Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 42766 del 09/10/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 42766 Anno 2014
Presidente: MILO NICOLA
Relatore: LANZA LUIGI

SENTENZA
decidendo sul ricorso proposto da Shimi Limen, nato a Metlaoui
(Tunisia) il 3 marzo 1984, avverso la sentenza 17 dicembre 2013 della
Corte di appello di Trieste.
Visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso.
Udita la relazione fatta dal Consigliere Luigi Lanza.
Sentito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore
Generale Pietro Gaeta che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATI-0
1. Shimi Limen, ricorre, a mezzo del suo difensore, avverso la
sentenza 17 dicembre 2013 della Corte di appello di Trieste che, in
parziale riforma della sentenza 20 ottobre 2010 del Tribunale di Trieste,
appellata dall’imputato e dal Procuratore generale, ha rideterminato la

Data Udienza: 09/10/2014

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pena in mesi 11 di reclusione escluse le circostanze attenuanti
generiche riconosciute in primo grado.
1.1. Il ricorrente è stato condannato per i reati p. e p. dagli artt.:

impediva di entrare presso lo studio dentistico della Casa Circondariale,
usava nei suoi confronti violenza consistita nel colpirlo con uno schiaffo
e tirarlo per la camicia verso le scale dove lo faceva cadere; B) 582, 585
in relazione all’art. 576 comma i n. 10 c.p. perché i al fine di commettere
il reato di cui al capo precedente con la condotta ivi descritta, cagionava
all’Agente Sc. Penna Alessandro lesioni personali dichiarate guaribili in
giorni 15 (distorsione caviglia sx e contusione orecchio sx).Con recidiva
reiterata, specifica nei 5 anni.
1.3. La corte distrettuale ha ritenuto l’infondatezza del gravame
avverso la decisione del Tribunale rilevando, in funzione delle doglianze
dell’appello:
a)

che “la rinuncia al mandato da parte del difensore di fiducia

non fa venir meno l’efficacia dell’elezione di domicilio presso il suo
studio eseguita dall’imputato, se essa non viene espressamente
revocata” (si cita: Cass. I, 11.2.2010 n. 8116, Rv. 246387; ed anche
Cass. III, 20.6.2013 n. 38039, Rv. 256587);
b) che per quanto riguarda il diritto dell’imputato a vedersi
notificare gli atti a lui indirizzati, con traduzione in lingua araba o in
altra da lui conosciuta, tale diritto “non discende automaticamente,
come atto dovuto e imprescindibile, dal mero “status” di straniero o
apolide, richiedendosi l’ulteriore presupposto dell’accertata ignoranza
della lingua italiana in capo a quest’ultimo” (si richiama: Cass. IV,
18.1.2013 n. 39157, Rv. 256389; cosi anche Cass. SS. UU. 29.5.2008
n. 25932, Rv. 239693);
c) che, nella vicenda, l’imputato, oltre ad aver all’epoca eletto
domicilio presso un legale italiano senza bisogno di fare ricorso ad un

A) 337 c.p. perché l per opporsi all’Agente di Polizia Penitenziaria che gli

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interprete, è risultato in grado di esprimersi in italiano con l’agente
Penna, che poi avrebbe proditoriamente colpito, illustrandogli il mal di
denti dal quale era affetto;

che Shimi capiva l’italiano (f. 9 trascr. ud. 20.10.2010), circostanza
comunque facilmente presumibile, tra l’altro dal fatto che i suoi
trascorsi di detentore e spacciatore di stupefacenti in Italia
necessariamente implicavano la capacità di relazionarsi con i cessionari
nella lingua di quest’ultimi;
e) che, comunque, le eventuali nullità verificatesi sono a regime
intermedio (Cass. I, 31.5.2013 n. 32000, Rv. 256113; Cass. I,
11.3.2009 n. 21669, Rv. 243794), sicché dovevano essere rilevate ex
art. 181 comma 2 c.p.p. nel termine di cui all’art. 491 comma 1 c.p.p.,
evenineza questa non verificatasi;
f) che, quanto agli argomenti addotti dal Shimi essi non possono
giustificare un’aggressione fisica ad un pubblico ufficiale, per di più dopo
che gli era stato spiegato il motivo per il quale avrebbe dovuto
attendere per essere visitato, né è provato che il ricorrente stesse
davvero patendo un dolore insopportabile;
g)

che, in tale quadro, doveva considerarsi ingiustificata

concessione delle attenuanti attesa la giustificazione del primo giudice di
«adeguare la pena al fatto» in assenza di qualsivoglia argomentazione
di positività della sua condotta e della sua personalità.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.L’impugnazione è composta di quattro motivi.
1.1. Con un primo motivo viene dedotta

inosservanza ed

erronea applicazione della legge, con riferimento alla nullità di tutti gli
atti del procedimento, dalla notifica dell’avviso ex art. 415 bis cpp. al
decreto di citazione a giudizio, alla emanazione della sentenza di
condanna di primo grado e degli atti successivi e dipendenti; dell’avviso

d) che l’agente, interrogato espressamente sul punto, ha riferito

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dell’udienza innanzi alla Corte di appello, della successiva sentenza oggi
impugnata, e ciò ai sensi dell’art. 178 c.p.p.. per omessa traduzione in
lingua araba ovvero in un idioma conosciuto all’imputato degli atti

1.2. Con un secondo motivo si lamenta violazione di legge per
irregolarità della notifica della notifica del decreto di citazione a giudizio
in primo grado ex art. 171. 178 lettera C) cpp. 156 e ss. 168 cpp. e
dell’avviso della fissazione d’udienza innanzi alla Corte d’Appello di
Trieste, e degli atti successivi e dipendenti e della sentenza impugnata.
1.3. Con un terzo motivo si prospetta vizio di motivazione in
ordine alla prova della responsabilità dell’imputato per i fatti ascritti
con i capi di imputazione A e B, difettando la volontarietà della
condotta.
1.4. Con un quarto motivo si sostiene vizio di motivazione in
relazione alla negazione delle circostanze attenuanti generiche non
prevalenti sulla recidiva.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Tutti i motivi, escluso l’ultimo, rappresentano la pedissequa
ripetizione delle doglianze formulate nel corso del giudizio di appello ed
oggetto di una precisa e puntuale disamina della corte distrettuale che
ha in proposito sostenuto le sue argomentazioni tcon le indicazioni degli
orientamenti della Corte di legittimità, nei termini esattamente proposti
ed indicati nella narrativa in fatto nel §.1.3 lettere a-g.
2. Inoltre, quanto alle circostanze attenuanti generiche, la loro
ragionevole ed argomentata esclusione impedisce la valutazione della
doglianza sul giudizio ex art.69 cod. pen. .
3.

Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile.

4. Alla decisa inammissibilità consegue, ex art. 616 C.P.P., la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una

processuali.

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somma, in favore della Cassa delle ammende, che si stima equo
determinare in €. 1000,00 (mille).
P.Q.M.

delle spese processuali e della somma di €. 1.000,00 in favore della
Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il giorno 9 ottobre 2014
siglie e estensore

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento

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