Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 42510 del 23/09/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 42510 Anno 2014
Presidente: ZAMPETTI UMBERTO
Relatore: CENTONZE ALESSANDRO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BARRECA FILIPPO N. IL 09/10/1956
avverso l’ordinanza n. 9/2011 CORTE ASSISE APPELLO di REGGIO
CALABRIA, del 13/11/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALESSANDRO
CENTONZE;
e
lite/se-4;44e le conclusioni del PG Dott.
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Uditi difensor Avv.; /

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Data Udienza: 23/09/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza emessa il 13 novembre 2013 la Corte di Appello di Reggio
Calabria, in funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza proposta da
Filippo Barreca con cui si chiedeva la sostituzione della pena dell’ergastolo,
inflittagli con sentenza emessa dalla stessa corte il 23 giugno 2000, divenuta
irrevocabile il 13 giugno 2001, con quella di anni trenta di reclusione.
Il ricorrente, in particolare, aveva richiesto, fondandosi sull’interpretazione

Scoppola contro Italia e sulla conseguente giurisprudenza di legittimità, che la
pena dell’ergastolo inflittagli fosse commutata in quella di anni trenta di
reclusione, avendo formulato in appello richiesta di rito abbreviato, ai sensi
dell’art. 4 ter della legge 5 giugno 2000, n. 144, che gli veniva rigettata.
Il giudice dell’esecuzione, tuttavia, rilevava che il caso di specie era
differente e non assimilabile a quello deciso in sede comunitaria, in quanto il
ricorrente non era stato ammesso al rito abbreviato per ragioni inerenti allo stato
del dibattimento di appello, essendo stata formulata la sua richiesta, all’udienza
del 12 giugno 2000, dopo la chiusura della rinnovazione dell’istruttoria
dibattimentale.
In ogni caso, non si poteva attribuire alle decisioni dell’organo
sovranazionale efficacia normativa generale o effetto estensivo ai casi analoghi,
in difetto di strumenti processuali che consentissero in tali ipotesi di superare il
giudicato.

2. Questa ordinanza veniva impugnata con ricorso per cassazione dai due
difensori di fiducia del Barreca, i cui motivi vengono, qui di seguito, esposti
separatamente.
L’avv. Fabio Federico, quale primo motivo, eccepiva la violazione di legge in
relazione all’art. 4 ter della legge n. 144 del 2000, perché il ricorso del suo
assistito era stato rigettato dalla Corte di Assise di Appello di Reggio Calabria
avuto riguardo alle peculiarità del giudizio abbreviato, compiendo una
valutazione discrezionale estranea al rito speciale e dando origine a un’illogica
disparità di trattamento rispetto a imputati che si trovavano in condizioni
analoghe; quale secondo motivo si eccepiva la violazione di legge con riferimento
all’art. 7 CEDU, richiamandosi i principi affermati dalla Corte europea dei diritti
dell’uomo nella sentenza Scoppola contro Italia, la cui interpretazione imponeva
di applicare, in termini generali e astratti, l’art. 4 ter, onde evitare ingiustificate
sperequazioni processuali.

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dell’art. 7 CEDU fornita dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nel caso

L’avv. Marcello Manna, quale unico motivo, eccepiva la violazione di legge in
relazione all’art. 4 ter della legge n. 144 del 2000, non potendosi ritenere il
Barreca decaduto dal potere di chiedere il rito abbreviato all’udienza del 12
giugno 2000, in quanto il dibattimento di appello, al momento della richiesta,
non era concluso, essendo prevista, per quella stessa data, l’ultima udienza
riservata agli interventi delle parti.

1. Il ricorso proposto nell’interesse di Filippo Barreca è infondato e come
tale deve essere dichiarato inammissibile, dovendosi ritenere le argomentazioni
sostenute nell’ordinanza impugnata condivisibili.
Deve rilevarsi che il Barreca, sottoposto a processo per reato punibile con
l’ergastolo, formulava richiesta di giudizio abbreviato in sede dibattimentale di
appello, all’udienza del 12 giugno 2000, che gli veniva rigettata dalla Corte di
Appello di Reggio Calabria, in quanto era stata formulata dopo la chiusura della
rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale. Ne consegue che la richiesta di rito
alternativo del ricorrente era stata formulata nella vigenza della legge 16
dicembre 1979, n. 479 e prima dell’entrata in vigore del d.l. 24 novembre 2000,
n. 341.
In questo ambito normativo, deve preliminarmente evidenziarsi che, sui
profili interpretativi sollevati dal ricorrente e oggetto della presente decisione,
sono intervenute due fondamentali decisioni delle Sezioni unite di questa Corte,
che hanno affrontato in modo esaustivo le varie questioni sottese ai motivi del
ricorso, alle quali il Collegio ritiene di doversi conformare senza riserve (cfr. Sez.
un., n. 34233 del 19/04/2012, Giannone, Rv. 252932; Sez. un., n. 34472 del
19/04/2012, Ercolano, Rv. 252933).
Sulla scorta di questi parametri interpretativi deve, innanzitutto,
evidenziarsi, che, secondo quanto affermato nella citata sentenza Ercolano, le
pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo che evidenziano «una
situazione di oggettivo contrasto della normativa interna sostanziale con la
Convenzione EDU assumono rilevanza anche nei processi diversi da quello
nell’ambito del quale è intervenuta la pronuncia della predetta Corte» (cfr. Sez.
un., n. 34472 del 19/04/2012, Ercolano, Rv. 252933).
Occorre, inoltre, evidenziare, quanto alla determinazione della pena, che
la previsione dell’art. 442 cod. proc. pen. deve essere ritenuta norma di diritto
materiale, conformemente a quanto statuito nella decisione del caso Scoppola
contro Italia, correttamente richiamata in tema di interpretazione dell’art. 7
CEDU nell’ordinanza impugnata.
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RITENUTO IN DIRITTO

Occorre, ulteriormente, evidenziare che è ormai pacifico come idoneo
strumento di eventuale adeguamento interno, al fine di garantire concreta
applicazione al principio della legalità della pena anche sua valenza
convenzionale, sia quello dell’incidente di esecuzione previsto dall’art. 670 cod.
proc. pen., nell’ambito del quale superare il giudicato. Tale impostazione tiene
conto delle pronunce della Corte Costituzionale intervenute sul tema e dei
principi della Carta dei diritti dell’uomo espressi in sede giurisdizionale
comunitaria.

concreto a tali principi nel diritto interno, nei termini e nelle forme suddette, può
essere ricondotto solo ai casi che si trovino in una situazione identica e
sovrapponibile a quella esaminata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, nel
caso Scoppola contro Italia, che si è espressamente richiamata nel ricorso
introduttivo del presente procedimento.
Si consideri, in proposito, il passaggio della citata sentenza Giannone, che
così si esprime: «L’operatività di tale regola LI con specifico riferimento alla
disciplina del giudizio abbreviato, non può essere ancorata, per individuare la
disposizione che prevede la pena più mite, al mero dato formale delle diverse
leggi succedutesi tra la data di commissione dei reati e la pronuncia della
sentenza definitiva, ma presuppone la coordinazione di tale dato, di per sé
neutro, con le modalità e con i tempi di accesso al rito, perché da essi
direttamente deriva, in base alla legge vigente, il trattamento sanzionatorio da
applicare» (cfr. Sez. un., n. 34233 del 19/04/2012, Giannone, Rv. 252932).
Nella stessa pronuncia si afferma ancora che l’applicazione della disciplina
del giudizio abbreviato al caso di specie costituisce una “fattispecie complessa
integrata”, nella quale la natura sostanziale del trattamento sanzionatorio
applicato deve essere di necessità collegata alle modalità e ai tempi del rito
speciale, così come si è articolato nella vicenda processuale oggetto di
cognizione.

In questa cornice sistematica, deve tuttavia rilevarsi che l’adeguamento

In questi termini, deve affermarsi la concreta inapplicabilità del principio
discendente dalla sentenza della Corte europea dei diritti dei diritti dell’uomo
intervenuta il 17 settembre 2009 nel caso Scoppola contro Italia a tutte quelle
situazioni che non siano sovrapponibili, nei loro elementi essenziali, secondo lo
schema sopra illustrato, alla situazione valutata dalla stessa Corte
sovranazionale.
Ne discende che, richiamando quanto statuito nella citata sentenza
Giannone, la conversione della pena dell’ergastolo in quella degli anni trenta di
reclusione è possibile, in sede esecutiva, solo per le ipotesi in cui il rito
abbreviato sia stato chiesto e sia stato ammesso nell’arco temporale compreso
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tra il 2 gennaio e il 24 novembre 2000, nella vigenza dell’art. 30, comma 1, lett.
b), della legge n. 479 del 1999, secondo il quale, in esito al rito speciale,
all’ergastolo si sostituiva la pena di anni trenta di reclusione; mentre, la
decisione definitiva sia stata pronunciata dopo il 24 novembre 2000, con
applicazione del d.l. n. 341 del 2000, che ripristinava l’ergastolo senza
isolamento diurno, con l’applicazione di un trattamento sanzionatorio sfavorevole
al reo in violazione dell’art. 2, comma 4, cod. pen.
In tale ambito, occorre ulteriormente precisare che il principio di

Corte europea dei diritti dell’uomo discende da quello di legalità e possiede un
campo di operatività meno esteso di quello che il nostro ordinamento riserva
all’art. 2, comma 4, cod. pen. Questa previsione, infatti, richiama ogni
disposizione successiva alla commissione del fatto e più favorevole al reo, in
quanto incidente sul trattamento riservato al medesimo, laddove la norma
convenzionale, nell’interpretazione della Corte, ha una portata più circoscritta,
limitata alle sole norme che prevedono i reati e le relative sanzioni, in coerenza
con il riferimento che le stesse Sezioni unite fanno alle fonti internazionali e
comunitarie (cfr. Sez. un., n. 34472 del 19/04/2012, Ercolano, Rv. 252933).
Occorre, infine, che la richiesta di rito abbreviato sia stata proposta
conformemente alla previsione dell’art. 4 ter della legge n. 144 del 2000, che ha
introdotto una disciplina intertemporale finalizzata a individuare i momenti oltre i
quali la richiesta di abbreviato proposta dopo l’entrata in vigore della legge n.
479 del 1999 non può essere formulata, cui ci si deve necessariamente
conformare.
Tutti i casi diversi da quello appena delineato, siccome strutturalmente
non riconducibili a quello per cui è stato espresso il principio, non possono
trovare soluzione positiva.

2. Tenuto conto dei parametri che si sono richiamati e prendendo le mosse
dalle doglianze avanzate dall’avv. Fabio Federico, occorre evidenziare che il
ricorso proposto nell’interesse di Filippo Barreca non è meritevole di
accoglimento, riguardando una situazione processuale non assimilabile a quella
decisa in sede comunitaria nel caso Scoppola contro Italia e non dando origine
ad alcuna violazione dell’art. 7 CEDU.
Si consideri, quanto al primo motivo del ricorso proposto dall’avv.
Federico, che la richiesta di rito alternativo veniva formulata, nel giudizio di
appello, all’udienza del 12 giugno 2000, dopo l’entrata in vigore dell’art. 30 del
d.l. n. 341 del 2000, così come reinterpretato dell’art. 4 ter della legge n. 144
del 2000, ma la sentenza definitiva del processo veniva emessa il 23 giugno
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retroattività in mitius, secondo l’interpretazione dell’art. 7 CEDU fornita dalla

2000, in epoca antecedente all’entrata in vigore del d.l. n. 341 del 2000, con la
conseguenza la vicenda esorbita dai parametri temporali nei quali le Sezioni
unite hanno confinato la conversione dell’ergastolo in anni trenta di reclusione,
prefigurata in sede comunitaria nel rispetto dell’art. 7 CEDU e nei soli limiti
applicativi del principio di retroattività in mitius (cfr. Sez. un., n. 34233 del
19/04/2012, Giannone, Rv. 252932; Sez. un., n. 34472 del 19/04/2012,
Ercolano, Rv. 252933).
A tutto questo si aggiunga che, per le ragioni che si sono esposte, non è

sentenza del caso Scoppola contro Italia, al contrario di quanto affermato
dall’avv. Federico nel suo secondo motivo di ricorso, in ragione del fatto che è la
stessa natura di “fattispecie complessa integrata” richiamata dalle Sezioni unite,
a impedire una siffatta interpretazione dei principi comunitari, in quanto il
trattamento sanzionatorio applicabile deve essere collegato alle modalità e ai
tempi della proposizione del rito speciale nella vicenda processuale di volta in
volta esaminata (cfr. Sez. un., n. 34233 del 19/04/2012, Giannone, Rv.
252932).

3. Le considerazioni esposte nel paragrafo precedente, di per sé sole,
rendono evidente l’infondatezza del ricorso proposto nell’interesse del Barreca,
pur dovendosi conto dare delle ulteriori censure proposte dall’avv. Marcello
Manna, parimenti destituite di fondamento processuale.
Eccepiva, in particolare, questo difensore la violazione dell’art. 4 ter della
legge n. 144 del 2000, non potendosi ritenere il Barreca decaduto dal potere di
chiedere il rito abbreviato all’udienza del 12 giugno 2000, in quanto il
dibattimento di appello, in quel momento, non era concluso, essendo prevista
l’ultima udienza riservata agli interventi delle parti.
Tuttavia, la lettura degli atti, correttamente eseguita in sede di
esecuzione dalla Corte di Assise di Appello di Reggio Calabria, evidenzia una

ipotizzabile un’applicazione generalizzata e astratta dei principi contenuti nella

situazione processuale differente, in quanto la fase dell’istruttoria dibattimentale
rinnovata in appello era già conclusa all’udienza del 12 giugno 2000, tanto è vero
che le precedenti udienze del 20 aprile, 11, 17, 18, 19 maggio erano state
riservate agli interventi conclusivi delle parti. Conclusa tale fase, infine, la corte
di assise di appello si ritirava in camera di consiglio per deliberare all’udienza del
22 giugno 2000, pronunciando il dispositivo il successivo 23 giugno.
Ne discende che la richiesta di giudizio abbreviato proposta dal Barreca
era stata formulata dopo la chiusura della rinnovazione dell’istruttoria
dibattimentale di appello e, per tale motivo, era stata legittimamente rigettata
dalla corte di assise di appello, che aveva correttamente applicato l’art. 4 ter,
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lett. b), della legge n. 144 del 2000, secondo il quale, a seguito dell’entrata in
vigore della legge n. 479 del 1999, nei giudizi di secondo grado, la richiesta di
ammissione poteva essere proposta qualora fosse stata disposta la rinnovazione
dell’istruttoria, ma prima della sua conclusione.
Il ricorrente, pertanto, non aveva maturato il diritto a essere ammesso al
giudizio abbreviato, avendo formulato la sua richiesta di un momento successivo
a quello previsto dall’art. 4

ter,

lett. b), della legge n. 144 del 2000,

imponendone il rigetto, conformemente alla ricostruzione formulata

Anche sotto questo ulteriore profilo, dunque, il diniego di ammissione al
rito abbreviato e la condanna alla pena dell’ergastolo inflitta al Barreca non
possono ritenersi sovrapponibili alla vicenda processuale esaminata dalla Corte
europea dei diritti dell’uomo nel caso Scoppola contro Italia, imponendo di
dichiarare inammissibile il ricorso.

4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di
esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, congruamente
determinabile, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., in 1.000,00 euro.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di 1.000,00 euro alla Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 23 settembre 2014.

nell’ordinanza impugnata.

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