Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 42791 del 25/10/2016

Penale Sent. Sez. 1 Num. 42791 Anno 2017
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: SARACENO ROSA ANNA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
A.A.
T.T.
P.P.
avverso la sentenza n. 2036/2014 CORTE APPELLO di MILANO, del
30/06/2015
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 25/10/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ROSA ANNA SARACENO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

fL
Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 25/10/2016

Udito in pubblica udienza il Pubblico Ministero, in persona del Dott. Luca
Tampieri, Sostituto Procuratore Generale della Repubblica presso questa Corte, il
quale ha concluso per il rigetto dei ricorsi;
Uditi i difensori dei ricorrenti:

impugnata.

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza resa in data 30 giugno 2015 la Corte di appello di Milano
confermava, per quanto qui rileva, la sentenza emessa in data 28 febbraio 2013
dal Tribunale di Lodi che aveva dichiarato:
– A.A., T.T. e P.P. colpevoli dei delitti
di cui agli artt. 81, comma 2, 110 cod. pen., D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12,
comma 3 e comma 3 bis, lett. a) e c bis), 48, 479 cod. pen., per avere in
concorso tra loro e con soggetti stranieri non identificati, al fine di trarne
profitto, compiuto atti diretti a procurare l’ingresso nel territorio nazionale dei
cittadini extracomunitari indicati in imputazione e di numerosi altri stranieri,
presentando per via telematica presso lo Sportello Unico della Prefettura di Lodi
numerose richieste nominative di nulla osta al lavoro subordinato, agendo il
A.A. in qualità di presidente del consiglio direttivo dell’Axel’s Farm e di
datore di lavoro, la P.P.e la T.T., in qualità di procuratori speciali della
detta associazione, in tal modo determinando, attraverso la produzione di
documentazione lavorativa e reddituale falsa, il rilascio da parte del pubblico
ufficio di nulla osta al lavoro subordinato e di contratti di soggiorno (fatti
commessi in Lodi tra il febbraio e dicembre 2008 – capi b e c di rubrica);
– la T.T., altresì, colpevole dei reati di cui agli artt. 81, comma 2, 110
cod. pen., D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, comma 3 e comma 3 bis, lett. a) e c
bis) e art. 5 comma 8 bis, per avere compiuto atti diretti a procurare l’ingresso
nel territorio dello Stato dei cittadini extracomunitari indicati in imputazione,
agendo in concorso con K.K., separatamente giudicato. In
particolare il secondo, nella qualità di amministratore di fatto della Coop. 3 AR e
di datore di lavoro, la prima nella qualità di commercialista della predetta società
inviavano per via telematica allo Sportello Unico della Prefettura di Lodi e ad
altre Prefetture domande di proposta di contratto di soggiorno per lavoro
1

hanno insistito per l’accoglimento dei ricorsi e l’annullamento della sentenza

subordinato, nelle quali attribuivano agli aspiranti lavoratori stagionali la falsa
qualifica di manovali agricoli della cooperativa, indicando quali località di lavoro e
di alloggio immobili inesistenti o comunque non nella disponibilità della
cooperativa, istanze alle quali non seguiva il rilascio del nulla osta all’ingresso
(fatti commessi in Casalpusterlengo e Lodi il 17.4.2009 e in epoca antecedente e
prossima a tale data – capi d e f di rubrica),
così condannando, in concorso di circostanze attenuanti generiche
equivalenti per la T.T. e prevalenti per gli altri imputati:

Claudia alla pena di anni quattro di reclusione, A.A. alla pena di
anni tre di reclusione.
1.1 Secondo la ricostruzione operata dalle conformi decisioni di merito, gli
imputati si erano coordinati e attivati sinergicamente per procurare, con
metodiche sperimentate e ripetute, l’ingresso nel territorio dello Stato di cittadini
extracomunitari in condizione di formale regolarità ma sostanziale illiceità,
inducendo in errore la Prefettura per il rilascio del nulla osta, del relativo visto
per l’ingresso e del contratto di soggiorno.
1.2 Era rimasto accertato che:
– A.A., nella qualità sopra indicata, aveva presentato presso
la Prefettura di Lodi 14 istanze relative a lavoratori stranieri ed aveva sottoscritto
personalmente o attraverso T.T. e P.P., cui aveva conferito procura
notarile per il ritiro dei nulla osta, sette contratti di soggiorno; per ogni gruppo di
cinque lavoratori risultava una diversa sede lavorativa e alloggiativa; analoghe
richieste, nel numero complessivo di 385, erano state presentate anche presso
altre prefetture, non solo del Nord Italia, e in tutte le istanze era stato indicato
come datore di lavoro la Axel’s Farm, la cui sede legale coincideva con lo studio
di T.T.;
– nel corso della perquisizione presso lo studio della commercialista erano
state rinvenute, suddivise secondo le diverse Prefetture, le pratiche relative agli
stranieri per i quali era stata avanzata istanza di nulla-osta; in ogni pratica,
ciascuna corrispondente a un nominativo, era stata rinvenuta in copia la
medesima documentazione presente in Prefettura, ivi compresa una falsa
dichiarazione del A.A. relativa al reddito dichiarato nel 2006 dalla Axel’s
Farm, superiore a 300.000 euro; era stato rinvenuto un vademecum contenente
istruzioni per la compilazione delle domande, tra cui quella di mutare, ogni
cinque pratiche, la password, il dato del passaporto, il recapito del richiedente, la
località di impiego e la sistemazione alloggiativa del lavoratore; era stato pure
rinvenuto un block notes su cui erano annotati nominativi, cifre e Prefetture; gli
importi erano associati a nomi e Prefetture ed erano tutti uguali, la cifra indicata
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T.T. alla pena di anni cinque mesi tre di reclusione, P.P.

era di 1.400 euro ed era stata rilevata anche l’annotazione del seguente tenore”
due pratiche 2.800″; alle pratiche erano, inoltre, associati i nominativi di J.J., successivamente identificati negli imputati G.G., C.C. e E.E., in tesi di accusa intermediari tra la Axel’s
Farm e gli aspiranti lavoratori extracomunitari, poi mandati assolti;
– le domande di nulla osta all’ingresso per lo stesso nominativo risultavano
presentate talvolta anche a più Prefetture; le sedi lavorative e le sistemazioni
alloggiative indicate nelle richieste erano risultate per lo più inesistenti o nella

agricola, ma un’associazione culturale, la cui sede operativa era costituita da un
prefabbricato sito in prossimità dell’abitazione del A.A.; false ne erano
risultate partita Iva e numero di matricola indicati nelle istanze; l’associazione
non aveva mai presentato dichiarazioni fiscali;
– la T.T. era risultata l’ideatrice dell’attività (testimonianza di A.L.); aveva rapporti diretti con gli stranieri; presso il suo studio era stato
sequestrato l’imponente materiale che ne documentava e ne provava l’illecita
attività;
– la P.P., segretaria della coimputata, risultava aver firmato contratti
di soggiorno presso la Prefettura di Lodi, quale procuratrice della Axel; aveva
ritirato per conto di A.A. quattro nulla osta presso la Prefettura di Lecco
(teste N.M.); alla stessa A.L., per conto del A.A., aveva
consegnato in più occasioni le domande di assunzione; impartiva all’altra
impiegata dello studio, Alfano Stefania, istruzioni per l’inserimento al computer
dei dati relativi ai soggetti extracomunitari; manteneva i contatti con gli stranieri
(dichiarazioni di A.M. e A.S.);
– A.A. aveva firmato 385 domande di assunzione nonché la falsa
dichiarazione sui redditi conseguiti nell’anno 2006, necessaria ad integrare i
requisiti reddituali di legge per le procedure di assunzione; si avvaleva di A.L. quale fattorino per la consegna delle domande di assunzione; aveva
firmato contratti di soggiorno e si era presentato presso diverse Prefetture per il
disbrigo

della

pratiche;

all’atto

della

perquisizione

presso

l’ufficio

dell’associazione Axel’s Farm era stata sequestrata una cartelletta con 37 buste
indirizzate al A.A. spedite da diverse Prefetture contenenti comunicazioni in
parte di rigetto delle domande di nulla osta all’ingresso, in parte di convocazione
per il ritiro dei nulla osta concessi.
1.3 Medesimo il modus operandi dell’attività illecita contestata ai capi d) e
e) di rubrica alla sola T.T. in concorso con K.K..
La cooperativa 3 AR, priva di strutture e sedi lavorative, era risultata
indicata come datore di lavoro nelle domande di assunzione di 107
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disponibilità di terzi estranei e inconsapevoli; l’Axel’s Farm non era un’azienda

extracomunitari; oltre al dato documentale, vi erano poi le dichiarazioni del
coimputato, il quale aveva riferito che inizialmente si era rivolto alla T.T.  per
ottenere i nulla osta all’ingresso per due familiari, regolarmente ottenuti e per i
quali aveva corrisposto l’importo di 3.000 euro; successivamente si era
accordato con la donna e su suo suggerimento aveva chiuso l’impresa individuale
di cui era titolare e costituito una cooperativa che avrebbe operato nel settore
edilizio; dopo qualche mese, sempre consigliato dalla T.T. aveva ampliato
l’oggetto estendendolo all’agricoltura; aveva presentato domande di assunzioni,

diverse Prefetture con la prospettiva di divisione degli utili, pari ad euro 1500 a
pratica (dichiarazioni riscontrate da quelle della teste Banouha Rehab).
2. Ricorrono per cassazione gli imputati con l’assistenza dei rispettivi
difensori.
2.1 A.A. sviluppa ed argomenta due motivi di impugnazione.
2.1.1. Con il primo motivo denunzia violazione della norma incriminatrice e
mancanza di motivazione in ordine alle devoluzioni difensive circa il dolo
specifico del fine di profitto.
Premette che le condotte contestate all’imputato risalgono ai mesi di
febbraio-dicembre 2008, di guisa che ad esse trova applicazione la disciplina del
D.Lgs. 25 luglio 1998, n.286, art. 12 vigente all’epoca, di maggior favore per
l’imputato rispetto a quella attualmente in vigore in seguito alla novella di cui
alla L. 15 luglio 2009. Tanto in applicazione dei principi generali in tema di
successione di leggi penali nel tempo, codificati all’art. 2 cod. pen., comma 4.
Orbene, il delitto di cui al terzo comma della norma incriminatrice vigente al
momento dei fatti, quello appunto contestato al prevenuto, descriveva condotte
punibili se consumate col fine di trarre profitto anche indiretto, fine questo non
integrante una mera circostanza aggravante del delitto di favoreggiamento
dell’immigrazione clandestina, ma integrante, in seguito alle modifiche apportate
alla norma dalla L. n. 189 del 2002, un requisito della volontà, il dolo specifico,
idoneo a configurare una ipotesi di reato autonoma rispetto a quella di cui al
comma 1, ove detto fine (e la conseguente tipologia di dolo) non compariva.
Tanto precisato, osserva che attraverso le deduzioni articolate con l’atto di
appello era stata evidenziata l’emersione di un dato probatorio dirimente ai fini
dell’esclusione del richiesto elemento soggettivo, rappresentato dalla circostanza
che nessuno degli stranieri escussi avesse dichiarato di aver versato denaro a
cittadini italiani al fine di ottenere il permesso di soggiorno. La risposta fornita a
tale doglianza dalla Corte distrettuale risultava del tutto omessa, non potendosi
considerare tale né la laconica affermazione secondo la quale “il fine di profitto è
più che dimostrato dalla contabilità ufficiosa sequestrata, indicante il costo di
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impegnandosi a provvedere personalmente al ritiro dei nulla osta presso le

ogni pratica fissato in euro 1.400”,

nè il mero rinvio per relationem alla

motivazione della sentenza di primo grado che avrebbe dato ampiamente conto
dei dati fattuali acquisiti. Di contro, la decisione richiamata risultava del tutto
silente sul tema del dolo specifico, contenendo un mero accenno in proposito,
nella parte ricognitiva dei risultati dell’istruttoria dibattimentale, alla deposizione
resa del teste Giordano in relazione agli esiti della perquisizione condotta presso
lo studio della coimputata T.T. e al rinvenimento del block notes sul quale
erano appuntati nomi, cifre e importi.

all’esclusione del materiale conseguimento di un lucro dalla condotta né
esprimendo alcuna valutazione in termini di falsità o di compiacenza delle
testimonianze assunte, la Corte di merito aveva finito per valorizzare un
elemento di portata meramente indiziaria, per di più tutt’altro che univoco e
preciso dappoiché a) i nominativi cui erano associate le cifre annotate erano
risultati quelli degli originari coimputati, mandati assolti e che, in tesi di accusa,
sarebbero stati i procacciatori di cittadini extracomunitari aspiranti all’ingresso
nel territorio italiano; b) la stessa quantificazione della cifra corrisposta per
pratica era il portato di un’intuizione investigativa, tant’è che lo stesso operante
si era espresso, nel corso della sua deposizione, in termini di verosimiglianza e
non di certezza; c) dalle annotazioni non si ritraeva alcun collegamento diretto
tra le cifre, verosimilmente corrisposte dagli stranieri, e i soggetti a nome dei
quali le richieste erano state effettuate.
In definitiva, si assume violato il parametro valutativo di cui all’art. 192,
comma 2, cod. proc. pen. e la regola di giudizio dell’oltre ogni ragionevole
dubbio.
2.1.2. Con il secondo motivo il ricorrente denunzia violazione di legge e vizio
di motivazione in relazione all’intervenuta declaratoria di inammissibilità dei
motivi di appello in punto di dosimetria sanzionatoria. Deduce che, a fronte della
motivazione di stile utilizzata nella decisione di primo grado, consistita nel mero
e indistinto richiamo ai parametri direttivi di cui all’art. 133 cod. pen. senza
alcuna specificazione degli elementi valorizzati nella determinazione del carico
sanzionatorio, il motivo di appello, con cui si contestava la manifesta esorbitanza
della pena irrogata e il difetto di proporzione con la reale entità del fatto, non
poteva essere tacciato di aspecificità con conseguente sanzione di
inammissibilità.
2.2 La ricorrente T.T. articola un unico motivo di impugnazione col quale
denunzia erronea applicazione della legge penale e mancanza, contraddittorietà
ed illogicità della motivazione.

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Pertanto, svilendo le risultanze negative della prova dichiarativa conducente

Lamenta la motivazione tautologica e pressoché apparente della decisione
impugnata che, ad onta del rinvio per relationem al contenuto della sentenza
appellata, ha finito per operare una ricostruzione della responsabilità degli
imputati diametralmente opposta a quella effettuata dal primo decidente. Il
Tribunale di Lodi aveva valorizzato il ruolo direttivo della T.T. nello
svolgimento dell’attività illecita, così giustificando il più oneroso trattamento
sanzionatorio irrogato all’imputata. La Corte distrettuale aveva, di contro,
assegnato rilevanza preminente nell’intera vicenda alla Axel’s Farm e al ruolo

contraddittorio, la sanzione inflitta alla ricorrente che, viceversa e in coerenza
con le citate premesse, avrebbe dovuto rideterminare in melius, anche previo
allineamento al più favorevole bilanciamento delle circostanze operato per gli
altri coimputati e segnatamente per l’imputato A.A., alla cui condotta era
stato assegnato un peso specifico prevalente nella realizzazione degli illeciti.
Contesta, inoltre, la tecnica redazionale adottata, consistita nel rinvio per
relationem alla decisione appellata e affatto priva di alcuna riconsiderazione
autonoma e critica delle risultanze di causa alla luce dei motivi di appello;
lamenta l’omessa risposta alle deduzioni formulate in relazione al capo c) di
rubrica, fondato sulla sola chiamata in correità del concorrente, non supportate
da ulteriori riscontri e la cui attendibilità non risulta minimamente vagliata;
rileva, al riguardo, l’indebita ed inconferente valorizzazione, in funzione di
riscontro, dell’unicità del contesto spazio-temporale e della coincidenza delle
modalità esecutive tra le condotte di cui al capo c) e quelle cristallizzate al capo
b) di rubrica.
2.3 P.P. articola sei motivi di ricorso.
2.3.1 Con il primo deduce violazione di legge e carenza di motivazione sul
tema del dolo specifico richiesto dalla fattispecie incriminatrice. Le deduzioni
svolte sono sostanzialmente coincidenti con quelle articolate dal coimputato
A.A. al cui motivo di ricorso si rinvia. In aggiunta la ricorrente stigmatizza
l’irrazionalità degli approdi decisori: l’assoluzione degli imputati, asseriti
intermediari, per carenza di prova in ordine all’avvenuta percezione di somme di
danaro e la condanna della P.P. in carenza di prova del dolo specifico
richiesto e dell’effettivo conseguimento di un lucro,
2.3.2. Con il secondo motivo deduce violazione di legge e vizio di
motivazione, nonché travisamento della prova circa il costo di ogni pratica e
l’affermata intercambiabilità dei ruoli di T.T. e P.P.. Erra la Corte di
merito quando assume per provato che il costo per pratica ammontava ad euro
1.400. Tale circostanza non era data per scontata nemmeno dalla sentenza
appellata, né si ritraeva dalla deposizione del teste Giordano che, sul punto, si
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svolto dal A.A., salvo a confermare, in modo del tutto illogico e

era espresso in termini di verosimiglianza e non di certezza. Parimenti travisante
la lettura delle risultanze processuali, in base alla quale era stata affermata
un’intercambiabilità dei ruoli tra la commercialista T.T. e la segretaria
P.P.. L’assoluta autosufficienza della concorrente T.T. nella
commissione degli illeciti in contestazione era conclamata dalla prosecuzione
dell’attività delittuosa anche dopo l’allontanamento della ricorrente dallo studio
della ridetta commercialista avvenuto nel dicembre 2008.
2.3.3 Con il terzo motivo si deduce vizio di motivazione e travisamento della

della ricorrente nel trattare pratiche di immigrazione. Non solo difettava la prova
che l’attività della P.P. si esaurisse o fosse prevalentemente diretta alla
predisposizione di pratiche di immigrazione, ma quand’anche si fosse voluto dare
per provato tale dato, esso sarebbe stati parimenti ininfluente posto che si
sarebbe dovuto dimostrare – e la decisione impugnata non lo fa- che la
ricorrente fosse esperta in pratiche di immigrazione clandestina e non in pratiche
di immigrazione regolare. Il rinvenimento del vademecum sulla modalità di
compilazione delle pratiche era un ulteriore elemento che attestava la scarsa
dimestichezza della P.P. nell’espletamento delle relative presunte
mansioni, come pure sotto il profilo materiale la condotta tenuta appariva
ontologicamente inidonea a comprovare il ritenuto concorso e il relativo
elemento soggettivo, essendo rimasto provato che, in circa un anno di lavoro
presso la T.T., la ricorrente aveva provveduto al ritiro di soli quattro permessi
di soggiorno con delega a firma A.A..
2.3.4 Con il quarto motivo denunzia violazione dell’art. 110 cod. pen. e vizio
di motivazione. Difetta la prova dell’accordo tra i pretesi correi; anzi è la stessa
sentenza di primo grado ad affermare il difetto di prova in ordine alla reciproca
conoscenza di A.A. e P.P., il che confligge in maniera insanabile con il
requisito dell’accordo ex art. 110 cod. pen. e con la sussistenza del, pur
riconosciuto, disegno unitario ex art. 81, secondo comma cod. pen..
2.3.5 Con il quinto motivo deduce carenza di motivazione, lamentando
l’omessa risposta alle deduzioni difensive articolate con l’atto di appello.
2.3.6 Con il sesto motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione
con riferimento alla ritenuta inammissibilità dei motivi di appello inerenti al
trattamento sanzionatorio. La ricorrente nell’atto di appello aveva specificamente
stigmatizzato l’incontrollabile valutazione equitativa ex art. 133 cod. pen.
operata dal Tribunale e l’omessa esplicazione dei motivi per cui le attenuanti
generiche, “a parità di conteggio”, avessero importato per A.A. l’irrogazione
di una pena più lieve. Inoltre, incorrendo nella violazione dell’art. 2, quarto
comma, cod. pen. i giudici di merito avrebbero dovuto avvedersi che il
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prova con riferimento all’elemento psicologico del reato e alla presunta abitualità

trattamento sanzionatorio, per i fatti ricadenti nell’ipotesi di cui al comma 3
dell’art. 12 applicato ratione temporis alla ricorrente, risulta, dopo le modifiche
apportate dalla L. n. 94 del 2009, più oneroso di quello che sarebbe applicabile
alla stregua della vigente normativa (art. 12 comma 3 ter lett. b), con
riferimento all’ipotesi base di reato contemplata dal comma 1 dell’art. 12
aggravata dal fine di profitto (reclusione da un anno e quattro mesi a sette anni
e sei mesi e multa di 25.000 euro per ogni persona) .

1. Le proposte impugnazioni non meritano accoglimento perché quantomeno
infondate in ogni loro deduzione.
1.1 Giova ribadire, a premessa unitaria della disamina delle formulate
censure con le quali si lamenta l’improprio utilizzo della motivazione

per

relationem e la mancata autonoma valutazione delle evidenze probatorie alla
luce delle deduzioni difensive svolte con gli atti impugnatori, che “in sede di
legittimità non è censurabile una sentenza per il suo silenzio su una specifica
deduzione prospettata col gravame quando la stessa è disattesa dalla
motivazione della sentenza complessivamente considerata. Pertanto, per la
validità della decisione non è necessario che il giudice di merito sviluppi nella
motivazione la specifica ed esplicita confutazione della tesi difensiva disattesa,
essendo sufficiente per escludere la ricorrenza del vizio che la sentenza evidenzi
una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione della deduzione difensiva
implicitamente e senza lasciare spazio ad una valida alternativa. Sicché, ove il
provvedimento indichi con adeguatezza e logicità quali circostanze ed emergenze
processuali si sono rese determinanti per la formazione del convincimento del
giudice, sì da consentire l’individuazione dell’iter logico-giuridico seguito per
addivenire alla statuizione adottata, non vi è luogo per la prospettabilità del
denunciato vizio di preterizione” (Sez. 2, n. 29434 del 19/05/2004, Candiano ed
altri, Rv. 229220; Sez. 5 n. 607 del 14/11/2013, Maravalli, Rv. 258679).
1.2 Va, altresì, rammentato che “allorché le sentenze di primo e secondo
grado concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a
fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di
appello si salda con quella precedente per formare un unico complesso corpo
argomentativo” Sez. 1, n. 8868 del 26/06/2000, Sangiorgi, Rv. 216906); che
“nel momento del controllo della motivazione, la Corte di cassazione non deve
stabilire se la decisione di merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti, ne’
deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa
giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile

fe

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Considerato in diritto

opinabilità di apprezzamento: ciò in quanto l’art. 606 cod. proc. pen., comma 1,
lett. e) non consente alla Corte una diversa lettura dei dati processuali o una
diversa interpretazione delle prove, perché è estraneo al giudizio di legittimità il
controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali” ( Sez
4 n. 4842 del 02/12/2003 Rv. 229369); che “il giudice di legittimità, investito di
un ricorso che proponga una diversa valutazione degli elementi di prova
(cosiddetto travisamento del fatto), non può optare per la soluzione che ritiene
più adeguata alla ricostruzione dei fatti (…) potendo solo verificare, negli stretti

prova sia quello indicato dal giudice di merito, sempre che questa verifica non si
risolva in una valutazione della prova” (tra le altre: Sez. 4 n. 4842 del
02/12/2003, Elia ed altri, Rv. 229369).
2. Tanto precisato, le censure svolte con il primo motivo dei ricorsi A.A.
e P.P. sono correlate, nel contesto della dedotta nullità della sentenza per
violazione di legge e vizio di motivazione, ai rilievi svolti in ordine all’incorso
travisamento della prova in dipendenza della ricostruzione della condotta dei
ricorrenti e del relativo elemento soggettivo sulla base di deduzioni di
verosimiglianza e non di certezza delle indicazioni fornite dal teste Giordano, di
utilizzo di informazioni probatorie non esistenti per come affermate dai giudici di
merito e di omessa considerazione di sussistenti e pacifiche risultanze, in
particolare l’assoluto silenzio degli stranieri, escussi a dibattimento, in ordine al
preteso corrispettivo versato per la predisposizione e la gestione delle pratiche
volte all’ottenimento del nulla osta e del contratto di soggiorno.
2.1 I motivi, pur recando nella loro intestazione anche la denunciata
violazione di legge, propongono in realtà censure alla motivazione del
provvedimento attinenti alla contestata sussistenza del fine del profitto.
Non sussiste, difatti, la dedotta violazione di legge, in quanto sia
l’imputazione formulata sia l’inquadramento operato dai giudici di merito sono
corretti ed in linea con l’innovazione normativa introdotta nel sistema dalla
legge n. 189 del 2002 (applicabile nella specie ai reati contestati in quanto
commessi prima della legge n. 94 del 2009) e con la configurazione, in forza
della stessa, del fine di profitto, di cui al comma 3, come fattispecie di reato
autonomo. Il delitto di cui al terzo comma della norma incriminatrice vigente al
momento dei fatti, quello appunto contestato ai prevenuti, descrive condotte
punibili se consumate col fine di trarre profitto anche indiretto, fine questo non
integrante una mera circostanza aggravante del delitto di favoreggiamento
dell’immigrazione clandestina, ma costitutivo di un requisito della volontà, il dolo
specifico, idoneo a configurare una ipotesi di reato autonoma rispetto a quella di

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limiti della censura dedotta, se un mezzo di prova esista e se il risultato della

cui al comma 1, ove detto fine (e la conseguente tipologia di dolo) non compare
(Cass., Sez. 1, 22/01/2008, n. 7157; Cass., Sez. 1, 25/01/2006, n. 11578).
Né sussiste il dedotto vizio motivazionale, avendo la sentenza impugnata
ragionevolmente rappresentato che il fine di profitto era rimasto più che
dimostrato dalla contabilità officiosa sequestrata, indicante il costo di ogni
pratica fissato in euro 1400, oltre che dal numero delle pratiche avviate, più di
385, e dalle già descritte modalità dell’azione (v. supra nel Ritenuto in fatto, §.
1.2 e s.), dati fattuali tutti che rimandavano a un’aspettativa di lucro dei

in nulla contraddetta dalla evidente friabilità delle contrarie deduzioni difensive.
Si tratta di una valutazione congrua e logicamente rappresentata, a fronte della
quale i ricorrenti oppongono deduzioni in fatto, che, non incidenti secondo un
parametro di rilevanza e di decisività sullo sviluppo argomentativo della
decisione, invadono il campo dell’alternativa lettura di merito, non percorribile in
questa sede.
2.2 Per vero, l’infondatezza di tutte le obiezioni mosse, e che rasentano
l’inammissibilità, consegue al rilievo che la valutazione organica delle risultanze
processuali che si assume omessa o errata, è stata compiutamente condotta
dalla Corte di appello secondo un percorso argomentativo, che, sviluppatosi in
stretta ed essenziale correlazione con lo sviluppo della decisione impugnata, ha
sinteticamente, ma compiutamente analizzato, con ragionamento probatorio
esaustivo e congruo, i dati fattuali acquisiti e ha rappresentato le ragioni
significative delle conclusioni adottate senza prescindere dal ragionato confronto
con le deduzioni difensive, già disattese dalle evidenze probatorie analiticamente
esaminate e valutate, con commendevole acribia, dalla decisione appellata.
2.3 È stato, difatti, rimarcato come tutta la vicenda rubricata ai capi b) e c)
di rubrica si fosse sviluppata intorno alla Axel’s Farm, con sede a
Casalpusterlengo, via Adda n. 5, e cioè nello studio di T.T.; come
fosse stato appurato che l’associazione fosse un’entità affatto inidonea a
procedere all’assunzione di lavoratori stranieri, anche con contratti stagionali,
siccome associazione culturale e non azienda agricola, priva di dipendenti, di
sedi lavorative, non svolgente nessuna delle attività indicate nelle istanze, priva
dei requisiti reddituali prescritti per procedere alle richieste assunzioni; è stato
evidenziato che A.A., nella qualità di presidente dell’associazione, aveva
inoltrato, figurando quale datore di lavoro, le istanze di nulla osta per
l’assunzione di lavoratori extracomunitari, si era recato personalmente recato
presso la Prefettura di Lodi, aveva sottoscritto gli atti necessari, aveva
falsamente dichiarato che l’associazione nell’anno 2006 aveva prodotto un
fatturato di oltre 300.000 euro, aveva presentato allo sportello dell’immigrazione

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ricorrenti e a un’attività intrapresa e proseguita con carattere di professionalità,

una dichiarazione dei redditi mai inoltrata all’ufficio finanziario, aveva delegato
T.T. e P.P. a curare per conto della Axel le procedure presso le varie
prefetture, era stato destinatario delle comunicazioni proveniente dai pubblici
uffici di reiezione delle richieste ovvero di invito per il ritiro dei nullaosta
accordati. Sicché del tutto condivisibilnnente la Corte di merito ha rilevato
contraria ad ogni logica l’affermazione contenuta nell’atto di appello, secondo cui
l’intenzione dell’imputato sarebbe stata quella di assumere uno stalliere per
rimpiazzare il socio Spinelli Edoardo e di aver agito in modo sprovveduto,

poco più che labiale a fronte delle 385 domande di assunzione presentate dal
A.A. e delle deleghe dal medesimo concesse per la prosecuzione di
un’attività volta alla fittizia assunzione a fini di profitto di lavoratori
extracomuntari per consentirne l’ingresso in Italia.
2.4 Ed è stato, altresì, più che adeguatamente e plausibilmente motivato
l’apprezzamento di non verosimiglianza delle affermazioni difensive della T.T.
(sul suo ruolo di professionista svolto del tutto lecitamente e sull’ampia delega
concessa alla P.P., esperta nel settore, la quale si sarebbe occupata di
tutte le pratiche, consentendole di assentarsi per lunghi periodi) e della
P.P. (sulle mansioni di semplice impiegata dello studio commerciale, di
mera esecutrice delle istruzioni ricevute e sulla sua incapacità di distinguere le
pratiche lecite da quelle illecite), valorizzando specifiche emergenze fattuali e,
segnatamente, osservando che nel breve arco temporale di circa dieci mesi la
T.T. e la P.P. avevano inviato telematicamente 385 domande di nulla
osta a diverse prefetture (Biella, Vercelli, Lecco, Cremona, Mantova, Varese,
Parma, Crema, Padova, Treviso, Novara, Siena, Firenze, Rieti, Catania ecc.), che
tutte le richieste indicavano la Axel’s Farm quale società richiedente l’assunzione,
società priva di sedi operative e con numero di partita Iva inesistente; che per
un medesimo lavoratore era stato richiesto il nulla osta all’ingresso presso più
prefetture; che inesistenti o riconducibili a soggetti inconsapevoli erano risultate
le sedi lavorative o le sistemazioni alloggiative indicate nelle richieste e che per
ogni cinque lavoratori veniva indicata una sede diversa per lo svolgimento
dell’attività lavorativa; che dei 14 lavoratori di cui alle pratiche avviate e
positivamente esitate presso la Prefettura di Lodi, sette erano entrati in Italia e i
relativi contratti di soggiorno risultavano sottoscritti da A.A. e da T.T. e
P.P. su delega del primo; che la P.P. aveva ritirato, per conto del
A.A., quattro nulla osta presso lo sportello Unico dell’Immigrazione della
Prefettura di Lecco (teste Nenci); che con la P.P., indicata con il nome di
Claudia, aveva avuto ripetuti contatti Arhni Mounia, la quale, giunta in Italia dal
Marocco per lavorare nel settore agricolo alle dipendenze della Axel, aveva

t(

11

venendo sfruttato dalle coimputate, deduzione a ragione ritenuta di consistenza

atteso vanamente di essere convocata per poter iniziare l’attività lavorativa per
la quale era stata (fittiziamente) assunta.
In tale contesto le deduzioni difensive (anche quelle svolte nel secondo,
terzo, quarto, quinto motivo del ricorso P.P.), lungi dall’esprimere
travisamenti, omissioni o distorsioni logiche, si risolvono in censure sul
significato e sulla interpretazione di alcuni degli elementi probatori utilizzati in
sede di merito, come le osservazioni volte a contestare le (chiare) risultanze
della contabilità ufficiosa sul costo di ogni pratica, a rimarcare la pretesa

Giordano, ad annotare la mancata indicazione da parte degli stranieri della
corresponsione di una somma per l’ottenimento del nulla osta (sul punto le
censure, oltre che generiche, non sono nemmeno autosufficienti), ovvero a
ridimensionare le proprie responsabilità (T.T. , A.A.) o a negare
(P.P.) la consapevolezza della natura illecita dell’attività pur materialmente
espletata, deduzioni affidate ad affermazioni autoreferenziali in contrasto con
obiettivi ed imponenti elementi probatori. Censure, tutte, che tendono a
impegnare questa Corte, attraverso la prospettazione di un diffuso dissenso di
merito quanto alla valutazione del risultato probatorio, in una inammissibile
nuova lettura dei dati fattuali e degli elementi probatori e in una, del pari non
consentita, revisione, in un’ottica diversa e più favorevole, delle valutazioni
effettuate e delle conclusioni raggiunte dai giudici di merito, cui – a fronte del
convincimento, espresso con la pronuncia conclusiva di condanna, supportato da
una trama motivazionale idonea a rappresentare, in modo ragionevole e congruo
rispetto al fine del provvedimento, le ragioni giuridicamente significative, di
carattere necessariamente unitario e globale, della decisione adottata – non può
imputarsi, come si assume, di aver omesso l’esplicita confutazione d’ogni tesi
non accolta o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio, non
significativi o già implicitamente apprezzati come inconferenti.
2.5 Inconferenza che contraddistingue anche l’osservazione con cui si
stigmatizza l’illogicità della decisione nella parte in cui incongruamente non
avrebbe rilevato l’incoerenza tra l’assoluzione dei coimputati stranieri, per difetto
di prova di passaggio di denaro dagli aspiranti immigrati ai presunti intermediari
e da costoro alla T.T., e la condanna dei ricorrenti pur in difetto di prova del
conseguimento di un profitto, essendo appena il caso di rilevare che il primo
decidente è pervenuto all’assoluzione dei predetti, ai sensi dell’art. 530 cpv. cod.
proc. pen., per insufficienza della prova circa il ruolo di intermediazione
ipotizzato dall’accusa, mentre quanto al dolo speciale di profitto in capo ai
concorrenti condannati sono stati evidenziati i dati fattuali e i plurimi elementi
indiziari indicativi della sua sussistenza.
12

inidoneità dimostrativa, in punto di profitto, delle dichiarazioni del teste di P.G.

2.6 Va, inoltre, rilevata l’inconsistenza della doglianza (quinto motivo del
ricorso P.P.) con cui si denuncia la violazione dell’art. 110 cod. pen. e
l’illogicità della motivazione sul presupposto che essendo necessario ai fini del
concorso di persone nel reato il previo accordo tra i pretesi correi, di esso non vi
sarebbe prova nel caso in esame, dal momento che, come rilevato dal primo
decidente, nemmeno poteva affermarsi la reciproca conoscenza personale tra
A.A. e P.P.. Entrambe le sentenze di merito hanno, di contro, ben
evidenziato il contributo di ogni compartecipe alle singole condotte e alla

ha posto l’accento sulla circostanza dell’irrilevanza di “chi all’interno di un gruppo
di correi ponga in essere la singola azione perchè il fine comune unifica i singoli
comportamenti”. E in tali proposizioni argomentative vi è una corretta
applicazione delle norme sul concorso di persone nel reato, conforme alla
costante lezione interpretativa di questa Corte che ha ripetutamente affermato
come la volontà di concorrere non presuppone necessariamente un previo
accordo o, comunque, la reciproca consapevolezza del concorso altrui, in quanto
l’attività costitutiva del concorso può essere rappresentata da qualsiasi
comportamento esteriore che fornisca un apprezzabile contributo, in tutte o
alcune fasi di ideazione, organizzazione od esecuzione, alla realizzazione
dell’altrui proposito criminoso. Assume carattere decisivo l’unitarietà del “fatto
collettivo” realizzato che si verifica quando le condotte dei concorrenti risultino,
alla fine, con giudizio di prognosi postumo, integrate in unico obiettivo,
perseguito in varia e diversa misura dagli imputati, sicché è sufficiente che
ciascun agente abbia conoscenza, anche unilaterale, del contributo recato alla
condotta altrui (Sez. 5 n. 25894 del 15/05/2009, Catanzaro e altri, Rv. 243901;
Sez. 2 n. 18745 del 15/01/2013, Ambrosiano e altri, Rv. 255260).
2.7 Priva di fondatezza è anche la doglianza mossa dalla T.T. con
riferimento alla statuizione di reità per i reati di cui ai capi d) e f) di rubrica
asseritamente adottata in violazione delle regole valutative e di giudizio di cui
agli artt. 192, comma 3, e 533 cod. proc. pen.. I rilievi svolti sono inidonei a
disarticolare il ragionamento probatorio perché privi di forza dimostrativa
incidente sulla tenuta logico- argomentativa delle decisioni che hanno valorizzato
le precise dichiarazioni accusatorie del coimputato K.K.,
riscontrate dalla deposizione della teste Banouha Rehab, la quale per conoscenza
diretta ha confermato che era stata la T.T. a proporre al marito la costituzione
di una cooperativa e successivamente ad ampliarne l’oggetto sociale dall’edilizia
al settore agricolo per l’assunzione di lavoratori extracomunitari; circostanze
tutte ulteriormente corroborate dal rinvenimento dei documenti contabili della
cooperativa presso lo studio della commercialista e dalle risultanze investigative,
13

correttezza e completezza dell’indagine svolta in primo grado, la Corte di merito

in particolare dalle richieste di nulla osta avanzate per 107 lavoratori
extracomunitari da parte della cooperativa 3 AR, priva di strutture o di beni
strumentali per l’assunzione di lavoratori stagionali nel settore agricolo e la cui
sede operativa coincideva con la modesta abitazione di K.K., sicché del tutto plausibile è l’affermazione secondo cui i ridetti dati
dichiarativi e documentali acquisivano ulteriore specificità e spessore,
considerando la sovrapponibilità del modus operandi con quello già verificato e
ampiamente comprovato nella vicenda della Axel’s Farm.

sanzionatoria. Si è in presenza di rilievi critici generici e che investono un profilo
della regiudicanda, quello del trattamento sanzionatorio, che è rimesso
all’esclusivo apprezzamento del giudice di merito e si sottrae a scrutinio di
legittimità, quando si mostri sorretto -come occorre constatare nel caso della
sentenza di primo grado cui la Corte di merito ha fatto espresso rinvio- da una
motivazione sintetica ma non irrazionale, potendosi solo aggiungere che, con
specifico riguardo al contenuto dell’obbligo di motivazione, esso si attenua nel
caso in cui il giudice ritenga di applicare la pena in misura prossima o pari al
minimo edittale (come nella specie), sicché è sufficiente il richiamo a criteri di
adeguatezza o l’utilizzo di formule sintetiche.
Questa Corte ha, infatti, ripetutamente affermato che la determinazione
della pena tra il minimo ed il massimo edittale rientra tra i poteri discrezionali del
giudice di merito ed è insindacabile nei casi in cui la pena sia applicata in misura
media e, ancor più, se prossima al minimo, anche nel caso il cui il giudicante si
sia limitato a richiamare criteri di adeguatezza, di equità e simili, nei quali sono
impliciti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. (così sez. 4, n. 21294,
Serratore, Rv. 256197; sez. 2, n. 28852 dell’8.5.2013, Taurasi e altro, Rv.
256464; sez. 3, n. 10095 del 10.1.2013, Monterosso, Rv. 255153), a meno che
la quantificazione del carico sanzionatorio non sia frutto di mero arbitrio o di
ragionamento illogico, circostanza che non ricorre nella specie. Invero, il primo
decidente per tutti gli imputati è partito da una pena base attestata
sull’insuperabile minimo edittale e ha apportato aumenti contenuti e più che
ragionevoli a titolo di continuazione. Anzi vi è da rilevare che non è stata irrogata
la pena pecuniaria e che, nonostante la riconosciuta sussistenza delle aggravanti
del numero degli stranieri superiore a cinque, dell’utilizzo di documenti
contraffatti e del fatto commesso da tre persone in concorso tra loro, non si è
fatta applicazione del regime di operatività delle circostanze attenuanti (diverse
da quelle di cui agli artt. 98 e 114 cod. pen.) contemplato al comma 3 quater
nell’art. 12 D. Igs. n. 286 del 1998 anche nella formulazione vigente all’epoca di
commissione degli illeciti in esame. La deroga al giudizio di bilanciamento
14

2.8 Manifestamente infondate sono le censure in punto di dosimetria

giustificata dalla necessità di attuare un trattamento di maggiore rigore nel caso
di concorso con le aggravanti contemplate dai commi 3 bis e 3 ter avrebbe
dovuto precludere l’intervenuto giudizio di equivalenza (per la T.T.) e di
prevalenza (per A.A. e P.P.) e la diminuzione di pena avrebbe dovuto
operare sulla quantità di pena risultante dall’aumento conseguente alle ridette
aggravanti. Per tutte le ragioni sopra esposte risultano infondate all’evidenza sia
le osservazioni sulla eccessiva onerosità del trattamento sanzionatorio irrogato,
sia quelle sulle presunte immotivate disparità di trattamento tra i diversi

svolto dalla T.T.e, per tale ragione, ha ritenuto immotivato il riconoscimento
delle attenuanti generiche di cui l’imputata ha fruito.
2.8 È infondata, infine, anche la dedotta violazione dell’art. 2, comma 4,
cod. pen. (sesto motivo ricorso P.P.) per non avere i giudici di merito
applicato il più favorevole trattamento sanzionatorio previsto dall’art. 12 del
D.Lgs citato come novellato dalla L. n. 94 del 2009. Invero l’art. 12, comma 3,
nell’attuale formulazione descrive una ipotesi aggravata da elementi a carattere
indipendente (lett. a, b, c, d, e) in cui la pena è determinata in maniera
autonoma rispetto a quella prevista per il reato base ( da cinque a quindici anni
di reclusione e euro 15.000 di multa per ogni persona). Il legislatore ha, poi,
previsto, al comma 3 bis, un ulteriore aumento nel caso ricorrano due o più
delle ipotesi selezionate al comma 3 e, infine, al comma 3 ter ha previsto una
circostanza ad effetto speciale egualmente caratterizzata dalla particolarità che
la sanzione su cui commisurare l’aumento di pena è quella posta a fondamento
della circostanza indipendente di cui al comma 3 (” La pena detentiva è
aumentata da un terzo alla metà e si applica la multa di 25.000 euro per ogni
persona se i fatti di cui ai commi 1 e 3: (…) b) sono commessi al fine di trarne
profitto anche indiretto”, confermando, infine, al comma 3 quater, la
disapplicazione della regola di bilanciamento di cui all’art. 69 cod. pen., con le
sole eccezioni delle attenuanti della minore età e della minima partecipazione,
quando le circostanze attenuanti concorrano con le aggravanti di cui ai commi 3
bis e 3 ter. Sicchè nel caso in esame, diversamente da quanto ritenuto dalla
difesa della P.P., la pena base su cui apportare le riduzioni di pena per le
riconosciute attenuanti generiche, non sarebbe stata inferiore a quella minima di
anni sei mesi otto di reclusione ed euro 25.000 di multa per ogni persona.
In conclusione i ricorsi vanno rigettati e i ricorrenti condannati al pagamento
delle spese processuali.

15

concorrenti, non avendo la Corte di merito per nulla sminuito il ruolo direttivo

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 25 ottobre 2016

nsigliere es nsore

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