Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 42444 del 01/07/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 42444 Anno 2014
Presidente: CARMENINI SECONDO LIBERO
Relatore: IASILLO ADRIANO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
ROSONE GRAZIANO N. IL 15/12/1964
avverso la sentenza n. 670/2010 CORTE APPELLO di L’AQUILA, del
18/01/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ADRIANO IASILLO;

Data Udienza: 01/07/2014

Rosone Graziano
N.R.G. 45144/2013
Considerato che:
Rosone Graziano ricorre avverso la sentenza, in data 18.01.2013, della
Corte di Appello di L’Aquila, che in riforma della sentenza di primo grado, con
la quale è stato condannato per truffa e falso, ridusse la pena in quella di

mesi 5 e giorni 20 di reclusione ed Euro 300,00 di multa e sostituì la pena
detentiva con la pena di Euro 6.460,00 e così determinando
complessivamente la pena di Euro 6.760,00 di multa. L’Imputato
chiedendone l’annullamento, osserva genericamente che la querela è tardiva
e vi è carenza di motivazione sul diniego delle attenuanti generiche e sulla
congruità della pena.
L’eccezione di tardività della querela è manifestamente infondata.
Infatti, l’affermazione del ricorrente sul punto è del tutto apodittica. Invero non
produce alcun documento o altro elemento che comprovi quanto affermato in
ordine alla data dell’effettiva conoscenza del reato commesso, da parte del
querelante; né si può ricavare alcun elemento sul punto dalla sentenza
impugnata essendo stata tale doglianza presentata per la prima volta innanzi
a questa Corte. Sul punto si deve ricordare che è inammissibile il ricorso per
cassazione che deduca il vizio di manifesta illogicità della motivazione e, pur
richiamando atti specificamente indicati, non contenga la loro integrale
trascrizione o allegazione, così da rendere lo stesso autosufficiente con
riferimento alle relative doglianze (Sez. 2, Sentenza n. 26725 del 01/03/2013
Ud. – dep. 19/06/2013 – Rv. 256723).
Il resto del ricorso è privo della specificità, prescritta dall’art. 581, lett.
c), in relazione all’ad 591 lett. c) c.p.p., a fronte delle motivazioni svolte dal
giudice d’appello, che non risultano viziate da illogicità manifeste e sono
esaustive avendo risposto correttamente a tutte le doglianze contenute
nell’appello.
Infatti, incensurabile è la motivazione con la quale la Corte di merito
conferma il giudizio di comparazione tra aggravanti e attenuanti e ritiene la
congruità della pena.

1

Questa suprema Corte ha più volte affermato, in proposito, che ai fini
dell’applicabilità delle circostanze attenuanti generiche (62 bis c.p.) e/o per il
giudizio di comparazione di cui all’art. 69 cod. pen., il Giudice deve riferirsi ai
parametri di cui all’art. 133 del codice penale, ma non è necessario, a tale
fine, che li esamini tutti, essendo sufficiente che specifichi a quale di essi ha
inteso fare riferimento. (Si veda ad esempio Sez. 2, Sentenza n. 2285 del
11/10/2004 Ud. – dep. 25/01/2005 – Rv. 230691).

La Corte di appello ha, inoltre, ben evidenziato gli elementi che le
hanno fatto ritenere la pena irrogata congrua. In proposito questa Suprema
Corte ha più volte affermato il principio — condiviso dal Collegio – che la
determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo edittale
rientra nell’ampio potere discrezionale del giudice di merito, il quale assolve il
suo compito anche se abbia valutato globalmente gli elementi indicati nell’art.
133 cod. pen. (Sez. 4, Sentenza n. 41702 del 20/09/2004 Ud. – dep.
26/10/2004 – Rv. 230278).
A fronte di quanto sopra il ricorrente contrappone solo contestazioni,
che non tengono conto delle argomentazioni del Corte di appello.
In proposito questa Suprema Corte ha più volte affermato il principio,
condiviso dal Collegio, che è inammissibile il ricorso per cassazione quando
manchi l’indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla
decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto di impugnazione,
che non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato, senza
cadere nel vizio di aspecificità, che conduce, ex art. 591, comma primo, lett.
c), cod. proc. pen. all’inammissibilità del ricorso (Si veda fra le tante: Sez. 1,
sent. n. 39598 del 30.9.2004 – dep. 11.10.2004 – rv 230634).
Uniformandosi a tali orientamenti, che il Collegio condivide, va
dichiarata inammissibile l’impugnazione.
Ne consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in
favore della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di
colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1.000,00.

PQM

2

2

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa
delle ammende.

Il Consigliere estensore
Dottor Adriano lasillo
‘’ee,

Presidente
Dotto V.ndo Libero Carmenini

Così deliberato in camera di consiglio, il 01107/2014

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