Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 426 del 25/10/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 426 Anno 2014
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: SARNO GIULIO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
TESORO NICOLA N. IL 23/03/1970
avverso l’ordinanza n. 19/2013 TRIB. LIBERTA’ di BARI, del
28/02/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIULIO SARNO;

Data Udienza: 25/10/2013

A mente dell’art. 616 c.p.p., alla declaratoria di inammissibilità consegue l’onere delle spese del
procedimento, nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, fissata in
via equitativa, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 1000.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali,
nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma di euro 1000.
Così deciso, il giorno 25.10.2013

Tesoro Nicola propone ricorso per cassazione avverso l’ordinanza in epigrafe con la quale il
tribunale di Bari ha rigettato l’istanza di riesame proposta avverso il decreto di sequestro
preventivo per equivalente fino alla concorrenza della somma di euro 388.95,78 in relazione al
reato di cui agli artt. 110 cod. pen. ed 11 dlgs n. 74/2000 ipotizzato per l’alienazione simulata
della propria azienda di installazione di segnaletica stradale, semafori ed illuminazione, al fine
di sottrazione al pagamento delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto.
Deduce in questa sede il ricorrente la violazione degli artt. 32 e 33 DPR 600/73 e 220 Divo
271/89 assumendo che le interrogazioni all’anagrafe tributaria utilizzate per definire il quadro
indiziario legittimante il provvedimento cautelare non sarebbero state acquisite, né sarebbero
confluite nel processo penale con l’osservanza delle disposizioni codicistiche mancando le
verbalizzazioni dei verificatori delle Agenzie delle entrate che avrebbero sostanzialmente
operato quali operatori di polizia giudiziaria e non essendo stati i medesimi operatori
autorizzati all’utilizzo del database dell’anagrafe tributaria.
Il ricorso è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
Premesso che la questione indicata non sembrerebbe essere stata posta dinanzi al riesame e
che in questa sede è inibito l’esame di aspetti fattuali, occorre anzitutto ricordare che non
rileva nella specie il disposto dell’art. 220 disp. Att. cod. proc. pen.. Tale disposizione si limita a
stabilire, infatti, che “quando nel corso di attività ispettive o di vigilanza previste da leggi o
decreti emergano indizi di reato, gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere
quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale sono compiuti con l’osservanza
delle disposizioni del codice”.
Nella specie, infatti, il materiale acquisito ha natura documentale e nulla può ostare al
trasferimento di esso nel processo penale a prescindere dall’esame di coloro che tali dati hanno
acquisito.
Quanto alla esistenza delle autorizzazioni all’utilizzo del database dell’Anagrafe tributaria, la
questione, per la natura fattuale, andava semmai posta dinanzi al riesame e non può
comunque formare oggetto di doglianza in questa sede presupponendo verifiche di merito.
In ogni caso si deve evidenziare che è rimasta indimostrata la decisività della questione posto
che le interrogazioni all’anagrafe tributaria non sono certamente l’unico elemento di accusa,
come ben evidenziato dalla motivazione del provvedimento impugnato.

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