Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 42649 del 13/10/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 42649 Anno 2015
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

Data Udienza: 13/10/2015

SENTENZA
Sul ricorso proposto personalmente da Paoletti Giulio, n. a Villafalletto
(CN) il 15.03.1967, rappresentato e assistito dall’avv. Alberto Leone e
dall’avv. Anna Barbero, di fiducia, avverso la sentenza del giudice per
l’udienza preliminare presso il Tribunale di Cuneo, n. 2890/2014, in
data 03.10.2014;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
preso atto della ritualità delle notifiche e degli avvisi;
sentita la relazione della causa fatta dal consigliere dott. Andrea
Pellegrino;
udita la requisitoria del Sostituto procuratore generale dott. Vito
D’Annbrosio che ha concluso chiedendo di dichiararsi l’inammissibilità
del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1

1.

Con sentenza in data 03.10.2014, il giudice per l’udienza

preliminare presso il Tribunale di Cuneo, all’esito di giudizio
abbreviato, previa riqualificazione nel fatto nell’ipotesi prevista
dall’art. 2 I. n. 898/1986, assolveva Paoletti Giulio con la formula
“perché il fatto non è previsto dalla legge come reato”.
2.

Avverso detta sentenza, Paoletti Giulio propone ricorso per

cassazione per violazione di legge.
2.1. Assume il ricorrente, dopo aver dedotto un proprio interesse ad
impugnare, come il giudice abbia correttamente riconosciuto la
riconducibilità del fatto oggetto di contestazione alla fattispecie di cui
all’art. 2 I. n. 898/1986, sussidiaria rispetto al reato di cui all’art. 640
bis cod. pen., difettando, nel caso di specie, artifici o raggiri,
essendosi l’agire sostanziato nella semplice esposizione di una
“notizia falsa” contenuta in dichiarazione sostitutiva di notorietà e
rappresentata dalla inveritiera attestazione, operata dall’imputato, di
aver stipulato un contratto verbale di affitto di fondo agricolo con tale
Qualtorto Giuseppe, in realtà deceduto nell’anno 1982. La sentenza
impugnata, rilevando che il contributo FEAGA (Fondo Europeo
Agricolo di Garanzia) percepito dall’imputato non superava la soglia di
punibilità normativamente stabilita in euro 5.000,00, ha prosciolto il
ricorrente perché il fatto non costituisce reato.
2.2. A parere del ricorrente, la decisione in parola risulta affetta da
vizio di violazione di legge per avere ritenuto la natura illecita della
condotta, sia pure sanzionabile solo in via amministrativa, pur in
presenza di evidenti profili di insussistenza del fatto: da qui
l’interesse a coltivare il presente ricorso.
2.3. Dato per acquisito che sul fondo in questione il Paoletti ha
effettivamente esercitato attività agricola, occorre verificare se, tale
circostanza, costituisca condizione sufficiente, oltre che necessaria,
affinchè l’erogazione del contributo comunitario non possa definirsi
“indebita”. La risposta positiva, a parere del ricorrente, può rinvenirsi
non solo nella ratio e nello stesso tenore della disciplina comunitaria,
che àncora l’erogazione al dato dell’effettiva coltivazione ma anche
ricordando come l’utilizzo a fini agricoli di un fondo in relazione al
quale non si vanti un titolo negoziale per la sua detenzione non possa
ritenersi privo di rilievo giuridico. Il ricorrente ha dichiarato di aver

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coltivato il fondo in questione e gli appezzamenti limitrofi a partire,
quantomeno, dal 2000 (per i terreni limitrofi, dal 1996), dimostrando
in tal modo di aver avuto effettiva disponibilità del fondo pur in
assenza di un titolo detentivo. In questa prospettiva, muovendo dal
presupposto secondo cui il reato di cui all’art. 2 I. n. 898/1986 (ed il
correlativo illecito amministrativo per le erogazioni inferiori ad euro
5.000,00) sussiste quando la domanda finalizzata ad ottenere gli aiuti

comunitari contenga notizie e dati falsi che siano funzionali
all’indebito ottenimento dell’erogazione, appare di tutta evidenza che
l’esposizione della falsa notizia dell’esistenza di un contratto di
locazione del fondo non possa rendere indebita l’erogazione, per esso,
del contributo comunitario, comunque dovuto per il solo fatto della
effettiva condizione di utilizzo del fondo mediante possesso valevole
ai fini dell’usucapione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile per carenza di interesse.
2.

Secondo il condivisibile orientamento della giurisprudenza di

legittimità (cfr., cfr., Sez. 6, sent. n. 6486 del 13/11/2003, dep.
17/02/2004, Arcoleo ed altri, Rv. 228370), l’imputato assolto con la
formula “perché il fatto non è previsto dalla legge come reato” non ha
interesse ad impugnare allo scopo di ottenere pronuncia assolutoria
con la formula “perché il fatto non sussiste”, non potendo trarre dalla
sua applicazione alcun vantaggio.
Rileva al riguardo il Collegio la mancanza d’interesse all’impugnazione
e, per tal motivo, l’inammissibilità della stessa, sulla considerazione
che solo nell’ipotesi in cui ci si dolga di un concreto pregiudizio
derivante – quale effetto primario e diretto – dal provvedimento
impugnato, può dirsi sussistente l’interesse ad impugnare richiesto
dall’ordinamento, mentre sono inammissibili le censure con le quali,
come nel caso in esame, si contesta l’adozione della formula “il fatto
non è previsto dalla legge come reato” che si vorrebbe sostituita con
quella “perché il fatto non sussiste”.
In proposito, si osserva che si tratta di formule del tutto
sovrapponibili perché ciascuna darebbe conto della mancanza del
rilievo penale dei singoli comportamenti che di per sè sola sarebbe

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sufficiente ad escludere, in conformità alla giurisprudenza di
legittimità, l’esclusione di interesse ad ottenere una diversa
definizione del processo e, quindi, l’inammissibilità dell’impugnazione
proposta.
La Corte rileva, ancora, che l’appellante, al di là di una teorica ed
astratta petizione di principio solo enunciata (“lo scrivente ritiene … di
nutrire specifico interesse ad ottenere dalla Corte di legittimità

pronunciato l’assoluzione … con la formula dell’insussistenza del fatto
…”), non ha dimostrato alcun concreto interesse ad una diversa
formula assolutoria, presupposto ineludibile, ex art. 568, comma 4
cod. proc. pen., all’ammissibilità dell’impugnazione quand’anche si
volesse aderire ad altro indirizzo giurisprudenziale (cfr., Sez. 1, sent.
n. 28846 del 19/05/2009, dep. 15/07/2009, Presciutti e altri, Rv.
244293).
3. Alla pronuncia consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc.
pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali
nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una
somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si
determina equitativamente in euro 1.000,00

PQM

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa
delle ammende.
Così deliberato in Roma, udienza pubblica del 13.10.2015

Il Consigliere estensore
Dott. Andrea ellegrino

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l’annullamento della decisione impugnata … per non avere

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