Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 42605 del 07/07/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 42605 Anno 2014
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: LIGNOLA FERDINANDO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
DECOLOMBI ADRIANO DETTO ( LAMPA) N. IL 07/03/1966
DECOLOMBI CLAUDIO (DETTO RICU) N. IL 22/04/1964
DECOLOMBI VALENTINO (DETTO VALE) N. IL 18/09/1978
DI MAIO RENATO N. IL 24/01/1972
DI MAIO GRAZIANO SALVATORE N. IL 06/10/1976
avverso la sentenza n. 123/2012 TRIBUNALE di PINEROLO, del
05/06/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FERDINANDO
LIGNOLA;

Data Udienza: 07/07/2014

RILEVATO IN FATTO

– che con l’impugnata sentenza, pronunciata ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen.,
fu applicata a Decolombi Adriano, Decolombi Claudio, Decolombi Valentino, Di Maio
Graziano Salvatore e Di Maio Renato per una serie di reati di furto in abitazione
tentato e consumato, come a ciascuno contestati, la pena concordata con la
pubblica accusa, in continuazione con i fatti di cui alla condanna della Corte

di reclusione e 400€ di multa per Decolombi Adriano, 6 mesi e 20 giorni di
reclusione e 400€ di multa per Decolombi Claudio, 6 mesi e 20 giorni di reclusione e
400€ di multa per Decolombi Valentino, 6 mesi di reclusione e 400€ di multa per Di
Maio Graziano Salvatore, 6 mesi e 20 giorni di reclusione e 400€ di multa per Di
Maio Renato;
– che avverso detta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione tutti gli
imputati, con atto redatto dal difensore, avv. Pier Carlo Botto, affidato ad unico
motivo, con il quale deduce insufficienza ed illogicità di motivazione, in riferimento
alla valutazione delle prove;

CONSIDERATO IN DIRITTO

– che il ricorso va dichiarato inammissibile, in quanto con riferimento alla sentenza
di patteggiamento secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (a partire da
Sez. U, n. 5777 del 27/3/1992, Di Benedetto, Rv. 191135) “la motivazione della
sentenza che applica la pena su richiesta delle parti a norma dell’art. 444 comma
secondo cod. proc. pen. si esaurisce in una delibazione ad un tempo positiva e
negativa. Positiva a quanto all’accertamento: 1) della sussistenza dell’accordo delle
parti sull’applicazione di una determinata pena; 2) della correttezza della
qualificazione giuridica del fatto nonché della applicazione e della comparazione
delle eventuali circostanze; 3) della congruità della pena patteggiata, ai fini e nei
limiti di cui all’art. 27, terzo comma, Cost.; 4) della concedibilità della sospensione
condizionale della pena, qualora l’efficacia della richiesta sia stata subordinata alla
concessione del beneficio. Negativa quanto alla esclusione della sussistenza di
cause di non punibilità o di non procedibilità o di estinzione del reato. Le delibazioni
positive debbono essere necessariamente sorrette dalla concisa esposizione dei
relativi motivi di fatto e di diritto, mentre, per quanto riguarda il giudizio negativo
sulla ricorrenza di alcuna delle ipotesi previste dall’art. 129 cod. proc. pen.,
l’obbligo di una specifica motivazione sussiste, per la natura stessa della
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d’appello di Torino del 27 gennaio 2009, nella misura rispettivamente di otto mesi

delibazione, soltanto nel caso in cui dagli atti o dalle dichiarazioni delle parti
risultino elementi concreti in ordine alla non ricorrenza delle suindicate ipotesi. In
caso contrario, è sufficiente la semplice enunciazione, anche implicita, di aver
effettuato, con esito negativo, la verifica richiesta dalla legge e cioè che non
ricorrono gli estremi per la pronuncia di sentenza di proscioglimento ex art. 129
cod. proc. pen.”;
– che la sentenza impugnata rispetta questo principio, poiché si dà espressamente

dall’art. 444 cod. proc. pen. per l’applicazione della pena su richiesta, ivi compresa
quella costituita dall’assenza dei presupposti per la pronuncia di sentenza
assolutoria ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen.; il che basta ad escludere ogni
violazione di legge ed a soddisfare le esigenze di motivazione proprie delle
pronunce del genere di quella impugnata, qualora facciano difetto (come si verifica
nel caso di specie) specifici elementi, ricavabili dal testo del medesimo
provvedimento o indicati nell’atto di gravame, dai quali possa invece desumersi che
taluna delle suddette condizioni fosse mancante (si vedano in proposito, fra le altre:
Sez. 4, n. 7768 del 11/05/1992, Longo, RV 191238; Sez. 3, n. 1693 del
19/04/2000, Petruzzelli, RV 216583; Sez. 2, n. 27930 del 21/05/2003, Lasco, Rv.
225208; Sez. 4, n. 34494 del 13/07/2006, Koumya, Rv. 234824; Sez. 1, n. 4688
del 10/01/2007, Brendolin, Rv. 236622; Sez. 2, n. 6455 del 17/11/2011 – dep.
17/02/2012, Alba, Rv. 252085);
– che la ritenuta inammissibilità del ricorso comporta le conseguenze di cui all’art.
616 cod. proc. pen., ivi compresa, in assenza di elementi che valgano ad escludere
ogni profilo di colpa, anche l’applicazione della prescritta sanzione pecuniaria, il cui
importo stimasi equo fissare in euro millecinquecento;

P. Q. M.

dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali e ciascuno al versamento della somma di millecinquecento euro alle
cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 7 luglio 2014
Il consigliere estensore

idente

atto della ritenuta sussistenza delle condizioni tutte, positive e negative, previste

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