Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 42748 del 11/07/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 42748 Anno 2014
Presidente: DI VIRGINIO ADOLFO
Relatore: DI SALVO EMANUELE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CATRIMI CARMELA N. IL 25/01/1965
CURRERI GIOVANNI N. IL 14/09/1964
ARENA SALVATORE N. IL 17/05/1973
MAURO SALVATORE N. IL 23/08/1956
PICCOLO ROBERTO N. IL 03/11/1972
SCOTTO GIUSEPPE N. IL 15/06/1967
VENTRA GIUSEPPE N. IL 21/01/1956
avverso la sentenza n. 1229/2007 CORTE APPELLO di MESSINA, del
22/04/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 11/07/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. EMANUELE DI SALVO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. ,e /74A, (E
che ha concluso per

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1. Catrimi Carmela , Curreri Giovanni , Arena Salvatore , Mauro Salvatore ,
Piccolo Roberto, Scotto Giuseppe , Ventra Giuseppe ricorrono per cassazione
avverso la sentenza emessa , in data 22-4-2013, dalla Corte d’appello di
Messina, in ordine ad una pluralità di imputazioni ex artt. 416-bis , 629 e 644
cod. pen..
2. Catrini Carmela deduce violazione di legge e vizio di motivazione in merito alla
responsabilità per il reato di cui all’art. 416 bis cod. pen. ,poiché , nonostante
l’esistenza di conversazioni dalle quali possa desumersi la richiesta del
Tamburella alla moglie di svolgere un’attività in senso lato agevolatrice
dell’associazione, in concreto non sono emerse condotte indicative
dell’adempimento, da parte della Catrini , delle istruzioni datele dal marito. Nè
può ritenersi indicativa di una partecipazione dell’imputata all’associazione la
ricezione di danaro destinato al marito- ammesso che ciò si sia effettivamente
verificato- ,in relazione ad attività rispetto alle quali la ricorrente non ha esplicato
alcun ruolo. Si censura poi la mancata concessione delle attenuanti
generiche,nonostante l’incensuratezza dell’imputata, il breve periodo di asserita
partecipazione all’associazione e il tempo trascorso dai fatti.
3. Curreri Giovanni deduce violazione degli artt. 192 cod. proc. pen. e 416 —bis cod.
pen. poiché la Corte d’appello, in modo contraddittorio, ha fatto coincidere il
programma criminale dell’associazione con la commissione di un unico
reato:l’estorsione ai danni dei fratelli Bagnato. Non emerge alcun
comportamento, da parte dei compartecipi alla vicenda delittuosa posta in essere
nei confronti dei fratelli Bagnato, che possa considerarsi sintomatico
dell’esistenza di un accordo proiettato illimitatamente nel futuro, senza
predeterminazione cronologica ed operativa, che perdurasse anche dopo la
realizzazione del predetto delitto-scopo. Difetta altresì il cosiddetto “metodo
mafioso”, poiché la Corte territoriale non ha tenuto in considerazione la rilevanza
circoscritta del contenuto delle dichiarazioni rese in dibattimento dai fratelli
Bagnato e il tenore delle conversazioni intercettate, in ambientale, presso la Casa
circondariale di Messina, che, comunque, per ammissione della stessa
Corte,rileverebbero esclusivamente per i coimputati Catrimi e Piccolo. Ciò che
pacificamente emerge dalle complessive risultanze probatorie non è una realtà
associativa di tipo mafioso bensì esclusivamente il marcato profilo delinquenziale
di Tamburella Rosario, senza che da nulla possa arguirsi che le condotte
illecite,eventualmente riscontrabili, rappresentino l’ estrinsecazione di
un’intimidazione proveniente non dal Tamburella , come singolo , ma da un
gruppo che non aveva , peraltro, alcuna visibilità sul territorio. Ancor meno sono
stati individuati comportamenti, posti in essere dal ricorrente, che possano
integrare una condotta di partecipazione ad una associazione di tipo mafioso.
Relativamente, poi, ai due tentativi di estorsione di cui ai capi 8) e 10), la Corte
d’appello ha sorvolato sulle innumerevoli discrasie emerse in dibattimento, in
ordine alla posizione del ricorrente, rispetto a quanto riferito dai Bagnato nel

RITENUTO IN FATTO

5. Mauro Salvatore deduce violazione dell’art. 416 bis cod. pen. e vizio di
motivazione perché gli addebiti di partecipazione ad associazione mafiosa e di
concorso in estorsione derivano dalla ritenuta presenza del ricorrente in occasione
dell’incontro avuto dai fratelli Bagnato e dal cugino Oteri, in casa del
Tamburella,e dei successivi incontri, sempre nell’abitazione di quest’ultimo, dove
i Bagnato si erano recati per ottenere aiuto contro gli usurai. Orbene , in tutte
queste circostanze il Mauro era assente , come risulta dalle relazioni di servizio
redatte dalla polizia giudiziaria, all’esito dei servizi di appostamento, e dalle
dichiarazioni di Bagnato Maurizio.Non è stato dunque il Mauro a pronunciare la
frase secondo la quale i Bagnato ” da quel momento in poi erano entrati a far
parte della famiglia Tamburella e non dovevano più temere ritorsioni” e il
soggetto , di nome Salvatore , che l’ ha proferita , è da identificarsi nell’Arena.
Relativamente al capo 8) , il ricorrente osserva come non vi sia stata , da parte
sua, alcuna espressione od alcun comportamento idoneo ad incutere timore, come
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corso delle indagini preliminari, ignorando anche le contraddizioni in cui sono
incorse le parti offese, per quanto attiene sia al contributo mensile di lire
500.000,fissato con il Tamburella, sia agli assegni che sarebbero stati monetizzati
dallo Sciortino. Anche in merito all’ aggravante di cui all’art. 7 1. 203/91, non
sono state individuate condotte specifiche da cui potersi desumere la sussistenza
della predetta circostanza, essendo riscontrabile soltanto un fuorviante richiamo
alla condotta antigiuridica posta in essere dal Tamburella e dallo Scotto
nell’approccio con i Bagnato, relativamente alla vicenda Panama. Si censura
infine il diniego delle attenuanti generiche, non supportato da congrua
motivazione.
4. Arena Salvatore deduce violazione degli artt. 192 cod. proc. pen. e 416 —bis cod.
pen., in un orizzonte concettuale non dissimile da quello che caratterizza le
censure formulate dal Curreli, segnalando, in particolare , che, pur essendo egli
uno dei soggetti rinviati a giudizio per aver erogato prestiti usurari ai fratelli
Bagnato, solo nei suoi confronti è stata esercitata l’azione penale per il reato
associativo, nonostante risulti accertato , sulla base delle risultanze acquisite, che
tra i prestiti usurari e l’attività dell’ipotizzata consorteria non vi era alcun
collegamento teleologico. Tanto più che i fratelli Bagnato si sono rivolti al
Tamburella perché quest’ultimo intercedesse con gli usurai, facendo cessare le
loro illegittime pretese. L’Arena ben può essere andato presso l’abitazione del
Tamburella così come presso l’esercizio commerciale dei Bagnato per negoziare
la moratoria nei pagamenti del prestito, che aveva loro concesso, ma ciò nulla
toglie all’estraneità del ricorrente alle pretese estorsive avanzate dal Curreri. Le
stesse persone offese hanno riferito del comportamento assolutamente passivo
tenuto dall’Arena nell’unica occasione in cui quest’ultimo si accompagnò a
Curreri, specificando che l’Arena non ebbe mai alcun ruolo nella richiesta di
corresponsione dei 6 milioni di lire che servivano per le spese legali del
Tamburella. Anche l’Arena censura poi il diniego delle attenuanti generiche, non
sorretto da congrua motivazione.

6. Piccolo Roberto denuncia violazione degli artt. 416 bis cod. pen. e 530 cod. proc.
pen. e vizio di motivazione, poiché il reato associativo è stato contestato al
ricorrente sulla sola base del rapporto di parentela che lo lega all’asserito capo
dell’organizzazione criminale, Tamburella Rosario. Sempre nell’ambito di tale
rapporto parentale, si contesta al Piccolo di aver contribuito al sostentamento
della zia,Catrimi Carmela, coimputata, dopo l’arresto dello zio , Tamburella.
L’unico indizio a sostegno della tesi relativa alla partecipazione del Piccolo
all’associazione facente capo allo zio, tratto in vincoli, è però rappresentato da
una frase captata in occasione di un colloquio, al carcere, tra la Catrimi e il
Tamburella, secondo cui il nipote “entra da tutte le parti”.Trattasi di una frase
dal contenuto assolutamente poco chiaro, anche perché manca la menzione del
nome del soggetto al quale si riferisce. Per di più, le parti offese hanno indicato i
nomi dei responsabili delle estorsioni e tra questi non vi è il ricorrente. Nè è stata
fornita la prova che il Piccolo si sia sostituito allo zio , capo dei sodali, dopo il
suo arresto. Inoltre è stata esclusa dalla Corte d’appello la qualità di capo ma non
è stata operata alcuna riduzione di pena, in violazione dell’art. 597 cod. proc.
pen.. Così come né la sentenza del Tribunale né quella della Corte d’appello
giustificano la sussistenza dell’aggravante di cui al quarto comma dell’art. 416 bis
cod. pen., perché nessuno dei reati contestati risulta commesso con l’impiego di
armi. Manca poi una motivazione logica che spieghi come si sia giunti a
quantificare la pena in cinque anni di reclusione.
7. Scotto Giuseppe deduce violazione degli artt. 192, 210 cod. proc. pen. e 629 cod.
pen. e vizio di motivazione, poiché la Corte ha commesso un errore di valutazione
nel respingere le riserve formulate dalla difesa in ordine all’affidabilità delle
dichiarazioni dei Bagnato , in assenza di prova che il credito vantato da Panama
Saverio nei confronti di questi ultimi -e per il recupero del quale ha agito il
ricorrente- fosse riconducibile ad un pregresso negozio illecito, perché avente ad
oggetto il pagamento di merce di provenienza furtiva. E comunque le
dichiarazioni dei Bagnato andavano assunte ex art 210 cod. proc. pen. , poiché
essi erano rei confessi del reato di ricettazione. Ad ogni modo , Scotto, che , su
mandato di Panama , si è recato dai Bagnato convinto della piena liceità del
credito vantato dal mandante , come dichiarato dallo stesso Panama , non ha
posto in essere alcuna condotta minacciosa nei confronti dei Bagnato, come
riferito da Bagnato Maurizio.Le persone offese, comunque, non corrisposero
nulla al Panama , non essendo mai stati pagati i due assegni asseritamente
consegnati a pagamento del credito. Non è, in ogni caso, ravvisabile l’aggravante
di cui all’art. 7 1. 203/91, poiché Bagnato Maurizio ha negato che Scotto abbia
mai evocato l’esistenza di alcuna associazione di tipo mafioso, tanto meno
facente capo a Tamburella. Erroneamente poi il giudice a quo ha ritenuto che non
sia ammissibile procedere a giudizio di comparazione fra l’attenuante di cui
all’art. 89 cod. pen. e l’aggravante di cui all’art 7 1. 203/91. S’impugna infine la

riferito dallo stesso Bagnato Maurizio. Manca poi una motivazione in merito al
c.d. metodo mafioso.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso di Scotto Giuseppe è fondato, limitatamente all’applicazione della
misura di sicurezza. L’art. 597, comma 3, cod. proc. pen. dispone infatti
che,allorquando l’appello sia stato proposto soltanto dall’imputato, il giudice
non possa applicare una misura di sicurezza nuova. Il tenore testuale della
disposizione in disamina appare pertanto inequivoco nel precludere
l’applicazione all’imputato , in assenza di impugnazione da parte del pubblico
ministero, di una misura di sicurezza che non sia stata disposta in primo
grado. Incorre dunque nella violazione del divieto di reformatio in peius la
sentenza d’appello che, in esito ad un gravame attivato esclusivamente
dall’imputato , applichi a quest’ultimo , per la prima volta , una misura di
sicurezza ( Cass. Sez VI, 8-1-2014, Lavagna; Sez I 30-4-09 n. 2004, Rv.
243779). Non può dunque ritenersi che l’applicazione della misura di
sicurezza non violi il divieto di reformatio in peius, costituendo una
conseguenza della richiesta di accertamento del vizio di mente ( Sez I 19-2-92
n.4037, Rv. 189830). La giurisprudenza largamente prevalente ha infatti
ritenuto, in senso contrario , che non possa irrogarsi , in mancanza di
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mancata concessione delle attenuanti generiche nonché la statuizione relativa al
ricovero in Casa di cura e custodia , senza alcuna motivazione , in particolare
circa l’idoneità di una misura meno drastica, come la libertà vigilata.
8. Ventra Giuseppe deduce violazione degli artt. 192, 210 cod. proc. pen. e 56-629
cod. pen. e vizio di motivazione in merito alla responsabilità per il reato di tentata
estorsione , di cui al capo 10 , poiché Bagnato Maurizio ha riferito di una sola
occasione durante la quale il Ventra lo esortò, con modi garbati e cordiali, a
pagare un assegno ,perché altrimenti avrebbe dovuto pagarlo lui. Del resto, i
giudici di merito non hanno valutato la possibilità che l’assegno sia il titolo
rinvenuto e sequestrato, emesso dal Bagnato e girato dal Curreri proprio al
Ventra, che poi non ha potuto incassarlo. Non avendo quest’ultimo alcuna
contezza né della natura del rapporto sottostante né della provenienza delittuosa
del titolo ,non appare fondata la declaratoria di responsabilità. Tanto più che
nemmeno l’altra persona offesa, Bagnato Natale , ha riferito di comportamenti
penalmente rilevanti da parte del Ventra e , in particolare , di episodi in cui
quest’ultimo abbia accompagnato il Curreri, che più volte si recò presso la
Sanitaria dei Bagnato, senza mai far riferimento al Ventra. La buona fede del
ricorrente emerge anche dal contenuto dell’intercettazione ambientale del 3-121998. Ingiustificatamente poi è stata ritenuta l’aggravante di cui all’art. 7 1.
203/91 poiché Ventra non ha mai tenuto comportamenti minacciosi o evocato
l’esistenza e l’operatività di sodalizi criminali. Si censura infine l’ingiustificato
diniego delle attenuanti generiche nonché la dosimetria della pena , non sorretta
da alcuna valida motivazione.
Si chiede pertanto annullamento della sentenza impugnata.

1.1.Gli ulteriori motivi sono infondati. Costituisce infatti ius receptum , nella
giurisprudenza di questa Corte, che, anche alla luce della novella del 2006, il
controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attenga pur
sempre alla coerenza strutturale della decisione, di cui saggia l’oggettiva
“tenuta”, sotto il profilo logico-argomentativo, e quindi l’accettabilità
razionale, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a
fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi
parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti ( Cass Sez. 3, n. 37006 del
27 -9-2006 , Piras, Rv. 235508; Sez. 6 , n. 23528 del 6-6-2006, Bonifazi ,Rv.
234155). Ne deriva che il giudice di legittimità , nel momento del controllo
della motivazione , non deve stabilire se la decisione di merito proponga la
migliore ricostruzione dei fatti né deve condividerne la giustificazione , ma
deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso
comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento , atteso
che l’art. 606, comma 1, lett e), cod. proc. pen. non consente alla Corte di
cassazione una diversa interpretazione delle prove . In altri termini, il giudice
di legittimità , che è giudice della motivazione e dell’osservanza della
legge,non può divenire giudice del contenuto della prova , non competendogli
un controllo sul significato concreto di ciascun elemento probatorio. Questo
controllo è riservato al giudice di merito , essendo consentito alla Corte
regolatrice esclusivamente l’apprezzamento della logicità della motivazione
(cfr,, ex plurimis , Cass. Sez 3 n. 8570 del 14-1-2003, Rv. 223469; Sez fer. ,
n36227 del 3-9-2004 , Rinaldi , Guida al dir. , 2004 n. 39 , 86; Sez 5, n.
32688 del 5-7-2004, Scarcella , ivi , 2004 , n. 36, 64; Sez. 5 , n.22771 del
15-4-2004 , Antonelli , ivi, 2004 n. 26, 75).
1.2. Nel caso di specie, la Corte territoriale ha evidenziato che Scotto
accompagnò Tamburella dai Bagnato, per la riscossione del presunto
credito vantato da Panama, ed, in quell’occasione, segnalò alle vittime
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impugnazione da parte della pubblica accusa, neanche una misura di sicurezza
obbligatoria, come la confisca ex art. 240 cod. pen., che sia stata
illegittimamente esclusa dal giudice di primo grado ( Sez V 4-2-2009 , n.
7507 , rv. n. 242919; Sez VI 7-2-2008 n. 10346, rv. n. 239087; Sez VI 15-12001 n. 155 , Cass. pen. 2002 , 2441 ; Sez IV 1-10-99n. 12536 , Arch. Giur.
Circolaz. e Sin. Strad. 2000, 404; Sez I 21-4-99 , n. 3134 ,Cass. pen. 1999,
671). Ciò vale, a fortiori, allorquando la statuizione non discenda
automaticamente dalla rilevazione di determinati presupposti fattuali ma
implichi un apprezzamento discrezionale, come , per l’appunto , nel caso
dell’applicazione di misura di sicurezza personale,in conseguenza del
riconoscimento del vizio parziale di mente : ciò che comporta la valutazione
della pericolosità sociale dell’imputato. In tali casi , l’ordo iudiciorum e i
principi generali in materia di impugnazioni precludono l’emanazione di una
statuizione in malam partem , in assenza di gravame proposto dal requirente.

1.3.Correttamente poi la Corte d’appello ha precisato che la consegna
dell’assegno comporta la consumazione del delitto , a prescindere dal fatto che
il titolo sia stato portato o meno all’incasso. Può infatti aggiungersi , in questa
sede, che il conseguimento di un assegno rappresenta comunque un profitto
per l’accipiens, indipendentemente dall’effettiva riscossione dell’importo, in
considerazione dell’efficacia di titolo esecutivo dell’assegno e della possibilità
di girarlo a terzi (Cass. 4-4-1997, Migliorisi , Rv. 210453).
1.4.In ordine alla circostanza aggravante di cui all’art. 7 1. 203/91, la Corte
territoriale ha evidenziato, con motivazione esente da vizi logico —
giuridici,come il delitto di estorsione sia stato commesso con modalità tali da
indurre a ritenere integrati gli estremi di tale aggravante, in considerazione
della caratura mafiosa del coimputato e dello sfoggio che proprio Scotto ne
fece nei confronti della vittima.
Correttamente poi il giudice d’appello ha escluso il giudizio di comparazione
fra la detta circostanza e l’attenuante di cui all’art. 89 cod. pen.. L’art.
7,comma 2, 1. 203/91 dispone infatti che le circostanze attenuanti, diverse da
quelle previste dagli artt. 98 e 114 cod. pen., concorrenti con l’aggravante in
disamina, non possano essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a
quest’ultima e che le diminuzioni di pena si calcolino sul quantum risultante
dall’aumento conseguente alla predetta aggravante, così escludendo
testualmente l’operatività dell’art. 69 cod. pen. , in merito al giudizio di
valenza.
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m’

la caratura delinquenziale del boss. Non è dunque contestabile
l’apporto probatorio dell’imputato al delitto di estorsione, attese le
inequivocabili espressioni adoperate per avvalorare la caratura criminale
del capomafia, che egli stesso presentò alle vittime. Egli inoltre ritirò
dai Bagnato un assegno di 2 milioni di lire e lo consegnò alla moglie di
Panama. È chiaro poi- aggiunge la Corte d’appello- che Scotto, avendo
avuto incarico direttamente da Panama, non ignorava di certo gli esatti
termini della vicenda, nonostante quanto affermato dal coimputato, che
ha fornito, al riguardo, una versione dei fatti ad usum delphini. Di ciò
costituisce riscontro l’atteggiamento tracotante tenuto dai due
nell’approccio con i Bagnato, ai quali Scotto non prospettò, neppure per
un istante, la fondatezza legale della pretesa. Peraltro,i1 Tamburella
disse esplicitamente che avrebbe provveduto a convincerli
“diversamente, facendo dei danni al locale” e fu allora che Scotto indicò
il complice come una persona pericolosa, utilizzando la parola “boss”.
Come si vede, l’impianto argomentativo a sostegno del decisum si
sostanzia in un apparato esplicativo puntuale, coerente , privo di
discrasie logiche , del tutto idoneo a rendere intelligibile l’iter logicogiuridico seguito dal giudice e perciò a superare lo scrutinio di
legittimità.

1.6.La doglianza inerente alla qualità di indagati di reato connesso o
collegato,anziché di persone offese, nella quale i Bagnato avrebbero dovuto
essere sentiti, non è stata dedotta con i motivi di appello ed è perciò inammissibile
in questa sede, a norma dell’art. 606, comma 3, cod. proc. pen..
2.Le doglianze formulate da Piccolo Roberto sono infondate. La Corte d’appello
ha infatti evidenziato che dalle risultanze delle intercettazioni emerge il
ruolo,sicuramente attivo e importante, svolto dall’imputato nel contesto
associativo. Non è, al riguardo, privo di rilievo che egli, dopo l’arresto del boss, si
sia occupato del sostentamento dei suoi familiari, oltre che di far pervenire al
capo , in carcere, danaro, provento delle attività illecite gestite dallo zio. Assai
rilevante, in quest’ottica, il dialogo tra Tamburella e la moglie, captato il 13
ottobre 1998, dal quale si evince non solo che la donna era direttamente informata
da Piccolo sugli introiti che da lui stesso riceveva ma anche che il ricorrente era
inserito a pieno titolo negli affari del gruppo, come autorevolmente affermato
dallo stesso Tamburella. È dunque perfettamente plausibile, come osservato dal
Tribunale, che l’imputato si sia occupato della riscossione del “pizzo” da alcune
persone offese, alle quali la Catrimi non era in grado di incutere lo stesso timore
del marito, atteso che Tamburella era in carcere. Questo dato si riconnette
all’affermazione di Bagnato Natale, secondo cui il nipote del boss si trovava
all’interno dell’abitazione dello zio, quando le persone offese si recarono dal
Tamburella per trattare le modalità del “pizzo”. Egli, successivamente, si
presentò,insieme a Curreri Giovanni , allorché questi fece richiesta di denaro per
le spese legali degli “amici” detenuti. E’ evidente-sottolinea il giudice di secondo
grado- che la presenza di Piccolo a null’altro era finalizzata, se non a rafforzare
l’illecita pretesa di Curreri. In definitiva, dagli atti emerge un quadro probatorio
tranquillante in merito all’intraneità dell’imputato all’associazione in
disamina,anche se la pregnante attività operativa appena descritta non può dirsi
univocamente indicativa di una posizione di leadership. Occorre, al
riguardo,osservare- precisa la Corte territoriale- che a Piccolo non risulta esser

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1.5.In ordine al diniego delle attenuanti generiche, il giudice di secondo grado
ha sottolineato la sussistenza di precedenti penali specifici e la pregressa
sottoposizione a misura di sicurezza.
Trattasi di una motivazione precisa , fondata su specifiche risultanze
processuali, del tutto idonea a illustrare l’itinerario concettuale esperito dal
giudice di merito e perciò immeritevole di censure.

mai stata contestata la relativa qualità, ragion per cui la pronuncia in tal senso
contenuta nel dispositivo deve ritenersi ascrivibile a mero errore.

2.2.Come si vede , l’apparato argomentativo a sostegno del decisum si sostanzia
in un impianto esplicativo razionale , esente da aporie e da incongruenze
logiche,del tutto idoneo ad esplicitare le ragioni poste a fondamento della
decisione e perciò immune da censure.
2.3. In ordine alla doglianza concernente l’aggravante di cui all’art. 416
bis,comma 4, cod. pen., occorre osservare come essa non sia stata dedotta con i
motivi d’appello e sia perciò inammissibile in questa sede.
3.Le doglianze formulate da Catrimi Carmela, Curreri Giovanni , Arena Salvatore,
Mauro Salvatore e Ventra Giuseppe esulano dal numerus clausus delle censure
deducibili in sede di legittimità, investendo profili di valutazione della prova e di
ricostruzione del fatto riservati alla cognizione del giudice di merito ,le cui
determinazioni , al riguardo, sono insindacabili in cassazione ove siano sorrette da
motivazione congrua , esauriente ed idonea a dar conto dell’iter logico-giuridico
seguito dal giudicante e delle ragioni del decisum . In tema di sindacato del vizio di
motivazione, infatti , il compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre
la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine all’affidabilità
delle fonti di prova, bensì di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli
elementi a loro disposizione , se abbiano fornito una corretta interpretazione di
essi,dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano
esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che
hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre ( Sez. U.
,13-12-1995, Clarke ,Rv. 203428).
4.Per quanto attiene alla posizione processuale di Catrimi Carmela, occorre
innanzitutto osservare come costituisca ius receptum , nella giurisprudenza di questa
Corte ,i1 principio secondo il quale il ruolo concorsuale di un soggetto può
esplicarsi attraverso le condotte più varie. L’attività costitutiva del concorso può
infatti essere rappresentata da qualsiasi comportamento che fornisca un apprezzabile
contributo alla realizzazione dell’altrui proposito criminoso o che agevoli l’opera dei
concorrenti ,in tutte o in alcune delle fasi di ideazione ,organizzazione ed esecuzione
della condotta criminosa (istigazione o determinazione all’esecuzione del
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2.1.In ordine al trattamento sanzionatorio, la Corte territoriale sottolinea la
gravità soggettiva e oggettiva del fatto di reato e la sussistenza di diversi e gravi
precedenti penali a carico dell’imputato.

4.1.Tanto premesso, occorre sottolineare come la Corte d’appello abbia posto in
rilievo che dalle conversazioni captate, in ambientale, all’interno dell’Istituto
penitenziario di Messina, durante i colloqui fra il boss detenuto e la moglie , emerge
che quest’ultima si rese indispensabile tramite fra Tamburella , detenuto in carcere,e i
suoi affiliati, rappresentando al coniuge quali fossero gli atteggiamenti tenuti dei
singoli associati e le difficoltà incontrate da questi ultimi per proseguire l’attività
criminale. Non v’è dubbio quindi che l’imputata abbia fornito un apporto concreto ed
essenziale all’associazione, che può essere adeguatamente apprezzato soprattutto
collocandolo nel momento delicatissimo dello sbandamento del
gruppo,inevitabilmente conseguente all’arresto del capo. D’altronde la donna ha
perfino riscosso gli illeciti profitti del marito, come si desume dalla comunicazione
che il gommista le aveva consegnato 2 milioni.
4.2.In ordine al trattamento sanzionatorio, il giudice di secondo grado ha sottolineato
l’adeguatezza della pena irrogata alla gravità soggettiva e oggettiva del fatto di reato,
desunta dalle descritte modalità della condotta, e l’assenza di ragioni che potessero
giustificare un più benevolo trattamento sanzionatorio.
5.Per quanto attiene alla posizione processuale di Curreri Giovanni, la Corte
territoriale ha evidenziato che le risultanze acquisite dimostrano l’esistenza di un
gruppo organizzato, facente capo a Tamburella, onde è evidente che spendere il
nome del boss implicava un riferimento alle capacità operative dell’organizzazione
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delitto;agevolazione alla sua preparazione o consumazione; autorizzazione o
approvazione per rimuovere ogni ostacolo alla realizzazione di esso: Sez. U.30-102003,n 45276 , Cass. pen 2004, 811; Cass Sez 1, 17-1-2008, n. 5631, Rv. 238648;
Sez 1, 18-2-2009n.10730 , Rv 242849). Ne deriva che la distinzione tra connivenza
non punibile e concorso nel reato risiede nel fatto che la prima postula che l’agente
mantenga un comportamento meramente passivo, inidoneo ad apportare un
contributo alla realizzazione del reato, mentre, nel concorso , è richiesto un contributo
partecipativo, morale o materiale , alla condotta criminosa altrui, caratterizzato , sotto
il profilo psicologico , dalla coscienza e volontà di arrecare un apporto concorsuale
alla realizzazione dell’evento illecito ( Cass. , Sez 6 n. 14606 del 18-2-2010, Rv.
247127).Dunque il concorso si realizza non soltanto con la partecipazione
all’esecuzione materiale ma anche con qualsiasi condotta cosciente e
volontaria,diretta a rafforzare l’altrui proposito criminoso ( Cass. Sez.2, 28-2-2007, n.
16625, Giust. pen. 2007, II, 622), anche solo assicurando al concorrente un maggiore
senso di sicurezza e uno stimolo all’agire ( Cass. Sez 1, 14-2-2006 n.15023 , Rv.
234128).

5.1.In generale, la Corte territoriale sottolinea l’affidabilità delle testimonianze rese
dai fratelli Bagnato, perfettamente compatibili con la ricostruzione dei fatti accolta
già dal primo giudice, evidenziando come la circostanza che essi non si siano
spontaneamente presentati alla polizia giudiziaria ma abbiano riferito quanto a loro
conoscenza solo allorché l’indagine era già pervenuta autonomamente a risultati
significativi, consenta di escludere che si sia trattato di accuse preconfezionate “a
tavolino” e poi ammannite capziosamente agli inquirenti.
5.2. L’aggravante di cui all’art 7 1. 203/91 è ravvisabile- precisa la Corte di meritonelle modalità di estrinsecazione della condotta antigiuridica posta in essere da
Tamburella e dai suoi accoliti, tra i quali il ricorrente, nell’approccio e nei rapporti
successivamente intrattenuti con i Bagnato.

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dalla quale promanava la forza intimidatrice. E già il Tribunale aveva adeguatamente
illustrato le ragioni per le quali il Curreri doveva ritenersi uno dei sodali, richiamando
le risultanze delle conversazioni intercettate, da cui emerge l’attività estorsiva posta
in essere nei confronti dei Bagnato, che, del resto, percepirono il Curreri come un
affiliato. Il ricorrente infatti, da un lato, sollecitò le vittime a soddisfare, con
priorità,le richieste di Tamburella, del quale rappresentò la maggiore capacità
criminale, rispetto a quella degli usurai; d’altro lato, promise loro, qualora avessero
ottemperato alle richieste di denaro , la stessa protezione garantita dal Tamburella
prima del suo arresto. Il Curreri, peraltro,già prima dell’arresto di Tamburella, aveva
partecipato alla riunione fissata, presso l’abitazione del boss, con i fratelli
Bagnato,per definire i particolari dell’imposizione del “pizzo”, e,
successivamente,venne incaricato dal capo di riscuoterlo, a cadenza mensile, come
confermato dal tenore della conversazione del 20-10-1998 . Per quanto riguarda i
delitti di natura estorsiva di cui ai capi 8 e 10, la Corte territoriale richiama la
sentenza di primo grado, in cui sono riportate le inequivocabili espressioni
intercettate, dalle quali si evince , senza ombra di dubbio, che Curreri tentò di
proseguire nella condotta estorsiva intrapresa da Tamburella. Altrettanto è a dirsi —
aggiunge il giudice di secondo grado- per quanto riguarda la richiesta ai fratelli
Bagnato di coprire gli assegni postdatati, a suo tempo consegnati, in un contesto di
natura estorsiva, dalle persone offese a Tamburella. Al riguardo , è da notare —
sottolinea il giudice d’appello, richiamando la sentenza di primo grado- come
Curreri,pur non utilizzando esplicite minacce, abbia lasciato intendere che il suo
intervento era correlato non tanto ad un interesse personale , quanto alla necessità di
soddisfare una richiesta specifica di Tamburella, che era ancora detenuto.

6.Per quanto attiene alla posizione processuale di Arena Salvatore, la Corte
territoriale, richiamando anche la sentenza di primo grado, ha evidenziato che a
caratterizzare il fenomeno mafioso è la consapevolezza dei consociati
dell’esistenza,sul territorio, del sodalizio nonchè l’effetto intimidatorio che, di
regola, scaturisce ,nel singolo, dal palesarsi dell’associazione: elementi entrambi
riscontrabili nel caso di specie, proprio nell’atteggiamento tenuto dai Bagnato dopo
l’incontro con Tamburella. Che poi il cittadino, prima di imbattersi concretamente in
una consorteria mafiosa , possa ignorare l’identità di coloro che ne fanno parte è del
tutto fisiologico. Nel caso in disamina, l’esistenza di un’organizzazione criminale
facente capo a Tamburella è resa palese dallo snodarsi della vicenda, documentato
mediante l’attività di polizia giudiziaria relativa all’imposizione del “pizzo”. Da essa
emerge l’esistenza di un gruppo compatto di soggetti che, in un primo
momento,coadiuvarono il boss nella sua iniziativa delinquenziale e, dopo l’arresto di
quest’ultimo, la protrassero, cercando di portarla a ulteriore compimento. In questo
contesto,l’Arena non soltanto è stato uno degli usurai che, per anni, hanno vessato le
parti civili, ma ha anche contribuito alla realizzazione dei programmi criminosi del
gruppo del Tamburella, aderendo al sodalizio, sia prima che dopo la detenzione del
boss. L’imputato infatti è stato notato, dagli operanti, entrare e uscire, in più
occasioni, dall’abitazione del capomafia. Inoltre ha accompagnato Curreri Giovanni
presso l’esercizio dei Bagnato, così supportando quest’ultimo nella richiesta alle
vittime di versamento dei 6 milioni di lire necessari al pagamento delle spese legali
che Tamburella doveva affrontare, durante la detenzione. Significativa e fondata
appare quindi la percezione dei Bagnato che egli fosse uno dei più fedeli accoliti e
che Arena e Curreri , nonostante si presentassero come intermediari, in realtà agissero
nell’interesse del gruppo. In questo contesto- sottolinea la Corte territoriale- non è
privo di importanza che Tamburella, durante la sua detenzione, chiedesse
ripetutamente ,alla moglie, dell’imputato, il quale cercò di convincere le vittime a non
testimoniare, nel tentativo di salvare se stesso e l’associazione dalle indagini. Non è
poi contraddittorio che il primo giudice abbia inserito Arena fra gli usurai che
pretesero ed ottennero dai Bagnato la restituzione delle somme mutuate , a seguito
dell’arresto del Tamburella, così contravvenendo a un preciso ordine di
quest’ultimo,poiché l’accordo ,di carattere estorsivo, intercorso tra i Bagnato e
Tamburella, prevedeva una “moratoria” sui prestiti a usura concessi alle persone
offese. Infatti, l’imprevisto arresto del boss aveva fatto saltare gli accordi, tanto più
11

5.2.In ordine al trattamento sanzionatorio, la Corte territoriale ha evidenziato la
sussistenza, a carico dell’imputato,di diversi e gravi precedenti penali, che
impediscono la concessione delle circostanze attenuanti generiche.

che, nella contingente impossibilità, per Tamburella, di dirigere direttamente la
cosca,i1 compito di gestire la situazione spettava ad altri associati.

7.Per quanto attiene alla posizione processuale di Mauro Salvatore, la Corte
territoriale ha evidenziato , in ordine al reato associativo sub 1), come il ricorrente
abbia rassicurato le vittime, affermando che, da quel momento, esse erano entrate a
far parte della famiglia del capomafía e non avrebbero dovuto più temere ritorsioni.
Si tratta- precisa il giudice di secondo grado- di un particolare assolutamente
rivelatore, dato che una simile affermazione non poteva che provenire da un soggetto
intraneo all’ associazione facente capo a Tamburella.
7.1.In relazione alla partecipazione dell’imputato all’estorsione di cui al capo B)
della rubrica, il giudice d’appello ha posto in rilievo come i Bagnato si siano recati
due volte a casa di Tamburella, allo scopo di ottenerne la protezione ed il fattivo – e
retribuito- aiuto nei confronti degli usurai che li opprimevano. I due incontri
costituivano , con ogni evidenza, frammenti di una medesima trama, orientata a
sottoporre le vittime al giogo estorsivo, ragion per cui conta ben poco che Mauro sia
stato attivamente presente all’ uno piuttosto che all’altro incontro. Del resto, nessun
dubbio può porsi circa l’effettiva presenza, dal contenuto sicuramente pregnante, in
quel contesto, del Mauro, che è stato riconosciuto fotograficamente dalla persona
offesa . D’altronde le vittime erano state oggetto di gravi e reiterati attentati ai beni e
alla persona e non vi è dubbio, pertanto, che il boss abbia promesso di elargire i suoi
buoni uffici nei confronti degli usurai non per spirito di compassione ma nel contesto
di un rapporto che sottometteva i Bagnato al suo volere e comportava l’esborso di
somme considerevoli, a titolo estorsivo.
7.2.In ordine alla tentata estorsione di cui al capo 8), la Corte territoriale evidenzia
che il Mauro, collaborando con Curreri, proseguì l’estorsione iniziata dal cugino
anche dopo l’arresto di quest’ultimo, domandando alle vittime il versamento di 6
milioni in contanti, in favore del boss e degli altri “amici” detenuti. Emerge dunque
l’implicita minaccia insita nella richiesta, inequivocabilmente ravvisabile nel
richiamo alla persona del boss e alla sua condizione di detenuto. Su questo
presupposto, per nulla trascurabile, si innestava l’allusione, neppure tanto velata, al
fatto che i Bagnato si erano “comportati male” con Tamburella, al quale non avevano
corrisposto il denaro pattuito, nonostante il suo intervento sul versante dell’usura.
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6.1.In ordine al trattamento sanzionatorio, il giudice di secondo grado ha sottolineato
l’adeguatezza della pena irrogata alla gravità soggettiva e oggettiva del fatto di
reato,desunta dalle descritte modalità della condotta, e la sussistenza di svariati
precedenti penali, che osta alla concessione delle circostanze attenuanti generiche.

8.Per quanto attiene alla posizione processuale di Ventra Giuseppe, la Corte
territoriale ha evidenziato che gli assegni di cui si discute sono quelli richiesti ai
fratelli Bagnato dal coimputato Curreri Giovanni, nell’ambito di una vicenda di
natura estorsiva. La minaccia è dunque da individuarsi nello stesso richiamo alle
ragioni sottostanti alla richiesta, sicchè è da ritenersi che Ventra, accompagnando
Curreri e caldeggiando la richiesta stessa, abbia preso parte alla condotta estorsiva
posta in essere da quest’ultimo.
8.1.La sussistenza dell’aggravante ex art 7 1. 203/91 è ravvisabile nelle modalità di
estrinsecazione della condotta antigiuridica posta in essere da Tamburella e Scotto,
nell’approccio, con i Bagnato, alla vicenda “Panama” , alla quale il delitto in
disamina si riconnette, costituendone un’appendice sul piano sia logico che giuridico.
8.2.In ordine al trattamento sanzionatorio, la Corte territoriale ha sottolineato
l’adeguatezza della pena irrogata dal primo giudice alla gravità soggettiva e oggettiva
del fatto di reato e la sussistenza di precedenti penali a carico dell’imputato.
9.Dal tessuto motivazionale della sentenza d’appello è dunque enucleabile , in parte
qua, una attenta analisi della regiudicanda , avendo i giudici di secondo grado preso
in esame tutte le deduzioni difensive ed essendo pervenuti alla conferma della
sentenza di prime cure attraverso un itinerario logico-giuridico in nessun modo
censurabile , sotto il profilo della razionalità ,e sulla base di apprezzamenti di fatto
non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò
insindacabili in questa sede. Né la Corte suprema può esprimere alcun giudizio
sull’attendibilità delle dichiarazioni dei soggetti escussi , giacchè questa prerogativa
è attribuita al giudice di merito , con la conseguenza che le scelte da questo
compiute,se coerenti , sul piano logico , con una esauriente analisi delle risultanze
agli atti, si sottraggono al sindacato di legittimità ( Sez. U. 25-11-1995 , Facchini ,
Rv. 203767). Per converso, occorre osservare come tutte le censure formulate dai
ricorrenti si collochino al di fuori dell’area della deducibilità nel giudizio di
cassazione, ricadendo sul terreno del merito. Nè questa Corte ha motivo di
discostarsi dal consolidato principio di diritto secondo il quale, a seguito della
modifica dell’art. 606 cod. proc. pen., ad opera dell’art. 8 1. 20-2-2006 n. 46, è
consentito dedurre con il ricorso per cassazione il vizio di travisamento della
prova,che ricorre allorquando il giudice di merito abbia fondato il proprio
13

7.3.In ordine all’ aggravante ex art. 7 1. 203/91, il giudice d’appello precisa che essa è
ravvisabile nelle modalità di estrinsecazione della condotta antigiuridica posta in
essere da Tamburella e dai suoi accoliti , tra i quali il Mauro, nell’approccio e nei
rapporti successivamente intrattenuti con i Bagnato, appena esaminati.

14

convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova obiettivamente
e incontestabilmente diverso da quello reale , mentre esula dall’area della deducibilità
nel giudizio di cassazione il vizio di travisamento del fatto ,essendo precluso al
giudice di legittimità reinterpretare gli elementi di prova valutati dal giudice di
merito e sovrapporre il proprio apprezzamento delle risultanze processuali a quello
compiuto nei precedenti gradi di giudizio ( ex plurimis , Sez. 3, n. 39729 del 18-62009, Rv. 244623; Sez. 5, n. 39048 del 25-9-2007 , Rv. 238215). L’illogicità della
motivazione , come vizio denunciabile , deve quindi essere evidente , cioè di spessore
tale da risultare percepibile ictu oculi , dovendo il sindacato di legittimità al riguardo
essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza , restando ininfluenti le minime
incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non
espressamente confutate , siano logicamente incompatibili con la decisione
adottata,purchè vengano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del
convincimento ( Sez. U. 24-11-1999, Spina , Cass. pen. 2000, 862).Né può
integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa —e , per il
ricorrente, più adeguata-valutazione delle risultanze processuali ( Sez. U. ,30-4-1997
, Dessimone, Rv. 207941) . Il vizio di manifesta illogicità che , ai sensi dell’art
606,comma 1, lett e) cod. proc. pen., legittima il ricorso per cassazione, implica
infatti che il ricorrente dimostri che l’iter argomentativo seguito dal giudice è
assolutamente carente sul piano logico e, per altro verso , che questa dimostrazione
non ha nulla a che fare con la prospettazione di un’altra interpretazione o di un altro
iter, in tesi egualmente corretti sul terreno della razionalità. Ne consegue che , una
volta che il giudice , come nel caso in disamina, abbia coordinato logicamente gli
atti sottoposti al suo esame , a nulla vale opporre che questi atti si prestavano a una
diversa lettura o interpretazione , munite di eguale crisma di razionalità ( Sez. U. 279-1995 , Mannino , Rv. 202903). Dedurre vizio di motivazione della sentenza
significa pertanto dimostrare che essa è manifestamente carente di logica e non
già,come hanno fatto i ricorrenti nel caso in disamina, opporre alla logica valutazione
degli atti effettuata dal giudice di merito una diversa ricostruzione fattuale (Sez. U.
19-6-1996, Di Francesco, Rv. 205621). In questa prospettiva, va, in
particolare,ribadito come l’interpretazione dei contenuti delle conversazioni
telefoniche intercettate e delle espressioni usate dagli interlocutori costituisca
questione di fatto , rimessa alla valutazione del giudice di merito e si sottragga al
sindacato di legittimità ove, come nel caso sub iudice, le relative valutazioni siano
motivate in conformità ai criteri di logica e alle massime di esperienza ( Cass , Sez . 5
n. 47892 del 17-11-2003 , Suino , Guida al dir. 2004, n. 10, 98).E’ infine appena il
caso di aggiungere che, assumendo la mancata osservanza di una norma processuale
rilevanza soltanto laddove essa sia stabilita a pena di nullità , inutilizzabilità ,

i.

10.La sentenza impugnata va dunque annullata nei confronti di Scotto Giuseppe,
limitatamente all’applicazione della misura di sicurezza. Il ricorso dello Scotto va
rigettato nel resto. Va inoltre rigettato il ricorso di Piccolo Roberto, con conseguente
condanna di quest’ultimo al pagamento delle spese processuali. I ricorsi degli altri
imputati vanno dichiarati inammissibili, con conseguente condanna dei ricorrenti al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000 ciascuno in favore
della Cassa delle ammende. Tutti i ricorrenti, ad eccezione dello Scotto, vanno inoltre
condannati alla rifusione delle spese processuali, che si ritiene congruo liquidare nella
somma di euro 3000, oltre agli accessori di legge, in favore della parte civile
“A.S.A.M.”

PQM
ANNULLA NEI CONFRONTI DI SCOTTO GIUSEPPE LA SENTENZA
IMPUGNATA,LIMITATAMENTE ALL’APPLICAZIONE DELLA MISURA DI SICUREZZA.
RIGETTA IL RICORSO NEL RESTO. RIGETTA IL RICORSO DI PICCOLO ROBERTO, CHE
CONDANNA AL PAGAMENTO DELLE SPESE PROCESSUALI. DICHIARA
INAMMISSIBILI I RICORSI DEGLI ALTRI IMPUTATI, CHE CONDANNA AL PAGAMENTO
DELLE SPESE PROCESSUALI E DELLA SOMMA DI E. 1000 CIASCUNO IN FAVORE
DELLA CASSA DELLE AMMENDE. CONDANNA I RICORRENTI, CON ECCEZIONE
DELLO SCOTTO, ALLA RIFUSIONE DELLE SPESE PROCESSUALI, CHE LIQUIDA NELLA
SOMMA DI E. 3000 OLTRE ACCESSORI, IN FAVORE DELLA PARTE CIVILE “A.S.A.M.”.

Così deciso in Roma, all ‘udienza del 11-7-2014.

inammissibilità o decadenza , come espressamente disposto dall’art. 606, comma
1,1ett c) cod. proc. pen., non è ammissibile il motivo di ricorso in cui si deduca la
violazione dell’art. 192 cod. proc. pen. , la cui inosservanza non è in tal modo
sanzionata ( Cass. Sez 6 , 8-1-2004 n. 7336, Rv. 229159) e può essere dedotta
soltanto come censura per vizio di motivazione.

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