Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4273 del 07/01/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 4273 Anno 2015
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

SENTENZA
Sul ricorso proposto nell’interesse di Fiore Antonio, n. a Torre del
Greco (NA) il 04.12.1988, attualmente detenuto per questa causa,
rappresentato e assistito dall’avv. Massimo Belligoli di fiducia,
avverso l’ordinanza n. 881/2014 emessa dal Tribunale di Venezia, in
funzione di giudice dell’appello, in data 22.08.2014;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
sentita la relazione della causa fatta dal consigliere dott. Andrea
Pellegrino;
udita la requisitoria del Sostituto procuratore generale dott. Massimo
Galli che ha chiesto il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza in data 16.05.2014, il giudice per le indagini preliminari
presso il Tribunale di Verona applicava nei confronti di Fiore Antonio la

Data Udienza: 07/01/2015

misura cautelare della custodia in carcere in quanto indagato per due
fattispecie di reato di rapina aggravata in concorso.
2.

Con istanza ex art. 299 cod. proc. pen., la difesa del Fiore chiedeva la
sostituzione della misura massima con l’obbligo di dimora e, in
subordine, con gli arresti domiciliari presso il domicilio noto al servizio
di protezione testimoni, programma al quale il Fiore risulterebbe
sottoposto. A fondamento della richiesta, la difesa, premettendo di non

una rivalutazione delle esigenze di cautela, in ragione del ruolo
marginale assunto dall’indagato, che era stato partecipe solo dei
sopralluoghi.
3.

Con ordinanza in data 09.07.2014, il giudice per le indagini preliminari
presso il Tribunale di Verona respingeva l’istanza.

4.

Avverso detto provvedimento, veniva proposto ricorso ex art. 310 cod.
proc. pen. avanti al Tribunale di Venezia che, con ordinanza in data
22.08.2014, rigettava il gravame.

5.

Avverso l’ordinanza del Tribunale di Venezia, nell’interesse del Fiore,
viene proposto il presente ricorso per cassazione per denunciare
carenza di motivazione, avendo i giudici di secondo grado omesso di
pronunciarsi sulle censure sollevate dalla difesa.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.

Il ricorso è manifestamente infondato e, come tale, immeritevole di
accoglimento.

2.

È anzitutto necessario chiarire, sia pur in sintesi, i limiti di sindacabilità
da parte di questa Corte Suprema dei provvedimenti adottati dal
giudice della cautela sulla libertà personale.

Secondo l’orientamento di questa Corte Suprema, in tema di misure
cautelari personali, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione,
vizio di motivazione del provvedimento emesso dal giudice della
cautela in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza ovvero
delle esigenze cautelari, alla Corte Suprema spetta il compito di
verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e
ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato
adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la
gravità del quadro indiziario o la sussistenza di ragioni di cautela a

avere alcuna contestazione da muovere sul piano indiziario, invocava

carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione
rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano
l’apprezzamento delle risultanze probatorie (cfr., Sez. 1, sent. n. 4844
del 26/11/1992, dep. 11/01/1993, Granillo, Rv. 192926, secondo la
quale è preclusa, nel giudizio rescindente, la possibilità di controllo
delle risultanze processuali per verificare l’esattezza e la completezza
della valutazione compiuta dal giudice di merito degli elementi di prova

cautelare e sulla scelta della medesima).
Si è inoltre osservato, sempre in tema di impugnazione delle misure
cautelari personali, che il ricorso per cassazione è ammissibile soltanto
se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la
manifesta illogicità della motivazione del provvedimento secondo i
canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando
propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero si
risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal
giudice di merito (Sez. 5, sent. n. 46124 del 08/10/2008, Pagliaro, Rv.
241997; Sez. 6, sent. n. 11194 del 08/03/2012, Lupo, Rv. 252178).
L’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza (art. 273 cod. proc. pen.) e
delle esigenze cautelari (art. 274 cod. proc. pen.) è, quindi, rilevabile
in cassazione soltanto se si traduce nella violazione di specifiche norme
di legge o nella manifesta illogicità della motivazione secondo la logica
ed i principi di diritto, rimanendo “all’interno” del provvedimento
impugnato; il controllo di legittimità non può, infatti, riguardare la
ricostruzione dei fatti e sono inammissibili le censure che, pur
formalmente investendo la motivazione, si risolvono nella
prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate
dal giudice di merito, dovendosi in sede di legittimità accertare
unicamente se gli elementi di fatto siano corrispondenti alla previsione
della norma incriminatrice.
3. Il Tribunale di Venezia, in funzione di giudice dell’appello, ha
valorizzato, a fondamento del giudizio in merito alla permanenza delle
valutate esigenze cautelari, una articolata serie di elementi, dai quali con motivazione esauriente, logica, non contraddittoria, come tale
esente da vizi rilevabili in questa sede – è stata nel complesso desunta
la sussistenza dei profili di cautela che avevano imposto l’adozione
della misura cautelare massima.

ir

disponibili ai fini della decisione sulla necessità di adottare la misura

4.

Nell’odierno ricorso per cassazione, la difesa del Fiore introduce per la
prima volta censure in ordine alla ritenuta gravità indiziaria (non
oggetto di gravame avanti al giudice dell’appello) e contesta altresì la
decisione in punto ineludibilità della misura custodiale carceraria.

5.

Inammissibili sono certamente le censure sulla dedotta gravità
indiziaria attesane la tardiva proposizione. Invero, secondo la costante
giurisprudenza di legittimità, in tema di ricorso per cassazione, la

e 609, comma secondo, cod. proc. pen. – secondo cui non possono
essere dedotte in cassazione questioni non prospettate nei motivi di
appello, tranne che si tratti di questioni rilevabili di ufficio in ogni stato
e grado del giudizio o di quelle che non sarebbe stato possibile dedurre
in grado d’appello – trova la sua “ratio” nella necessità di evitare che
possa sempre essere rilevato un difetto di motivazione della pronuncia
di secondo grado con riguardo ad un punto del ricorso, non investito
dal controllo del giudice di secondo grado, perché non segnalato con i
motivi di gravame (cfr., Sez. 4, sent. n. 10611 del 04/12/2012, dep.
07/03/2013, Bonaffini, Rv. 256631).
6.

Medesime conclusioni di inammissibilità involgono il secondo profilo di
doglianza in presenza di una motivazione congrua e del tutto priva di
vizi logico-giuridici e, come tale, incensurabile nella presente sede di
legittimità. Si legge nel provvedimento impugnato: “…

vale rilevare

come correttamente il primo giudice abbia escluso nel caso di specie la
possibilità di comparare le posizioni caute/ari dei coindagati, come
preteso dalla difesa. Invero, la scarcerazione per carenza di gravi indizi
di colpevolezza decisa dal Tribunale distrettuale in favore di Ra uso
Fabio sicuramente non può riverberare i suoi effetti sulla posizione
dell’odierno ricorrente, dal momento che il difensore esplicitamente
dichiara di non contestare nel caso di specie la sussistenza dei
presupposti indiziari, bensì solo delle esigenze di cautela.
Analogamente, la attenuazione della misura disposta in sede
distrettuale in favore di Rauso Giulio non può essere ritenuta elemento
rescindente nel presente giudizio. Ed invero, l’odierno appellante, a
differenza del coindagato Rauso Giulio, è chiamato a rispondere del
concorso in due episodi di rapina aggravata e quindi la sua posizione è
connotata da una partecipazione certamente non occasionale all’agire
delittuoso del gruppo delinquenziale. Allo stato, in assenza di elementi

regola ricavabile dal combinato disposto degli artt. 606, comma terzo,

che possano far ritenere una effettiva presa di distanza dal contesto
delinquenziale di riferimento, ritenuto comunque esiguo ed ininfluente
sul piano cautelare il tempo decorso dall’applicazione della misura, il
regime cautelare deve trovare conferma in quanto tuttora necessario
per fronteggiare le esigenze di cui all’art. 274 lett. c) cod. proc. pen.,
come correttamente motivato nel provvedimento impositivo della
misura”.

Ne consegue l’inammissibilità del ricorso e, per il disposto dell’art. 616
cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle
ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti
dal ricorso, si determina equitativamente in euro 1.000,00. Manda alla
cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. cod. proc.
pen.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle
ammende.
Si provveda a norma dell’art. 94 comma 1 ter disp. att. cod. proc. pen..
Così deliberato in Roma, udienza in camera di consiglio del 7.1.2015

7.

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