, padre dell’imputato, il quale ne era l’unico
intestatario. Ma si osservava altresì che Dario Fracassi ammetteva di avervi
operato autorizzando tale Isabella Birilli Falduto a prelevare la somma C. 30.000,
destinata al pagamento di agenti esteri del Gruppo Sisim, del quale l’imputato
era amministratore, eseguendo altre transazioni e chiudendo infine il conto con
una movimentazione che risultava effettivamente eseguita da Dario Fracassi il
28/08/2003 mediante l’emissione di un assegno a proprio favore. Le conclusioni
della Corte territoriale, per le quali da tali elementi risultava come l’imputato
avesse concorso nell’occultamento delle somme depositate sul conto, non
integrano la dedotta violazione del principio di corrispondenza fra la condanna e
l’imputazione contestata, la quale contestava quali condotte materiali non solo
l’apertura del conto in esame, ma anche la successiva gestione dei prelievi
effettuati sullo stesso. E neppure tali conclusioni sono attinte dai lamentati vizi
motivazionali o di illegittimità nella ritenuta riconducibilità dei fatti, menzionati
come posti in essere dall’imputato, alla fattispecie del riciclaggio; quest’ultima è
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condotta appena descritta alla fattispecie tipica della bancarotta fraudolenta

infatti descritta normativamente nella forma libera del compimento di operazioni
volte non solo ad impedire in modo definitivo, ma anche a rendere difficile
l’accertamento della provenienza dei beni oggetto del reato (Sez. 2, n. 3397 del
16/11/2012 (23/01/2013), Anemone, Rv. 254314; Sez. 2, n. 1422 del
14/12/2012 (11/01/2013), Atzori, Rv. 254050; Sez. 2, n. 25940 del
12/02/2013, Bonnici, Rv. 256454; Sez. 2, n. 50950 del 13/11/2013, Vinciguerra,
Rv. 257982), e quindi anche del trasferimento di denaro di provenienza
delittuosa da un conto corrente ad altra destinazione (Sez. 2, n. 47375 del

accertate nei confronti dell’imputato.
E’ vero altresì che gli stessi giudici di merito escludevano che il reato
presupposto del contestato riciclaggio potesse essere individuato in quello di
bancarotta fraudolenta, perfezionatosi solo successivamente alle condotte
contestate a Dario Fracassi con l’intervenuta dichiarazione di insolvenza del
Gruppo Giacomelli. Ma dalla fondatezza di tale assunto del ricorrente non deriva
la dedotta contraddittorietà dell’identificazione del reato presupposto nella
ricettazione, commessa da Vittorio Fracassi, di somme provenienti da indebiti
prelievi degli amministratori del Gruppo Giacomelli, qualificabili già alla data dei
fatti ascritti a Dario Fracassi come fatti di appropriazione indebita, rispetto al
ritenuto concorso di Vittorio Fracassi nel reato di bancarotta fraudolenta. la
complessiva situazione deve infatti essere valutata per come definibile
giuridicamente all’epoca in cui i fatti contestati quali condotte di riciclaggio
venivano commessi, e quindi precedentemente alla declaratoria di insolvenza; e
dunque, così come l’appropriazione indebita, e non ancora la bancarotta
fraudolenta, era configurabile a quel momento nei confronti degli amministratori
del Gruppo Giacomelli, allo stesso modo la ricettazione, e non il concorso nella
bancarotta fraudolenta, era ravvisabile a carico di Vittorio Fracassi. Ed è altresì
infondata l’ulteriore censura di violazione del principio della contestazione nella
qualificazione del reato presupposto come ricettazione, che lasciava immutati i
fatti oggetto dell’imputazione, diversamente delineandone la natura giuridica
unicamente in base all’epoca di commissione degli stessi.

4. Sono da ultimi infondati i motivi proposti dal ricorrente Dario Fracassi
sulla qualificazione giuridica del reato.
La condotta di Dario Fracassi veniva correttamente ricondotta all’ipotesi di
cui all’art. 648-bis cod. pen., e non a quella del concorso della ricettazione
ravvisato, ai limitati fini dell’identificazione del reato presupposto del riciclaggio e
nella particolare prospettiva temporale descritta al punto precedente, nei
confronti di Vittorio Fracassi, e tanto per la diversa posizione dei due soggetti.
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06/11/2009, Di Silvio, Rv. 246434), operazione corrispondente a quelle

L’intervento di Dario Fracassi nella vicenda, a differenza di quello del padre, non
era infatti ricostruito nei termini della diretta ricezione del denaro sottratto dalle
disponibilità del Gruppo Giacomelli, affluito su un conto corrente bancario
intestato per quanto detto al solo Vittorio Fracassi, ma in quelli della successiva
gestione del denaro al fine di occultarne la provenienza con ulteriori trasferimenti
da quel conto corrente.
Le cónsiderazioni di cui al punto che precede evidenziano poi l’infondatezza
della censura relativa al mancato riconoscimento dell’ipotesi attenuata del reato

appropriazione indebita, in ragione della pena edittale per quest’ultimo prevista;
il rilievo è infatti superato dall’individuazione del reato presupposto nel fatto
commesso da Vittorio Fracassi, all’epoca qualificabile come ricettazione e quindi
sanzionato con pena superiore al limite imposto dalla norma per la configurabilità
dell’invocata attenuante.
I ricorsi devono pertanto essere rigettati, seguendone la condanna dei
ricorrenti al pagamento delle spese processuali e delle spese sostenute nel grado
dalle parti civili, che avuto riguardo alla dimensione dell’impegno processuale si
liquidano in complessivi €. 3.000 oltre accessori di legge.

P. Q. M.

Rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese
processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili, che
liquida in complessivi €. 3.000, oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma il 18/06/2014

Il Consigliere estensore

di riciclaggio in quanto commesso su somme provenienti dal delitto di

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