Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 42410 del 25/05/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 42410 Anno 2015
Presidente: ZAZA CARLO
Relatore: MICHELI PAOLO

SENTENZA

sul ricorso proposto nell’interesse di
Chiavalin Mario, nato a Treviso il 04/12/1963
avverso la sentenza emessa dal Gup del Tribunale di Padova in data 29/04/2014
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
lette le conclusioni del Procuratore generale presso questa Corte, nella persona
del Dott. Massimo Galli, che ha richiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso

RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza indicata in epigrafe, il Gup del Tribunale di Padova – in
accoglimento di una richiesta presentata ai sensi dell’art. 444 del codice di rito applicava a Mario Chiavalin, imputato in ordine a reati di cui agli artt. 216,
comma primo, nn. 1 e 2, legge fall., la pena di mesi 6 di reclusione; tale
trattamento sanzionatorio veniva computato quale aumento, ex art. 81 cpv. cod.
pen., sulla pena irrogata allo stesso Chiavalin in forza di ulteriori e precedenti

Data Udienza: 25/05/2015

pronunce (ritenendo che tutti i reati oggetto delle decisioni pregresse fossero
stati commessi in esecuzione del medesimo disegno criminoso rispetto a quello
che aveva animato il prevenuto in occasione degli anzidetti fatti di bancarotta).
La pena complessiva inflitta con le sentenze de quibus veniva così rideterminata,
tenendo conto anche dell’ultimo aumento, in anni 3 e mesi 8 di reclusione.

2. Propone ricorso per cassazione il difensore del Chiavalin, deducendo
inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 99, comma quarto, cod. pen. e

Secondo il ricorrente, il Gup avrebbe dovuto escludere la recidiva reiterata
ed infraquinquennale (contestata all’imputato), di cui la stessa istanza di
applicazione della pena sopra ricordata aveva segnalato l’insussistenza, con
argomenti poi ribaditi in una successiva memoria. In particolare, il Chiavalin
non era mai stato formalmente dichiarato recidivo in occasione delle precedenti
pronunce emesse a suo carico, né si trovava nelle condizioni soggettive per
essere dichiarato tale (aver riportato una prima condanna, ed una successiva
inerente un fatto commesso dopo il passaggio in giudicato dell’altra) il che
rendeva non ravvisabile l’ipotesi della recidiva reiterata: tant’è che, all’atto di
altra sentenza pronunciata nei confronti del prevenuto dal Gup del Tribunale di
Venezia, in una situazione identica rispetto a quella verificatasi nella fattispecie
concreta, la recidiva de qua – analogamente contestata – era stata esclusa.
La difesa lamenta altresì che il giudicante avrebbe disatteso i termini
dell’accordo intervenuto fra le parti, dove il computo del trattamento
sanzionatorio (peraltro conseguente ad una prima sollecitazione del Gup affinché
venisse rivista in peius l’entità della pena indicata in aumento) dava conto
espressamente della previa esclusione, o comunque disapplicazione, della
recidiva ex art. 99, comma quarto, cod. pen., non sussistendone le condizioni.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deve considerarsi inammissibile, per manifesta infondatezza dei
motivi di doglianza.
Innanzi tutto, è necessario rilevare che nel corpo dell’atto di impugnazione si
evidenzia espressamente che il giudicante «ha applicato la pena in aumento ex
art. 81 cpv. cod. pen. nella misura corrispondente alla richiesta formulata dalle
parti».

Nulla quaestio, pertanto, circa l’esatta ratifica ad opera del Gup del

risultato del computo oggetto dell’accordo negoziale, che certamente si risolveva
in una pena non illegale: né, tenuto conto di tale premessa, il ricorrente
evidenzia specifici profili di interesse all’odierna impugnazione.

2

mancanza della motivazione.

Inoltre, vero è che in tema di applicazione di pena su richiesta – in linea di
principio – «al giudice non è consentito di modificare unilateralmente i termini
dell’accordo intervenuto fra le parti, in quanto verrebbe meno la base
consensuale su cui questo si fonda» (Cass., Sez. II, n. 18044 del 07/04/2004,
Pappaterra, Rv 229049), ma ciò non può dirsi in alcun modo avvenuto nel caso
di specie, atteso che il controllo del giudice deve avere per oggetto la correttezza
e congruità della pena definita dalle parti, e l’eventuale previsione esplicita od
esclusione di una circostanza non abbisogna di specifica motivazione, data la

di rito (v. Cass., Sez. I, n. 10067 del 12/02/2014, Taga, dove si è affermata, in
applicazione degli stessi principi, l’inammissibilità di un ricorso del P.M. avverso
una sentenza di patteggiamento per mancata applicazione della recidiva
formalmente contestata, situazione che determina un sostanziale recesso
dall’accordo).

2. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., segue la condanna del Chiavalin al
pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa
nella determinazione della causa di inammissibilità, in quanto riconducibile alla
volontà del ricorrente (v. Corte Cost., sent. n. 186 del 13/06/2000) – al
versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di € 1.500,00,
così equitativamente stabilita in ragione dei motivi dedotti.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso, e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di € 1.500,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso il 25/05/2015.

peculiare natura della sentenza emessa nelle forme di cui all’art. 444 del codice

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