Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4276 del 07/01/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 4276 Anno 2015
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

Data Udienza: 07/01/2015

SENTENZA
Sul ricorso proposto nell’interesse di Oliverio Franco, n. a Roma il
21.04.1042, rappresentato e assistito dall’avv. Giovanni De Luca di
fiducia, avverso l’ordinanza n. 782/2014 emessa dal Tribunale di
Roma, sezione per il riesame dei provvedimenti di sequestro, in data
19.09.2014;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
sentita la relazione della causa fatta dal consigliere dott. Andrea
Pellegrino;
udita la requisitoria del Sostituto procuratore generale dott. Massimo
Galli che ha chiesto l’annullamento con rinvio del provvedimento
impugnato.

RITENUTO IN FATTO

1. Con decreto in data 17.07.2014, il giudice per le indagini

1

,

preliminari presso il Tribunale di Roma, disponeva, nei confronti di
Oliverio Franco, indagato per ricettazione, il sequestro di una serie
di beni (tra cui, specchi, lampada ad olio, collana, anello, orecchini,
bracciali, fibule, anfore, vetri in frammenti, vaghi in pasta vitrea,
lucerne, punte di lancia) ritenendo sussistente il

fumus delicti

commissi della contestata fattispecie delittuosa sulla scorta degli
accertamenti di polizia giudiziaria e presso la Sopraintendenza dei

sequestro operati.
2.

Avverso detto provvedimento, la difesa dell’Oliverio proponeva
istanza di riesame deducendo l’insussistenza del

fumus delicti

commissi a ragione della dedotta legittima provenienza degli stessi
e chiedendo la revoca, anche frazionata, del sequestro con la
conseguente restituzione dei due piccoli specchi che il funzionario
ministeriale aveva ritenuto di dubbia autenticità.
3.

Con ordinanza in data 19.09.2014, il Tribunale di Roma, rigettando
il gravame, confermava il provvedimento impugnato.

4.

Avverso l’ordinanza de qua, Oliverio Franco, tramite difensore,
propone ricorso per cassazione lamentando, quale formale motivo
unico, la violazione dell’art. 606, comma 1 lett. b) cod. proc. pen.
per inosservanza o erronea applicazione della legge penale per
violazione dell’art. 321 cod. proc. pen. in relazione all’art. 125,
comma 3 cod. proc. pen. e vizio di motivazione sul punto.
Il ricorrente censura il provvedimento impugnato nella parte in cui
aveva omesso di fornire risposta al motivo con il quale si
contestava come il giudice di prime cure non avesse esaminato gli
elementi a favore della difesa indicati sia con riferimento
all’interpretazione delle prove che con riferimento alla sussistenza
degli elementi costitutivi del reato di ricettazione contestato e dei
reati di impossessamento illegittimo e violazioni in materia di scavi
ex artt. 175 e 176 d.lvo n. 42/2004, limitandosi a verificare la
compatibilità astratta tra reato contestato e comportamenti
riscontrati con ciò implicitamente aderendo ad una datata
interpretazione giurisprudenziale, disattesa dalle più recenti
pronunce della Suprema Corte. Il Tribunale, inoltre, aveva
completamente stravolto la presunzione di non colpevolezza
sostenendo che la semplice circostanza del rinvenimento di

/

beni culturali in atti nonchè degli esiti della perquisizione e del

nominativi di “tombaroli” nell’agenda dell’indagato fosse da sola in
grado di ritenere sufficientemente motivato il sequestro e in grado
di dimostrare la colpevolezza dello stesso. Inoltre, il Tribunale del
riesame non aveva tenuto conto della comunicazione datata
21.12.2007 (prot. n. 009304) inviata dall’Oliverio alla
Soprintendenza per i Beni archeologici di Roma con la quale lo
stesso, richiamandosi ad una sua precedente donazione del 1989 di

quanto ricevuto dal proprio padre, si offriva di devolvere anche i
beni che gli erano pervenuti, sempre per successione ereditaria,
alla morte della propria madre, a favore della Fondazione Porto di
Roma per la realizzazione del museo di Ostia per far sì che i beni
medesimi ritornassero in proprietà dello Stato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

5.

Il ricorso è infondato e, come tale, immeritevole di accoglimento.

6.

Con riferimento al

thema decidendum,

vanno preliminarmente

rammentate le regole in tema di impugnazione del provvedimento
di sequestro preventivo. Innanzitutto va considerato che, con il
ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 325 cod. proc. pen., può
essere dedotta la violazione di legge e non anche il vizio di
motivazione. Ma, secondo la giurisprudenza di questa Corte, ricorre
violazione di legge laddove la motivazione stessa sia del tutto
assente o meramente apparente, non avendo i pur minimi requisiti
per rendere comprensibile la vicenda contestata e

l’iter logico

seguito dal giudice del provvedimento impugnato. In tale caso,
difatti, atteso l’obbligo di motivazione dei provvedimenti
giurisdizionali, viene a mancare un elemento essenziale dell’atto.
7.

Va anche ricordato che, anche se in materia di sequestro
preventivo, il codice di rito non richiede che sia acquisito un quadro
probatorio serio come per le misure cautelari personali, non è però
sufficiente prospettare un fatto costituente reato, limitandosi alla
sua mera enunciazione e descrizione. È invece necessario valutare
le concrete risultanze istruttorie per ricostruire la vicenda anche al
semplice livello di “fumus” al fine di ritenere che la fattispecie
concreta vada ricondotta alla figura di reato configurata; è inoltre
necessario che appaia possibile uno sviluppo del procedimento in

3

senso favorevole all’accusa nonché valutare gli elementi di fatto e
gli argomenti prospettati dalle parti. A tale valutazione, poi,
dovranno aggiungersi le valutazioni in tema di periculum in mora
che, necessariamente, devono essere riferite ad un concreto
pericolo di prosecuzione dell’attività delittuosa ovvero ad una
concreta possibilità di condanna e, quindi, di confisca (cfr., Sez. 6,
sent. n. 6589 del 10/01/2013, dep. 11/02/2013, Gabriele, Rv.

8.

254893).
Peraltro, sebbene il giudice del riesame non possa sindacare la
fondatezza e/o l’attendibilità degli elementi probatori addotti
dall’accusa a sostegno della misura cautelare, lo stesso è tenuto
comunque ad operare un raffronto tra la fattispecie astratta
(legale) e la fattispecie concreta (reale), così da imporre il suo
potere demolitorio nei soli casi in cui la difformità sia rilevabile ictu

°culi ovvero nei casi in cui gli elementi probatori non siano
pertinenti o utilizzabili.
9.

Poste tali premesse, ritiene questo Collegio come le valutazioni e
gli apprezzamenti probatori resi dai giudici di merito, e nella specie
espressi nel provvedimento impugnato, trovino una giustificazione
che risulta completa nonché fondata su argomentazioni
giuridicamente corrette, adeguate e coerenti, il tutto in presenza di
un ragionamento probatorio indenne da vizi logico-giuridici capace
di “superare” le odierne censure difensive.

10. Invero, come riconosciuto nel provvedimento impugnato, il
possesso di beni di interesse archeologico – appartenenti come tali
al patrimonio indisponibile dello Stato – si presume illegittimo a
meno che il detentore non dimostri di averli legittimamente
acquistati in epoca antecedente all’entrata in vigore della L. n. 364
del 1909 (Sez. 3, sent. n. 49439 del 04/11/2009, dep.
23/12/2009, Dafarra, Rv. 245743). Come riconosciuto dal
Tribunale, nella fattispecie “la difesa non ha assolto l’onus probandi
su di essa gravante, non avendo prodotto alcun elemento utile che
comprovasse la legittima disponibilità dei beni sequestrati rispetto
ai quali, peraltro, risulta di allarmante e sintomatico il
rinvenimento, in sede di perquisizione, di una agenda telefonica in
uso all’Oliviero nella quale erano annotate le utenze di diversi
soggetti conosciuti dalla polizia giudiziaria come “tombaroli”. Tale

4

circostanza denota senz’altro l’inserimento del ricorrente
nell’ambito del commercio di beni archeologici di illecita
provenienza e, in relazione agli specchietti in bronzo ritenuti “di
dubbia autenticità” dal funzionario ministeriale Ghini Giuseppina,
induce il Collegio al mantenimento del vincolo di indisponibilità qui
contestato. Trattasi, invero, di oggetti che per le specifiche fattezze
ove lasciati nella libera disponibilità del ricorrente possono

archeologici, potendo, a cagione dell’effetto decettivo e di
un’apparente affidamento sulla genuinità del bene, costituire
l’occasione o l’oggetto di nuovi scambi o transazioni determinando
l’aggravamento delle conseguenze del reato qui contestato nonché
la commissione di nuovi reati della stessa specie di quello per cui si
procede …”.
11. Ne consegue l’inammissibilità del ricorso e, per il disposto dell’art.
616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali nonché al versamento, in favore della Cassa
delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa
emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in euro
1.000,00.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di Euro
1.000,00 alla Cassa delle ammende.
Così deliberato in Roma, udienza in camera di consiglio del
7.1.2015

Il Consigliere estensore
Dott.

ea Pellegrino

essere reimmessi nel circuito del traffico illegale di beni

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