Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4242 del 08/01/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 4242 Anno 2015
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: LOMBARDO LUIGI GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI
MESSINA
nei confronti di:
CRISAFULLI ALESSANDRO N. IL 18/08/1982
inoltre:
CRISAFULLI ALESSANDRO N. IL 18/08/1982
avverso la sentenza n. 1769/2013 CORTE APPELLO di MESSINA, del
23/04/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 08/01/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. LUIGI GIOVANNI LOMBARD
Udito il Procuratore Geperale in person delDt
che ha concluso per jL Q. P
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Data Udienza: 08/01/2015

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO
1. Il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Messina e
Crisafulli Alessandro ricorrono – ciascuno per proprio conto – per
cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello di Messina del 23
aprile 2014, che ha confermato la pronuncia del G.I.P. del locale
Tribunale, con la quale – in esito a giudizio abbreviato – il Crisafulli è

dall’art. 7 D.L. n. 152/1991, commessa in danno di un imprenditore
commerciale di Barcellona-Pozzo di Gotto (Pernice Giulia Maria, titolare di
una concessionaria automobilistica), avvalendosi delle condizioni previste
dall’art. 416 bis cod. pen.
2. Crisafulli propone tre motivi di ricorso.
2.1. Col primo motivo di ricorso, deduce l’inosservanza e l’erronea
applicazione della legge, nonché il vizio della motivazione della sentenza
impugnata con riferimento alla ritenuta responsabilità dell’imputato.
Deduce, in particolare, il travisamento del fatto, adducendo la mancata
prova della consapevolezza del Crisafulli che la dazione di denaro da
parte della Pernice fosse conseguenza di una richiesta estorsiva posta in
essere con metodo mafioso; e deduce ancora la insussistenza
dell’aggravante di cui all’art. 7 D.L. n. 152/1991 riferita alla condotta
ascrivibile all’imputato.
La censura è inammissibile, in quanto sottopone alla Corte profili
relativi al merito della valutazione delle prove, che sono insindacabili in
sede di legittimità, quando – come nel caso di specie – risulta che i
giudici di merito hanno esposto in modo ordinato e coerente le ragioni
che giustificano la loro decisione (sottolineando, tra l’altro, come la
condotta dell’imputato, seppure limitata alla sola riscossione della
somma, risulti strettamente legata alle richieste estorsive; tanto è vero
che il Crisafulli non ebbe bisogno, presentandosi alla imprenditrice, di
proferire parola per ottenere le somme estorte, collegando così la sua
condotta alle richieste estorsive poste in essere con tipico metodo
mafioso), sicché deve escludersi tanto la mancanza quanto la manifesta
illogicità della motivazione, vizio quest’ultimo che, per essere deducibile
nel giudizio di cassazione, deve essere «di macroscopica evidenza»,

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stato condannato alle pene di legge per il delitto di estorsione aggravata

«percepibile “ictu ocu/i”» (cfr. Cass., sez. un., n. 24 del 24.11.1999 Rv
214794; Sez. un., n. 47289 del 24/09/2003 Rv. 226074), ciò che – nel
caso di specie – deve senz’altro escludersi.
2.2. Col secondo motivo di ricorso, deduce l’inosservanza e l’erronea
applicazione della legge, nonché il vizio della motivazione della sentenza
impugnata con riferimento alla ritenuta sussistenza dell’aggravante di cui

commerciali della concessionaria di automobili costituirebbero “luogo di
privata dimora” ai sensi dell’art. 624 bis cod. pen. e non potrebbe
costituire luogo di privata dimora neppure l’ufficio della p.o., in quanto il
Crisafulli vi avrebbe fatto accesso su invito della stessa, per di più in
orario di apertura al pubblico dei locali.
La censura è manifestamente infondata.
L’imputato per riscuotere la somma oggetto della estorsione si
introdusse nell’ufficio privato della imprenditrice. L’ufficio di privato di
un’azienda costituisce luogo di provata dimora, in quanto il soggetto che
ne dispone ha la titolarità dello jus excludendi alios a tutela della
riservatezza inerente alla sua attività lavorativa (Sez. 6, n. 49533 del
29/09/2003 Rv. 227835). Né può aver rilevo il fatto che la p.o. abbia
invitato l’imputato a entrare nel detto ufficio, in quanto – secondo la
giurisprudenza di questa Corte – ai fini della circostanza aggravante di cui
all’art. 628, terzo comma, n. 3 bis cod. pen. è irrilevante che la vittima
abbia o meno prestato il consenso all’ingresso nel luogo di privata dimora
(Sez. 2, n. 48584 del 14/12/2011 Rv. 251756).
2.3. Col terzo motivo di ricorso, deduce l’inosservanza e l’erronea
applicazione della legge, nonché il vizio della motivazione della sentenza
impugnata con riferimento al diniego delle circostanze attenuanti
generiche.
La censura è inammissibile, avendo la Corte motivato in modo non
manifestamente illogico il detto diniego con riferimento alle modalità della
condotta, alla natura del reato e alla pericolosità dell’imputato.
Sul punto, va ricordato il principio espresso più volte da questa Corte
secondo cui la concessione o meno delle circostanze attenuanti generiche
è oggetto di un giudizio di fatto, insindacabile in cassazione, ove motivato

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all’art. 628 comma 3 n. 3-bis cod. pen. Deduce, in particolare, che i locali

in modo congruo e non contraddittorio (Sez. 6, n. 42688 del 24/9/2008,
Rv. 242419; Sez. 2, n. 3609 del 18/1/2011, Rv. 249163); questa stessa
Corte ha peraltro statuito che, nel motivare il diniego della concessione
delle attenuanti generiche, non è necessario che il giudice prenda in
considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle
parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a

superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 6, n. 34364 del 16/6/2010,
Rv. 248244).
3. Il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Messina, col
proprio ricorso, formula un’unica censura, con la quale deduce il vizio
della motivazione della sentenza impugnata, con riferimento alla
riduzione della pena operata dalla Corte territoriale, che sarebbe in
contraddizione con la gravità del fatto e con la pericolosità sociale
dell’imputato ritenute dalla stessa Corte.
Anche questa doglianza è inammissibile, perché sottopone alla Corte
profili relativi al merito del giudizio, che sono insindacabili in sede di
legittimità in presenza di una motivazione che – come nel caso di specie
– non è manifestamente illogica.
Va ricordato che – secondo la giurisprudenza di questa Corte – la
graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito,
che la esercita in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod.
pen.; ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di
cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la
cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento
illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (Sez. 5, n. 5582 del
30/09/2013 Rv. 259142).
4. Alla stregua di quanto sopra, entrambi i ricorsi devono essere
dichiarati inammissibili e l’imputato va condannato al pagamento delle
spese processuali, nonché – considerati i profili di colpa – al versamento
della sanzione pecuniaria determinata equitativamente come in
dispositivo.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione

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quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o

dichiara inammissibili i ricorsi; condanna il Crisafulli al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di euro mille alla Cassa
delle ammende.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione

Penale, addì 8 gennaio 2015.

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