Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 42735 del 07/07/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 42735 Anno 2014
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: LIGNOLA FERDINANDO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
ONIDA GIUSEPPE N. IL 05/04/1967
avverso la sentenza n. 12979/2013 TRIBUNALE di MILANO, del
22/10/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FERDINANDO
LIGNOLA;

Data Udienza: 07/07/2014

RILEVATO IN FATTO

– che con l’impugnata sentenza, pronunciata ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen.,
fu applicata a Onida Giuseppe, per il reato di tentato furto aggravato in abitazione,
la pena concordata con la pubblica accusa nella misura di 1 anno di reclusione e
450€ di multa;
– che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, con

mancanza di motivazione in ordine alla mancata applicazione dell’art. 129 cod.
proc. pen., sussistendo i presupposti della desistenza volontaria; b) mancanza di
motivazione con riferimento alla qualificazione giuridica del fatto, che andava
correttamente riqualificato come violazione di domicilio;

CONSIDERATO IN DIRITTO

– che il ricorso è manifestamente infondato, in quanto si dà espressamente atto,
nell’impugnata sentenza, della ritenuta sussistenza delle condizioni tutte, positive e
negative, previste dall’art. 444 c.p.p. per l’applicazione della pena su richiesta, ivi
compresa quella costituita dall’assenza dei presupposti per la pronuncia di sentenza
assolutoria ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen. (con l’indicazione delle fonti di
prova, tra le quali l’attività di P.G. le dichiarazioni dell’imputato); il che basta ad
escludere ogni violazione di legge ed a soddisfare le esigenze di motivazione proprie
delle pronunce del genere di quella impugnata, qualora facciano difetto (come si
verifica nel caso di specie) specifici elementi, ricavabili dal testo del medesimo
provvedimento o indicati nell’atto di gravame, dai quali possa invece desumersi che
taluna delle suddette condizioni fosse mancante (si vedano in proposito, fra le altre:
Sez. 4, n. 7768 del 11/05/1992, Longo, RV 191238; Sez. 3, n. 1693 del
19/04/2000, Petruzzelli, RV 216583; Sez. 2, n. 27930 del 21/05/2003, Lasco, Rv.
225208; Sez. 4, n. 34494 del 13/07/2006, Koumya, Rv. 234824; Sez. 1, n. 4688
del 10/01/2007, Brendolin, Rv. 236622; Sez. 2, n. 6455 del 17/11/2011 – dep.
17/02/2012, Alba, Rv. 252085);
– che con riferimento alla qualificazione del fatto ed all’applicazione e comparazione
delle circostanze, nel procedimento di applicazione della pena le parti non possono
prospettare con il ricorso per cassazione questioni incompatibili con la richiesta di
patteggiamento formulata per il fatto contestato e per la relativa qualificazione
giuridica risultante dalla contestazione, in quanto l’accusa come giuridicamente
qualificata non può essere rimessa in discussione. L’applicazione concordata della
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atto redatto personalmente, affidato a due motivi, con i quali si deduce: a)

pena, infatti, presuppone la rinuncia a far valere qualunque eccezione di nullità,
anche assoluta, diversa da quelle attinenti alla richiesta di patteggiamento e al
consenso a essa prestato. Cosicché, in questa prospettiva, l’obbligo di motivazione
del giudice è assolto con la semplice affermazione dell’effettuata verifica e positiva
valutazione dei termini dell’accordo intervenuto tra le parti e dell’effettuato
controllo degli elementi di cui all’art. 129 cod. proc. pen., conformemente ai criteri
di legge (Sez. U, n. 20 del 27/10/1999, Fraccari, Rv. 214637; Sez. 5, n. 21287 del

– che la censura in punto di qualificazione giuridica del fatto e di ricorrenza delle
circostanze è inammissibile anche sotto il profilo della mancanza di motivazione,
ricorrendo in proposito un dovere di specifica argomentazione solo per il caso che
l’accordo abbia presupposto una modifica dell’imputazione originaria, evenienza che
nel caso di specie deve escludersi (Sez. 6, n. 32004 del 10/04/2003, Valetta, Rv.
228405);
– che la ritenuta inammissibilità del ricorso comporta le conseguenze di cui all’art.
616 c.p.p., ivi compresa, in assenza di elementi che valgano ad escludere ogni
profilo di colpa, anche l’applicazione della prescritta sanzione pecuniaria, il cui
importo stimasi equo fissare in euro millecinquecento;

P. Q. M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e al versamento della somma di millecinquecento euro alla cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 7 luglio 2014
Il consigliere estensore

Il

te

25/03/2010, Legari, Rv. 247539);

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