Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4277 del 07/01/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 4277 Anno 2015
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

SENTENZA
Sul ricorso proposto nell’interesse di Albanese Giuseppe Domenico, n.
a Grotteria (RC) il 22.03.1954, attualmente detenuto per questa
causa, rappresentato e assistito dall’avv. Marco Baroncini di fiducia,
avverso l’ordinanza n. 1232/2014 emessa dal Tribunale di Milano, in
funzione di giudice dell’appello, in data 08.10.2014;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
sentita la relazione della causa fatta dal consigliere dott. Andrea
Pellegrino;
udita la requisitoria del Sostituto procuratore generale dott. Massimo
Galli che ha chiesto il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Albanese Giuseppe Domenico veniva sottoposto alla misura cautelare
della custodia in carcere in forza di ordinanza del giudice per le indagini

Data Udienza: 07/01/2015

preliminari presso il Tribunale di Milano in data 05.07.2010 in relazione
al reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. quale partecipe
dell’associazione denominata `ndrangheta operante in Lombardia ed
articolata in numerose “locali”, e segnatamente quale aderente alla
locale di Cormano.
2. In data 19.11.2012, all’esito del disposto giudizio abbreviato, il giudice
per l’udienza preliminare condannava l’imputato alla pena di anni
riconoscimento delle circostanze

quattro di reclusione, previo
attenuanti generiche.

3. Avverso la sentenza di primo grado, veniva

interposto appello; con

sentenza in data 23.04.2013, la Corte d’appello di Milano confermava
la sentenza; nelle more della celebrazione del giudizio di legittimità, la
difesa dell’Albanese avanzava richiesta di revoca della misura
cautelare.
4.

Con ordinanza in data 30.01.2014, il Tribunale di Milano, in funzione di
giudice dell’appello avverso l’ordinanza di rigetto pronunciata dalla
Corte d’appello di Milano in data 11.01.2014, confermava la
statuizione, motivando il rigetto sulla base della permanenza delle
condizioni di legge ed in particolare operando la disciplina di cui all’art.
275, comma 3 cod. proc. pen., mancando elementi comprovanti la
cessazione delle esigenze di cautela in grado di superare la
presunzione di legge e non essendo decorso il termine massimo di
custodia.

5.

Avverso tale ordinanza, la difesa di Albanese Giuseppe Domenico
proponeva ricorso per cassazione; con sentenza in data 03.06.2014, la
Suprema Corte, sesta sezione penale, annullava l’ordinanza del
Tribunale di Milano disponendo il rinvio per nuova deliberazione al fine
di “valutare il novum rispetto alla situazione valutata nei precedenti
provvedimenti rappresentato dall’ulteriore decorso del tempo in status
detentionis, al fine di verificare se medio tempore non potesse ormai
ritenersi superata qualunque esigenza cautelare suscettibile di vincere
la presunzione. Ciò tanto più considerato che il periodo di custodia
cautelare sofferta da parte dell’Albanese era assai prossimo alla durata
della pena inflitta, situazione – questa – dante luogo a perdita
automatica di efficacia della custodia cautelare a mente dell’art. 300,
comma 4 cod. proc. pen.”.

6.

Con provvedimento in data 08.10.2014, il Tribunale di Milano

2

dichiarava l’inammissibilità dell’appello a ragione dell’avvenuta
scarcerazione dell’Albanese in data 12.06.2014, con conseguente
mancanza di interesse ad una pronuncia meramente ricognitiva dello

status libertatis già riacquistato. Sotto altro profilo, il Tribunale
riteneva l’appello inammissibile alla luce dell’intervenuta sentenza della
Suprema Corte che, in data 06.06.2014, aveva rigettato il ricorso
avverso la sentenza di secondo grado che, conseguentemente, era

7.

Avverso l’ordinanza del Tribunale di Milano in data 08.10.2014,
Albanese Giuseppe Domenico, assistito da difensore, propone ricorso
per cassazione, censurando, quale motivo unico, l’inosservanza
dell’art. 623, comma 1 lett. a) cod. proc. pen. per avere il giudice del
riesame dichiarato inammissibile l’appello anziché pronunciarsi nel
merito, disattendendo così la sentenza di annullamento con rinvio della
Suprema Corte pronunciata in data 03.06.2014.

CONSIDERATO IN DIRITTO

8.

Il ricorso è inammissibile per carenza di interesse.

9.

Ritiene il Collegio come la pronuncia di inammissibilità dell’appello
oggetto dell’odierna censura sia del tutto legittima. Del tutto
condivisibile è infatti il ragionamento del Tribunale nella parte in cui ha
ritenuto di dover applicare nella fattispecie il principio sancito da
questa Suprema Corte nel suo più alto consesso con la sentenza n.
31524/2004 (c.c. 14/07/2004, dep. 20/07/2004, imp. Litteri, Rv.
228167) del tutto sovrapponibile, per sostanziale eadem ratio, alla
fattispecie che ci occupa.
Invero, nella succitata pronuncia, la Suprema Corte ha ritenuto che la
questione, posta nella fase di cognizione, circa la scadenza dei termini
di durata massima della custodia in carcere (nella specie, dapprima in
sede di appello cautelare e successivamente in cassazione) perda
rilevanza quando diviene irrevocabile la sentenza di condanna a pena
detentiva superiore al presofferto perché la definitività
dell’accertamento del merito, aprendo la fase esecutiva del processo,
esclude la possibilità della rimessione in libertà. Ne consegue che,
qualora sia pendente impugnazione cautelare, dovendo persistere
l’interesse alla sua definizione fino al momento della decisione,

passata in giudicato.

l’impugnazione stessa è inammissibile per sopravvenuta carenza di
interesse.
Orbene, nella fattispecie, pur non essendo venuta in questione una
pretesa scadenza dei termini di durata massima della custodia in
carcere, nondimeno il ricorso non poteva che ritenersi inammissibile in
conseguenza da un lato all’avvenuto passaggio in giudicato della
sentenza di condanna e, dall’altro, all’avvenuta scarcerazione, per

12.06.2014, in un momento antecedente alla pronuncia del Tribunale,
in conseguenza della fruizione di liberazione anticipata), non
sussistendo nell’attualità alcun interesse da parte del ricorrente ad una
pronuncia meramente ricognitiva di uno

status libertatis

già

riacquistato.
10. Ne consegue l’inammissibilità del ricorso e, per il disposto dell’art. 616
cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle
ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti
dal ricorso, si determina equitativamente in euro 1.000,00

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle
ammende.
Così deliberato in Roma, udienza in camera di consiglio del 7.1.2015

Il Consigliere estensore

Il President

Dott. Andrea Pellegrino

Dott. Ciro Pet

espiazione pena, dell’Albanese (scarcerazione verificatasi in data

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