Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 42515 del 26/09/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 42515 Anno 2014
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: CAPRIOGLIO PIERA MARIA SEVERINA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CIA VARDINI LUIGI N. IL 29/09/1962
avverso l’ordinanza n. 5833/2013 TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA,
del 17/01/2014
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sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. CREMICE11532M;
lette/Mite le conclusioni del PG latte. ,,k;
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Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 26/09/2014

Ritenuto in fatto
1.

Con ordinanza del 17.1.2014 il Tribunale di Sorveglianza di Roma

rigettava l’istanza di affidamento in prova al servizio sociale avanzata da
CIAVARDINI Luigi, in espiazione della pena di anni trenta di reclusione di cui a
provvedimento di cumulo comprensivo delle condanne inflitte con quattro sentenze
per associazione con finalità di terrorismo ed eversione, reati concernenti le armi,
omicidio volontario, banda armata e strage , pena con termine previsto nel 2016.

(per l’omicidio dell’appuntato Evangelista , detto Serpico, e l’omicidio del pm Mario
Amato) il Ciavardini era stato ammesso all’affidamento in prova al servizio sociale,
con esito positivo, con il che la pena era stata dichiarata estinta; successivamente il
prevenuto aveva riportato condanna per partecipazione alla strage di Bologna,
divenuta definitiva solo nel 2007; le pene venivano nuovamente calcolate in un
provvedimento di cumulo, cosicchè Ciavardini usufruiva del beneficio della
semilibertà e della liberazione anticipata, per cui risultava dover espiare pena con
termine al 2016. Cionondimeno, il tribunale riteneva di non poter accedere
all’ammissione del prevenuto alla misura più ampia alternativa alla detenzione
richiesta, per una serie di fattori quali, 1) l’inaudita gravità dei reati commessi, 2)
l’atteggiamento di indifferenza manifestato nei confronti delle vittime, 3) l’assoluta
mancanza di resipiscenza, conclamata dal fatto che mai ebbe a manifestare una
volontà risarcitoria, neppure simbolica.

2.

Avverso tale decisione ha interposto ricorso per cassazione l’interessato,

pel tramite del difensore, per dedurre vizi motivazionali e violazione di legge:
sarebbe stato omesso di valutare -da parte del Tribunale- la relazione di sintesi in
data 2.1.2014, con cui si sottolineava la regolarità del comportamento tenuto dal
prevenuto nel corso del periodo di detenzione, ma anche il suo impegno nelle
iniziative svolte a favore dei detenuti; sarebbe stata omessa anche la valutazione
della relazione sull’indagine sociale che aveva messo in evidenza il percorso
rieducativo e di reinserimento sociale. L’istanza, secondo la difesa, non poteva
essere disattesa solo in considerazione della gravità dei crimini commessi
dall’istante, dovendosi considerare anche il percorso carcerario compiuto dal
Ciavardini, rimasto detenuto per venti anni e già in passato ammesso al beneficio
dell’affidamento in prova. Ancora la difesa lamenta che nel provvedimento non sia
stato effettuato un giudizio prognostico sull’esito della misura alternativa e che non
potevano precludere l’esito favorevole dell’istanza il solo fatto che l’interessato non
avesse ammesso le sue colpe e che non avesse risarcito le vittime, essendo
significativi del reinserimento soltanto i risultati dell’osservazione della personalità
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Il Tribunale evidenziava che nel 2000, dopo aver scontato le prime tre condanne

da cui possa emergere l’avvio del processo critico e la rimeditazione delle pregresse
esperienze, non potendosi prescindere dalla condotta tenuta dal condannato.

3.

Il Procuratore Generale ha chiesto, con motivato parere, di rigettare il

ricorso.
4.

Medio tempore è stata depositata memoria dalla difesa del Ciavardini per

confutare il parere motivato espresso dal Procuratore Generale e per puntualizzare

che nelle relazioni agli atti è stato espresso un parere decisamente favorevole per la
prosecuzione del percorso trattamentale nelle forme del’affidamento in prova al
servizio sociale. E’ stato ribadito che già l’affidamento in prova fu concesso nel
lontano 2000, con esito estintivo della pena e che nei periodi di libertà dal 2001 al
2006 il ricorrente non diede adito a rilievi.

Considerato in diritto.

Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
Nessun appunto in termini di contraddittorietà o illogicità può essere mosso al
discorso giustificativo del provvedimento impugnato che, pur dando ampia contezza
di una felice esperienza di affidamento in prova al servizio sociale nell’anno 2000,
ha doverosamente messo in evidenza due profili significativi di non compiuta
revisione critica, tanto più rilevanti se solo si consideri, da un lato, l’efferatezza dei
plurimi reati che furono ritenuti compiuti dall’interessato e, dall’altro, il lungo tempo
trascorso dall’inizio del percorso riabilitativo sviluppatosi in varie forme, che
avrebbe dovuto completare il processo di maturazione del condannato.
Va premesso che è stato affermato da questa Corte di legittimità che la valutazione
della richiesta di affidamento in prova, pur partendo dalla considerazione della
natura e della gravità dei reati, per i quali è stata irrogata la pena in espiazione,
non può mai prescindere dalla condotta tenuta dal condannato dopo la commissione
del reato e dai suoi comportamenti attuali, risultando questi essenziali ai fini della
verifica circa l’esistenza di un effettivo processo di recupero sociale e della
prevenzione del pericolo di recidiva e circa l’idoneità della misura alternativa; non
può nemmeno pretendersi, in senso positivo, la prova che il soggetto sia già
pervenuto alla completa revisione critica del proprio passato, essendo sufficiente
che dai risultati dell’osservazione della personalità emerga l’avvio del processo
critico e la rimeditazione delle pregresse esperienze.
Il Tribunale ha opportunamente messo in evidenza come il Ciavardini non
ebbe mai ad ammettere le sue colpe, il che è assolutamente legittimo, ma è
certamente significativo di un’evidente difficoltà di riconciliazione sociale, se solo si
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ha riguardo al suo passato davvero oscuro in cui in nome di un’ideologia vennero
uccisi miratamente servitori dello stato (Amato ed Evangelista) ed
indiscriminatamente una pluralità di cittadini (strage di Bologna), tanto da aver
accumulato un elevato numero di pronunce di condanna. Tale profilo di per sé
sarebbe peraltro insufficiente, secondo l’insegnamento di questa Corte -orientato a
non condizionare all’ammissione delle colpe la prognosi, atteso il diritto
riconosciuto, anche in fase di esecuzione, a ciascuno di protestarsi innocente- se

attitudine dimostrativa del percorso di reintegrazione, correttamente compiuta dai
giudici a quibus. Trattasi della valutazione sul modo che l’interessato ha dimostrato
negli anni di rapportarsi nei confronti della vittime del reato, nei confronti cioè della
moltitudine di persone che egli ha contribuito a pesantemente colpire nei loro affetti
più cari: tale valutazione sicuramente più penetrante e maggiormente dimostrativa
della effettività della volontà di riconciliazione, rispetto ai risultati del percorso
seguito nell’ambito delle numerose iniziative in cui venne inserito il Ciavardini negli
anni in cui fu ammesso alle misure alternative alla detenzione, non ha consentito di
apprezzare elementi di favore, atteso che il Tribunale ha dato atto che il prevenuto
non solo non ebbe mai ad esprimere il suo personale disagio nei confronti delle
numerose vittime dei reati commessi in gioventù, ma neppure operò mai tentativi
di ristoro anche solo simbolici con alcuno. Detto percorso valutativo deve ritenersi
ancorato a parametri concretamente significativi -più di ogni altro- della evoluzione
di un processo di maturazione effettivo e di distacco da logiche criminali intraprese
con troppa convinzione in minore età e che ad età avanzata richiedono una più
marcata presa di distanza. La gravità delle lacerazioni che la condotta del Ciavardini
ha provocato nel tessuto sociale -tali da costituire un caso molto particolare, non
assimilabile a molti altri- ha correttamente portato il Tribunale ad operare con la
massima cautela ed a pretendere elementi più concreti a dimostrazione della
prosecuzione, se non della completezza, del percorso rieducativo. A poco rileva il
fatto che in passato, nel lontano 2000 e prima di essere stato condannato in via
definitiva per la strage di Bologna, il Ciavardini sia stato ammesso alla misura
alternativa alla detenzione oggi richiesta, posto che la valutazione deve rapportarsi
alla realtà fenomenica del momento, che vede oggi una nuova condanna inflitta per
fatti di inaudita gravità ed un processo di maturazione più avanzato negli anni e che
quindi porta a pretendere una esplicita presa di distanza dai fatti per ritenersi in
stato avanzato il percorso rieducativo. Né deve essere valorizzato il dato secondo
cui l’obbligazione risarcitoria può essere decisiva in senso negativo, ove non
adempiuta, solo là dove sia stata esplicitamente imposta, atteso che l’art. 47 Ord.
pen. non richiede e non include tra i presupposti indefettibili per l’applicazione
dell’istituto l’avvenuto risarcimento del danno in favore della parte lesa del reato,

non fosse accompagnato dall’esito di una valutazione più profonda, con maggiore

mentre l’intervenuto risarcimento va comunque valutato quale elemento favorevole
ed indicativo della presa di coscienza da parte del condannato delle conseguenze
delle proprie azioni e della volontà di porvi rimedio; invero, se non verificatosi, tale
mancanza non è in sé ostativa all’ammissione all’affidamento solo se gli altri
elementi di valutazione indichino la praticabilità dell’esperimento e l’idoneità della
misura a conseguire gli obiettivi cui è diretta. Nel caso di specie, il Tribunale più
che la mancanza di ristoro economico ( sicuramente di difficilissima attuazione) ha

una significativa rimeditazione della professata ideologia e delle pregresse
esperienze criminali, di un atto di solidarietà nei confronti delle vittime. Mancanza
che è stata ritenuta indicativa di perduranti esigenze cautelari, che non
consentono l’adozione della più ampia misura alternativa alla detenzione, rispetto a
quella della semilibertà, attualmente in atto.
Il tessuto motivazionale non presenta strappi di natura logica, né forzature dei
parametri normativi di riferimento, correttamente interpretati alla luce
dell’insegnamento impartito da questa Corte.
Al rigetto del ricorso deve seguire la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali.

p.q.m.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, addì 26 Settembre 2014.

comunque ravvisato e deplorato l’assoluta mancanza di una presa di distanza, di

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