Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 42733 del 08/05/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 42733 Anno 2015
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: CASA FILIPPO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CARCHELLA MATTEO N. IL 15/11/1992
avverso l’ordinanza n. 2207/2014 TRIB. LIBERTA’ di ROMA, del
30/07/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FILIPPO CASA;
1e4/sentite le conclusioni del PG Dott. AI f.i.tc‘,.

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Data Udienza: 08/05/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 30.7.2014, il Tribunale del riesame di Roma confermava il
provvedimento emesso in data 14.7.2014, con il quale il Tribunale di Roma aveva applicato
a CARCHELLA Matteo la misura cautelare dell’obbligo di presentazione all’autorità di RG. in
relazione ai reati di radunata sediziosa, resistenza a pubblico ufficiale aggravata, lesioni e

governative svoltasi il 12.4.2014 nella capitale.
Il Tribunale ravvisava il quadro indiziario grave a carico dell’indagato in base alla nota
della Questura di Roma in data 30.4.2014, al verbale di accertamento tecnico redatto dalla
Polizia scientifica il 24.5.2014 con immagini allegate e ai referti di pronto soccorso attestanti
le lesioni subite dagli agenti.
In particolare, il CARCHELLA era stato identificato dalla P.G. nell’individuo travisato
(indossante casco e maschera antigas) che, all’interno di un gruppo compatto di persone,
staccatosi dal corteo principale, in prossimità di via Veneto e unitamente agli altri
partecipanti, al fine di forzare lo schieramento delle Forze dell’Ordine, aveva iniziato il lancio
di oggetti, avvalendosi di una fionda; il lancio di oggetti contundenti, bombe carta e
fumogeni posto in essere dal gruppo, cagionava lesioni personali a 65 agenti operanti.
L’individuazione del CARCHELLA si basava sulla corrispondenza degli indumenti
indossati dall’indagato nelle fasi iniziali della manifestazione, quando era ancora ritratto nei
fotogrammi a volto scoperto, con quelli del soggetto travisato.
La difesa aveva contestato tale identificazione, perché effettuata sulla base di
elementi non individualizzanti e di uso comune.
In particolare, la difesa evidenziava: che il CARCHELLA, nei fotogrammi che lo
ritraevano a volto scoperto, non portava alcuno zaino, al contrario del soggetto travisato;
che i pantaloni indossati da quest’ultimo erano attillati e di colore marrone, mentre quelli
indossati dall’indagato erano di colore grigio e più ampi; che il moschettone portachiavi del
CARCHELLA era agganciato alla parte posteriore del pantalone mentre quello del soggetto
travisato era agganciato alla parte laterale; che il CARCHELLA indossava un solo bracciale e
una fascia di tessuto rosso particolari che non si apprezzavano nel soggetto travisato, il
quale indossava diversi bracciali; che il casco indossato dal soggetto travisato era sfornito di
visiera mentre quello in mano all’indagato ne sembrava provvisto, presentando ai lati e sul
vertice delle sporgenze; che riguardo alle scarpe sportive di vasta diffusione indossate dai
due soggetti ritratti vi erano differenze nel colore della tomaia e della suola.
Il Tribunale romano disattendeva i rilievi difensivi, osservando: che i pantaloni e le
scarpe indossati dai due individui ritratti corrispondevano per foggia e per colore; che sia nel

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porto abusivo d’arma, commessi durante la manifestazione di protesta contro le politiche

CARCH ELLA, sia nel soggetto travisato si notava la presenza di un portachiavi a moschettone
agganciato al passante laterale del pantalone, particolare inconsueto e singolare che
consentiva di ritenere che i due soggetti fossero la stessa persona; che lo stesso poteva
affermarsi per i braccialetti portati al polso sinistro, che presentavano le medesime
caratteristiche.
Le differenze cromatiche indicate dalla difesa riguardo alle scarpe e ai pantaloni si

luce e alla diversa inquadratura con la quale erano state effettuate le riprese video. Le
medesime considerazioni valevano per la posizione del portachiavi, che risultava identica in
entrambi i casi, sebbene la differente prospettiva delle immagini potesse trarre in inganno.
Quanto al casco, era stata la stessa difesa ad esprimersi in termini dubitativi circa la
presenza della visiera sul casco ritratto in mano al CARCHELLA.
Infine, non potevano trarsi elementi utili a sostegno dell’erroneità dell’identificazione
dall’assenza di zaino o simili accessori nelle immagini che ritraevano l’indagato a volto
scoperto, non potendo escludersi che costui lo avesse prelevato in un momento successivo,
prima di travisarsi, e che tale azione non fosse stata ripresa da alcuna telecamera.
L’esito negativo della perquisizione domiciliare eseguita nei confronti del CARCHELLA,
d’altra parte, rappresentava di per sé un elemento neutro, anche perché distante alcuni mesi
dai fatti.
2. Ha proposto ricorso per cassazione CARCHELLA Matteo per il tramite del difensore
di fiducia, deducendo, con un unico motivo, violazione di legge e vizio di motivazione in
relazione agli artt. 273 e 192 c.p.p..
Il Tribunale non aveva fatto buon governo delle regole di giudizio enunciate dalla
giurisprudenza di legittimità in tema di gravi indizi di colpevolezza necessari per
l’applicazione delle misure cautelari e sul tema della loro valutazione ai medesimi fini
cautelari.
La difesa, nel giudizio cautelare, aveva dimostrato che gli elementi di pretesa
concordanza ravvisati nell’ordinanza genetica tra i fotogrammi ritraenti l’indagato e il
soggetto travisato neppure esistevano.
Il Tribunale, nel confermare il provvedimento impugnato, non aveva spiegato: quanto
ai pantaloni, in base a quale fenomeno o effetto interessante la tecnica delle riprese e/o la
ipotizzata diversa esposizione di luce, il colore grigio potesse mutare in marrone scuro e un
pantalone ampio a vita bassa potesse trasformarsi in pantalone attillato come nel caso di
specie; quanto alle scarpe, in che modo la diversa inquadratura o la differente esposizione di
luce potesse determinare la diversità obiettiva tra le caratteristiche della suola delle scarpe
indossate dall’indagato (suola compatta senza cuscinetti ad aria compressa) e quelle

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rivelavano del tutto marginali e verosimilmente imputabili alla differente esposizione alla

indossate dal soggetto travisato (suola con cuscinetti ad aria compressa); quanto al
braccialetto, in cosa consistessero le “medesime caratteristiche” dei diversi braccialetti
indossati dal soggetto ignoto riscontrabili nell’unico bracciale portato sul polso sinistro
dall’indagato, dove veniva ritratta anche una fascia di tessuto rosso sulla quale il Tribunale
aveva taciuto; quanto alle differenze dei caschi ritratti (con visiera quello dell’indagato,
senza l’altro), la difesa, nei motivi dedotti con l’istanza di riesame, si era espressa in termini

moschettone portachiavi, la differente prospettiva ipotizzata dal Collegio non poteva avere
alcuna valenza nel caso di specie, atteso che i due soggetti erano stati ritratti in due
posizioni completamente diverse, uno di schiena (l’indagato) e l’altro di lato (il soggetto
ignoto): eppure, in entrambe le posizioni dei due soggetti il moschettone risultava
perfettamente aderente alla parte del corpo riprodotta (alla schiena in un caso, al fianco
nell’altro); palesemente illogica l’affermazione circa il carattere inconsueto e singolare della
presenza del moschettone portachiavi, essendo tale oggetto, viceversa, di uso comune tra i
giovani; quanto allo zaino (portato sulle spalle solo dal soggetto travisato), a fronte di un
dato certo e indiscutibile, favorevole all’indagato, il Tribunale aveva opposto una mera
ipotesi senza addurre alcuna spiegazione della stessa.
La motivazione, dunque, appariva viziata nell’aver attribuito la valenza di indizi ad
elementi che mancavano della certezza del dato da cui muovere per risalire a quello da
dimostrare e apprezzarne la gravità.
A fronte di dati certi che smentivano le presunte corrispondenze di abbigliamento ed
accessori tra l’indagato e il soggetto ignoto, il Giudice a quo aveva opposto argomenti di
carattere ipotetico e irrazionali per giustificare la tesi accusatoria scivolando, così, dalla
necessaria certezza del dato accusatorio al livello della possibilità, così facendo venir meno la
gravità indiziaria, asserita ma non dimostrata.
3. All’udienza del 24.3.2015 è stato disposto rinvio d’ufficio al fine di acquisire, in
originale, il fascicolo fotografico allegato al verbale di accertamento tecnico redatto dal
Servizio di Polizia Scientifica della Direzione Centrale Anticrimine della Polizia di Stato in
relazione agli scontri avvenuti a margine della manifestazione “Lotta per la casa e precari”,
svoltasi a Roma in data 12.4.2014.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.
2. Occorre, preliminarmente, ricordare che, anche a seguito della modifica apportata
all’art. 606 c.p.p., lett. e), dalla L. n. 46 del 2006, non è deducibile nel giudizio di legittimità

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affermativi e non dubitativi, come erroneamente ritenuto dal Tribunale; quanto al

il “travisamento del fatto”, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la
propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di
merito (Sez. 6, n. 25255 del 2012, Rv. 253099).
È invece deducibile il “travisamento della prova”, il quale si realizza nel caso in cui il
giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un
risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale, considerato che, in tale ipotesi,

decisione, ma di verificare se detti elementi sussistano o meno (Sez. 5, n. 39048 del 2007,
Rv. 238215).
2.1. Siffatto vizio di travisamento della prova è, comunque, denunciabile con il
ricorso per cassazione:
a)

quando ricorra la cosiddetta “contraddittorietà processuale”, come quando il

giudice prosciolga l’imputato ritenendo che questi al momento del fatto non fosse capace di
intendere e volere, fondando tale decisione sulle risultanze di una perizia psichiatrica che
aveva invece affermato che i disturbi della personalità non erano tali da escludere
l’imputabilità (Sez. 6, n. 8342 del 2011, Rv. 249583);
b) quando si tratti di “travisamento di una prova decisiva” acquisita al processo, che è
integrato dall’esistenza di una palese difformità tra i risultati obiettivamente derivanti
dall’assunzione della prova e quelli che il giudice di merito ne abbia tratto (cfr. Sez. 3, n.
39729 del 2009, Rv. 244623, fattispecie in cui i giudici di merito hanno ritenuto che l’atto di
delega, quale fonte della responsabilità dell’imputato per il reato di scarichi di acque reflue
industriali, concernesse la gestione degli scarichi fognari e non invece, come reso palese
dalla intestazione e dal contenuto dell’atto, la sola materia antinfortunistica);
c) quando si prospetti il vizio di “travisamento della prova dichiarativa”, e questo
abbia un oggetto definito e non opinabile, tale da evidenziare in modo palese e non
controvertibile la tangibile difformità tra il senso intrinseco della singola dichiarazione
assunta e quello che il giudice ne abbia inopinatamente tratto, con esclusione peraltro del
detto vizio, laddove si faccia questione di un presunto errore nella valutazione del significato
probatorio della dichiarazione medesima (Sez. 5, n. 9338 del 2013, Rv. 255087. Massime
precedenti Conformi: N. 15556 del 2008 Rv. 239533, N. 46451 del 2009 Rv. 245611, N.
14732 del 2011, Rv. 250133).
In tanto il vizio di travisamento della prova – desumibile dal testo del provvedimento
impugnato o da altri atti del processo purché specificamente indicati dal ricorrente – è
ravvisabile ed efficace in quanto l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero
ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza
dimostrativa del dato processuale /probatorio, fermi restando il limite del “devolutum” in

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non si tratta di reinterpretare gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della

caso di cosiddetta “doppia conforme” e l’intangibilità della valutazione nel merito del risultato
probatorio (Sez. 6, n. 5146 del 2014, Rv. 258774).
3. Ciò premesso, ritiene il Collegio che nessuna delle situazioni sopra rappresentate e
ipotizzate sia rilevabile nell’ordinanza impugnata.
Le valutazioni formulate dal Tribunale di Roma con riferimento alle immagini
contenute nel fascicolo fotografico acquisito in originale da questa Corte non possono

Sia con riferimento agli elementi identificativi valorizzati per individuare nel ricorrente
il soggetto ritratto nelle fotografie, prima non travisato e poi travisato, sia con riguardo alle
censure sollevate dalla difesa, il Collegio capitolino ha articolato risposte motivazionali – nei
termini riportati nella superiore esposizione in fatto – non manifestamente illogiche e, in
ogni caso, contenute ampiamente nei limiti della plausibile opinabilità di apprezzamento non
censurabile nella presente sede.
Né è ammesso richiedere a questa Corte di ottenere una diversa valutazione, rispetto
a quella compiuta dal giudice di merito e adeguatamente motivata, degli atti processuali da
questi probatoriamente apprezzati (Sez. 7, ord. n. 12406 del 2015, Rv. 262948).
4. Al rigetto del ricorso consegue ex lege la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, l’8 maggio 2015

Il Consiglier stensore

Il Presidente

considerarsi, invero, palesemente difformi rispetto al contenuto obiettivo dei documenti.

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