Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4240 del 07/01/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 4240 Anno 2015
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

SENTENZA
Sul ricorso proposto nell’interesse di Ranieri Antonio, n. ad Afragola
(NA) il 27.07.1962, rappresentato e assistito dall’avv. Giovanni Merli,
avverso la sentenza della Corte d’appello di Firenze, prima sezione
penale, n. 3100/2011 in data 28.11.2012;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
sentita la relazione della causa fatta dal consigliere dott. Andrea
Pellegrino;
udita la requisitoria del sostituto procuratore generale dott. Massimo
Galli che ha chiesto di dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 06.05.2010, il Tribunale di Firenze dichiarava
Ranieri Antonio responsabile del reato di cui all’art. 635, commi 1 e 2 n.
3 cod. pen., perché, essendo recluso all’interno della casa circondariale

Data Udienza: 07/01/2015

di Sollicciano, distruggeva un tavolino in dotazione agli agenti,
sbattendolo con violenza sul pavimento; il Tribunale, previo
riconoscimento delle circostanze attenuanti di cui agli artt. 62 bis e 62 n.
2 cod. pen., condannava il Ranieri alla pena di mesi tre di reclusione.
2.

Avverso detta sentenza, la difesa di Ranieri Antonio proponeva

appello; con sentenza in data 28.11.2012, la Corte d’appello di Firenze,
rigettando il gravame, confermava la sentenza di primo grado.
Avverso la sentenza di secondo grado, nell’interesse di Ranieri

Antonio, viene proposto ricorso per cassazione lamentando la violazione
dell’art. 606, comma 1 lett. b) cod. proc. pen. per inosservanza od
erronea applicazione della legge penale. In particolare, evidenzia il
ricorrente come, essendo stato sottoposto ad un attacco a mano armata
da parte di un ergastolano, aveva rotto un tavolinetto per procurarsi una
sorta di arma con la quale difendersi, stante l’omesso intervento in sua
salvaguardia da parte degli agenti di polizia presenti al fatto: lo stesso,
quindi, si era trovato nello stato di necessità previsto dall’art. 53 cod.
pen., avendo dovuto provvedere a difendere la propria incolumità fisica
da un imminente pericolo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

5. Il ricorso è manifestamente infondato e, come tale, inammissibile.
6. Alla luce del tenore delle doglianze sollevate dal ricorrente, si rende
necessario premettere – con riguardo innanzitutto ai limiti del sindacato
di legittimità sulla motivazione dei provvedimenti oggetto di ricorso per
cassazione, delineati dall’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.,
come vigente a seguito delle modifiche introdotte dalla L. n. 46 del 2006
– che, a parere del Collegio, la predetta novella non ha comportato la
possibilità, per il giudice della legittimità, di effettuare un’indagine sul
discorso giustificativo della decisione, finalizzata a sovrapporre la propria
valutazione a quella già effettuata dai giudici di merito, dovendo il
giudice della legittimità limitarsi a verificare l’adeguatezza delle
considerazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per giustificare il
suo convincimento. La mancata rispondenza di queste ultime alle
acquisizioni processuali può, soltanto ora, essere dedotta quale motivo
di ricorso qualora comporti il c.d. «travisamento della prova»
(consistente

nell’utilizzazione di

un’informazione

inesistente

o

3.

nell’omissione della valutazione di una prova, accomunate dalla
necessità che il dato probatorio, travisato od omesso, abbia il carattere
della decisività nell’ambito dell’apparato motivazionale sottoposto a
critica), purché siano indicate in maniera specifica ed inequivoca le
prove che si pretende essere state travisate, nelle forme di volta in volta
adeguate alla natura degli atti in considerazione, in modo da rendere
possibile la loro lettura senza alcuna necessità di ricerca da parte della

parcellizzato.
6.1. Il ricorso che, in applicazione della nuova formulazione dell’art. 606,
comma 1, lett. e), cod. proc. pen., intenda far valere il vizio di
«travisamento della prova» deve, a pena di inammissibilità (Sez. 1,
sent. n. 20344 del 18/05/2006, dep. 14/06/2006, Salaj, Rv. 234115;
Sez. 6, sent. n. 45036 del 02/12/2010, dep. 22/12/2010, Damiano, Rv.
249035):
(a)

identificare specificamente l’atto processuale sul quale fonda la

doglianza;
(b) individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto
emerge e che risulta asseritamente incompatibile con la ricostruzione
svolta nella sentenza impugnata;
(c) dare la prova della verità dell’elemento fattuale o del dato probatorio
invocato, nonché dell’effettiva esistenza dell’atto processuale su cui tale
prova si fonda tra i materiali probatori ritualmente acquisiti nel fascicolo
del dibattimento;
(d)

indicare le ragioni per cui l’atto invocato asseritamente inficia e

compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della
motivazione, introducendo profili di radicale “incompatibilità” all’interno
dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato.
6.2. In proposito, può ritenersi ormai consolidato nella giurisprudenza di
legittimità, il principio della c.d. “autosufficienza del ricorso”,
inizialmente elaborato dalle Sezioni civili di questa Corte. Valorizzando
dapprima la formulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. (a
norma del quale le sentenze pronunziate in grado d’appello o in unico
grado possono essere impugnate con ricorso per Cassazione: «… 5. per
omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto
decisivo della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile di ufficio»;
la disposizione stabilisce attualmente, all’esito delle modifiche apportate

Corte, e non ne sia effettuata una monca individuazione od un esame

dall’art. 54 d.l. n. 83 del 2012, convertito in L. n. 134 del 2012, che le
sentenze pronunciate in grado d’appello o in unico grado possono essere
impugnate con ricorso per cassazione «… 5. per omesso esame circa un
fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le
parti»), ed attualmente la formulazione (introdotta dal D. Lgs. n. 40 del
2006) dell’art. 366, comma 1, n. 6, cod. proc. civ. (a norma del quale il
ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità: «… 6.

contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda»), si è osservato
che il ricorso per cassazione deve ritenersi ammissibile, in relazione al
principio dell’autosufficienza che lo connota, quando da esso, pur
mancando l’esposizione dei motivi del gravame che era stato proposto
contro la decisione del giudice di primo grado, non risulti impedito di
avere adeguata contezza, senza necessità di utilizzare atti diversi dal
ricorso, della materia che era stata devoluta al giudice di appello e delle
ragioni che i ricorrenti avevano inteso far valere in quella sede, essendo
esse univocamente desumibili sia da quanto nel ricorso stesso viene
riferito circa il contenuto della sentenza impugnata, sia dalle critiche che
ad essa vengono rivolte (cfr., Cass. civ. Sez. 2, sent. n. 26234 del
02/12/2005, Rv. 585217; Cass., Sez. lav., sent. n. 14561 del
17/08/2012, Rv. 623618).
6.3. Tenuto conto dei principi e delle finalità complessivamente sottesi al
giudizio di legittimità, questa Suprema Corte ha già ritenuto che

«la

teoria dell’autosufficienza del ricorso elaborata in sede civile debba
essere recepita e applicata anche in sede penale con la conseguenza
che, quando la doglianza abbia riguardo a specifici atti processuali, la cui
compiuta valutazione si assume essere stata omessa o travisata, è
onere del ricorrente suffragare la validità del suo assunto mediante la
completa trascrizione dell’integrale contenuto degli atti specificamente
indicati (ovviamente nei limiti di quanto era stato già dedotto in
precedenza), posto che anche in sede penale – in virtù del principio di
autosufficienza del ricorso come sopra formulato e richiamato – deve
ritenersi precluso a questa Corte l’esame diretto degli atti del processo,
… a meno che il fumus del vizio dedotto non emerga all’evidenza dalla
stessa articolazione del ricorso» (Sez. 1, sent. n. 16706 del 18/03/2008,
dep. 22/04/2008, Falcone, Rv. 240123; Sez. 1, sent. n. 6112 del
22/01/2009, dep. 12/02/2009, Bouyahia, Rv. 243225; Sez. 5, sent. n.

;

la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei

11910 del 22/01/2010, dep. 26/03/2010, Casucci, Rv. 246552, per la
quale è inammissibile il ricorso per cassazione che deduca il vizio di
manifesta illogicità della motivazione e, pur richiamando atti
specificamente indicati, non contenga la loro integrale trascrizione o
allegazione e non ne illustri adeguatamente il contenuto, così da rendere
lo stesso autosufficiente con riferimento alle relative doglianze; Sez. 6,
sent. n. 29263 del 08/07/2010, dep. 26/07/2010, Cavanna e altro, Rv.

motivazione deve contenere, a pena di inammissibilità e in forza del
principio di autosufficienza, le argomentazioni logiche e giuridiche
sottese alle censure rivolte alla valutazione degli elementi probatori, e
non può limitarsi a invitare la Corte alla lettura degli atti indicati, il cui
esame diretto è alla stessa precluso; Sez. 2, sent. n. 25315 del
20/03/2012, dep. 27/06/2012, Ndreko e altri, Rv. 253073, per la quale
in tema di ricorso per cassazione, è onere del ricorrente, che lamenti
l’omessa o travisata valutazione dei risultati delle intercettazioni
effettuate, indicare l’atto asseritamene affetto dal vizio denunciato,
curando che esso sia effettivamente acquisito al fascicolo trasmesso al
giudice di legittimità o anche provvedendo a produrlo in copia nel
giudizio di cassazione).
Sulla base delle considerazioni che precedono, va, pertanto, riaffermato
il principio di diritto secondo cui «in tema di ricorso per cassazione, va
recepita e applicata anche in sede penale la teoria della “autosufficienza
del ricorso”, elaborata in sede civile; ne consegue che, quando i motivi
riguardino specifici atti processuali, la cui compiuta valutazione si
assume essere stata omessa o travisata, è onere del ricorrente
suffragare la validità del suo assunto mediante l’allegazione o la
completa trascrizione dell’integrale contenuto degli atti specificamente
indicati, non potendo egli limitarsi ad invitare la Corte Suprema alla
lettura degli atti indicati, posto che anche in sede penale è precluso al
giudice di legittimità l’esame diretto degli atti del processo».
6.4. La mancanza, l’illogicità e la contraddittorietà della motivazione,
come vizi denunciabili in sede di legittimità, devono risultare di spessore
tale da risultare percepibili ictu ()culi, dovendo il sindacato di legittimità
al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando
ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le
deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano

I

248192, per la quale il ricorso per cassazione che denuncia il vizio di

logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano
spiegate in modo logico ed adeguato le ragioni del convincimento senza
vizi giuridici (in tal senso, conservano validità, e meritano di essere
tuttora condivisi, i principi affermati da questa Corte Suprema, Sez. U,
sent. n. 24 del 24/11/1999, dep. 16/12/1999, Spina, Rv. 214794; Sez.
U, sent. n. 12 del 31/05/2000, dep. 23/06/2000, Jakani, Rv. 216260;
Sez. U, sent. n. 47289 del 24/09/2003, dep. 10/12/2003, Petrella, Rv.

226074).
Deve tuttora escludersi la possibilità, per il giudice di legittimità, di
procedere ad un’analisi orientata ad esaminare in modo separato ed
atomistico i singoli atti, nonché i motivi di ricorso su di essi imperniati ed
a fornire risposte circoscritte ai diversi atti ed ai motivi ad essi relativi
(Sez. 6, sent. n. 14624 del 20/03/2006, dep. 27/04/2006, Vecchio, Rv.
233621; Sez. 2, sent. n. 18163 del 22/04/2008, dep. 06/05/2008,
Ferdico, Rv. 239789), e ad una rilettura degli elementi di fatto posti a
fondamento della decisione o all’autonoma adozione di nuovi e diversi
parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (Sez. 6, sent. n. 27429
del 04/07/2006, dep. 01/08/2006, Lobriglio, Rv. 234559; Sez. 6, sent.
n. 25255 del 14/02/2012, dep. 26/06/2012, Minervini, Rv. 253099).
6.5. Il giudice di legittimità ha, pertanto, ai sensi del novellato art. 606
cod. proc. pen., il compito di accertare (Sez. 6, sent. n. 35964 del
28/09/2006, dep. 26/10/2006, Foschini e altro, Rv. 234622; Sez. 3,
sent. n. 39729 del 18/06/2009, dep. 12/10/2009, Belluccia e altro, Rv.
244623; Sez. 5, sent. n. 39048 del 25/09/2007, dep. 23/10/2007,
Casavola e altri, Rv. 238215; da ultimo, Sez. 6, sent. n. 5146 del
16/01/2014, dep. 03/02/2014, Del Gaudio e altri, Rv. 258774):
(a)

il contenuto del ricorso (che deve contenere gli elementi sopra

individuati);
(b)

la decisività del materiale probatorio richiamato (che deve essere

tale da disarticolare l’intero ragionamento del giudicante o da
determinare almeno una complessiva incongruità della motivazione);
(c)

l’esistenza di una radicale incompatibilità con l’iter motivazionale

seguito dal giudice di merito e non di un semplice contrasto;
(d)

la sussistenza di una prova omessa od inventata, e del c.d.

«travisamento del fatto», ma solo qualora la difformità della realtà
storica sia evidente, manifesta, apprezzabile ictu °cuti ed assuma anche
carattere decisivo in una valutazione globale di tutti gli elementi

6

probatori esaminati dal giudice di merito (il cui giudizio valutativo non è
sindacabile in sede di legittimità se non manifestamente illogico e,
quindi, anche contraddittorio).
6.6. Va inoltre evidenziato che non è denunciabile il vizio di motivazione
con riferimento a questioni di diritto. Invero, come più volte chiarito
dalla giurisprudenza di questa Corte Suprema (Sez. 2, sent. n. 3706 del
21/01/2009, dep. 27/01/2009, PG in proc. Haggag, Rv. 242634, e Sez.

247123), anche sotto la vigenza dell’abrogato codice di rito (Sez. 4,
sent. n. 6243 del 07/03/1988, dep. 24/05/1988, Tumnnarello, Rv.
178442), il vizio di motivazione denunciabile nel giudizio di legittimità è
solo quello attinente alle questioni di fatto e non anche di diritto, giacché
ove queste ultime, anche se in maniera immotivata o
contraddittoriamente od illogicamente motivata, siano comunque
esattamente risolte, non può sussistere ragione alcuna di doglianza,
mentre, viceversa, ove tale soluzione non sia giuridicamente corretta,
poco importa se e quali argomenti la sorreggano. E, d’altro canto,
l’interesse all’impugnazione potrebbe nascere solo dall’errata soluzione
di una questione giuridica, non dall’eventuale erroneità degli argomenti
posti a fondamento giustificativo della soluzione comunque corretta di
una siffatta questione (Sez. 4, sent. n. 4173 del 22/02/1994, dep.
13/04/1994, Marzola e altri, Rv. 197993). Al riguardo, va quindi ribadito
il principio di diritto secondo cui «nel giudizio di legittimità il vizio di

motivazione non è denunciabile con riferimento alle questioni di diritto
decise dal giudice di merito, allorquando la soluzione di esse sia
giuridicamente corretta. D’altro canto, l’interesse all’impugnazione
potrebbe nascere soltanto dall’errata soluzione delle suddette questioni,
non dall’indicazione di ragioni errate a sostegno di una soluzione
comunque giuridicamente corretta».
7. Ulteriore doverosa evocazione della giurisprudenza di legittimità
afferisce al ricorso considerato aspecifico, situazione che si verifica
allorquando il medesimo, prospettando vizi di motivazione del
provvedimento impugnato, enunci i motivi in forma perplessa o
alternativa (Sez. 6, sent. n. 32227 del 16/07/2010, dep. 23/08/2010,
T., Rv. 248037: nella fattispecie il ricorrente aveva lamentato la
“mancanza e/o insufficienza e/o illogicità della motivazione” in ordine
alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari

e

2, sent. n. 19696 del 20/05/2010, dep. 25/05/2010, Maugeri e altri, Rv.

posti a fondamento di un’ordinanza applicativa di misura cautelare
personale; Sez. 6, sent. n. 800 del 06/12/2011, dep. 12/01/2012,
Bidognetti ed altri, Rv. 251528). Invero, l’art. 606, comma 1, lett. e),
cod. proc. pen. stabilisce che i provvedimenti sono ricorribili per

«mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione,
quando il vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato ovvero da
altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame». La

cod. proc. pen. (a norma del quale è onere del ricorrente

«enunciare i

motivi del ricorso, con l’indicazione specifica delle ragioni di diritto e
degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta»), evidenzia che
non può ritenersi consentita l’enunciazione perplessa ed alternativa dei
motivi di ricorso, essendo onere del ricorrente di specificare con
precisione se la deduzione di vizio di motivazione sia riferita alla
mancanza, alla contraddittorietà od alla manifesta illogicità ovvero a una
pluralità di tali vizi, che vanno indicati specificamente in relazione alle
varie parti della motivazione censurata. Il principio è stato accolto anche
da questa sezione, a parere della quale «È inammissibile, per difetto di

specificità, il ricorso nel quale siano prospettati vizi di motivazione del
provvedimento impugnato, i cui motivi siano enunciati in forma
perplessa o alternativa, essendo onere del ricorrente specificare con
precisione se le censure siano riferite alla mancanza, alla
contraddittorietà od alla manifesta illogicità ovvero a più di uno tra tali
vizi, che vanno indicati specificamente in relazione alle parti della
motivazione oggetto di gravame»

(Sez. 2, sent. n. 31811 del

08/05/2012, dep. 06/08/2012, Sardo e altro, Rv. 254329). Per tali
ragioni, la censura alternativa ed indifferenziata di mancanza,
contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione risulta priva
della necessaria specificità, il che rende il ricorso inammissibile.
7.1. Inoltre, secondo altro consolidato ed altrettanto condivisibile
orientamento di questa Corte Suprema (v., per tutte, Sez. 4, sent. n.
15497 del 22/02/2002, dep. 24/04/2002, Palma, Rv. 221693; Sez. 6,
sent. n. 34521 del 27/06/2013, dep. 08/08/2013, Ninivaggi, Rv.
256133), è inammissibile per difetto di specificità il ricorso che
riproponga pedissequamente le censure dedotte come motivi di appello
(al più con l’aggiunta di frasi incidentali contenenti contestazioni,
meramente assertive ed apodittiche, della correttezza della sentenza

disposizione, se letta in combinazione con l’art. 581, comma 1, lett. c),

impugnata) senza prendere in considerazione, per confutarle, le
argomentazioni in virtù delle quali i motivi di appello non siano stati
accolti. Si è, infatti, esattamente osservato (Sez. 6, sent. n. 8700 del
21/01/2013, dep. 21/02/2013, Leonardo e altri, Rv. 254584) che «La

funzione tipica dell’impugnazione è quella della critica argomentata
avverso il provvedimento cui si riferisce. Tale critica argomentata si
realizza attraverso la presentazione di motivi che, a pena di

inammissibilità (artt. 581 e 591 cod. proc. pen.), debbono indicare
specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono
ogni richiesta. Contenuto essenziale dell’atto di impugnazione è,
pertanto, innanzitutto e indefettibilmente il confronto puntuale (cioè con
specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che
fondano il dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui
dispositivo si contesta)».
7.2. Invero, il motivo di ricorso in cassazione è caratterizzato da una
“duplice specificità”: «Deve essere sì anch’esso conforme all’art. 581,

lett. c) cod. proc. pen. (e quindi contenere l’indicazione delle ragioni di
diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta presentata
al giudice dell’impugnazione); ma quando “attacca” le ragioni che
sorreggono la decisione deve, altresì, contemporaneamente enudeare in
modo specifico il vizio denunciato, in modo che sia chiaramente
sussumibile fra i tre, soli, previsti dall’art. 606, comma 1, cod. proc.
pen., deducendo poi, altrettanto specificamente, le ragioni della sua
decisività rispetto al percorso logico seguito dal giudice del merito per
giungere alla deliberazione impugnata, sì da condurre a decisione
differente» (Sez. 6, sent. n. 8700/2013, cit.). Risulta, pertanto, evidente
che, «se il motivo di ricorso si limita a riprodurre il motivo d’appello, per

ciò solo si destina all’inammissibilità, venendo meno in radice l’unica
funzione per la quale è previsto e ammesso (la critica argomentata al
provvedimento), posto che con siffatta mera riproduzione il
provvedimento ora formalmente ‘attaccato’, lungi dall’essere
destinatario di specifica critica argomentata, è di fatto del tutto ignorato.
Nè tale forma di redazione del motivo di ricorso (la riproduzione grafica
del motivo d’appello) potrebbe essere invocata come implicita denuncia
del vizio di omessa motivazione da parte del giudice d’appello in ordine a
quanto devolutogli nell’atto di impugnazione. Infatti, quand’anche
effettivamente il giudice d’appello abbia omesso una risposta, comunque

9

la mera riproduzione grafica del motivo d’appello condanna il motivo di
ricorso all’inammissibilità. E ciò per almeno due ragioni. È censura di
merito. Ma soprattutto (il che vale anche per l’ipotesi delle censure in
diritto contenute nei motivi d’appello) non è mediata dalla necessaria
specifica e argomentata denuncia del vizio di omessa motivazione (e
tanto più nel caso della motivazione cosiddetta apparente che, a
differenza della mancanza “grafica”, pretende la dimostrazione della sua

mera “apparenza” rispetto ai temi tempestivamente e specificamente
dedotti); denuncia che, come detto, è pure onerata dell’obbligo di
argomentare la decisività del vizio, tale da imporre diversa conclusione
del caso». Può, pertanto, concludersi che «la riproduzione, totale o
parziale, del motivo d’appello ben può essere presente nel motivo di
ricorso (ed in alcune circostanze costituisce incombente essenziale
dell’adempimento dell’onere di autosufficienza del ricorso), ma solo
quando ciò serva a “documentare” il vizio enunciato e dedotto con
autonoma specifica ed esaustiva argomentazione, che, ancora
indefettibilmente, si riferisce al provvedimento impugnato con il ricorso
e con la sua integrale motivazione si confronta. A ben vedere, si tratta
dei principi consolidati in materia di “motivazione per relazione” nei
provvedimenti giurisdizionali e che, con la mera sostituzione dei
parametri della prima sentenza con i motivi d’appello e della seconda
sentenza con i motivi di ricorso per cassazione, trovano piena
applicazione anche in ordine agli atti di impugnazione» (Sez. 6, sent. n.
8700/2013, cit.).
8. Anche il giudice d’appello non è tenuto a rispondere a tutte le
argomentazioni svolte nell’impugnazione, giacché le stesse possono
essere disattese per implicito o per aver seguito un differente

iter

motivazionale o per evidente incompatibilità con la ricostruzione
effettuata (cfr., per tutte, Sez. 6, sent. n. 1307 del 26/09/2002, dep.
14/01/2003, Delvai, Rv. 223061).
8.1. In particolare, in presenza di una doppia conforma affermazione di
responsabilità, va ritenuta l’ammissibilità della motivazione della
sentenza d’appello per relationem a quella della decisione ivi impugnata,
sempre che le censure formulate contro la sentenza di primo grado non
contengano elementi ed argomenti diversi da quelli già esaminati e
disattesi, in quanto il giudice di appello, nell’effettuazione del controllo
della fondatezza degli elementi su cui si regge la sentenza impugnata,

10

non è tenuto a riesaminare questioni sommariamente riferite
dall’appellante nei motivi di gravame, sulle quali si sia soffermato il
primo giudice, con argomentazioni ritenute esatte e prive di vizi logici,
non specificamente e criticamente censurate. In tal caso, infatti, le
motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si
integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al
quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità

della motivazione, tanto più ove i giudici dell’appello abbiano esaminato
le censure con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo grado
e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi
logico-giuridici della decisione, sicché le motivazioni delle sentenze dei
due gradi di merito costituiscano una sola entità (Sez. 2, sent. n. 1309
del 22/11/1993, dep. 04/02/1994, Albergamo ed altri, Rv. 197250; Sez.
3, sent. n. 13926 del 10/12/2011, dep. 12/04/2012, Valerio, Rv.
252615).
9. Per quel che concerne poi il significato da attribuire alla locuzione
«oltre ogni ragionevole dubbio», presente nel testo novellato dell’art.
533 cod. proc. pen. quale parametro cui conformare la valutazione
inerente all’affermazione di responsabilità dell’imputato, è opportuno
evidenziare che, al di là dell’icastica espressione, mutuata dal diritto
anglosassone, ne costituiscono fondamento il principio costituzionale
della presunzione di innocenza e la cultura della prova e della sua
valutazione, di cui è permeato il nostro sistema processuale. Si è, in
proposito, osservato che detta espressione ha una funzione meramente
descrittiva più che sostanziale, giacché, in precedenza, il «ragionevole
dubbio» sulla colpevolezza dell’imputato ne comportava pur sempre il
proscioglimento a norma dell’art. 530, comma 2, cod. proc. pen., sicché
non si è in presenza di un diverso e più rigoroso criterio di valutazione
della prova rispetto a quello precedentemente adottato dal codice di rito,
ma è stato ribadito il principio, già in precedenza immanente nel nostro
ordinamento costituzionale ed ordinario (tanto da essere già stata
adoperata dalla giurisprudenza di questa Corte Suprema – per tutte,
Sez. U, sent. n. 30328 del 10/07/2002, dep. 11/09/2002, Franzese, Rv.
222139 – e solo successivamente recepita nel testo novellato dell’art.
533 cod. proc. pen.), secondo cui la condanna è possibile soltanto
quando vi sia la certezza processuale assoluta della responsabilità
dell’imputato (Sez. 2, sent. n. 19575 del 21/04/2006, dep. 07/06/2006,

11

Serino ed altro, Rv. 233785; Sez. 2, sent. n. 16357 del 02/04/2008,
dep. 18/04/2008, Crisiglione, Rv. 239795). In argomento, si è più
recentemente, e conclusivamente, affermato (Sez. 2, sent. n. 7035 del
09/11/2012, dep. 13/02/2013, De Bartolomei e altro, Rv. 254025) che
«La previsione normativa della regola di giudizio de/I’ “al di là di ogni
ragionevole dubbio”, che trova fondamento nel principio costituzionale
della presunzione di innocenza, non ha introdotto un diverso e più

restrittivo criterio di valutazione della prova ma ha codificato il principio
giurisprudenziale secondo cui la pronuncia di condanna deve fondarsi
sulla certezza processuale della responsabilità dell’imputato».
Alla luce degli esposti principi va esaminato l’odierno ricorso.
10. Manifestamente infondato è la doglianza difensiva in presenza di una
motivazione congrua e giustificata, del tutto immune da vizi logicogiuridici e, come tale, assolutamente idonea a “superare” le odierne
reiterate censure difensive, caratterizzate da genericità e prospettazione
fattuale alternativa. Si legge in sentenza: “… dalla testimonianza resa in
giudizio dall’agente Di Caprio, risulta invero che, il 28.7.07, il Ranieri
ebbe, nel carcere di Sollicciano, un contrasto con altro detenuto
(Scibona), che dall’agente fu visto rincorrere il Ranieri con un coltello
rudimentale realizzato da un cucchiaino. Il teste Di Caprio ha, peraltro,
dichiarato che Io Scibona, vedendolo, si era fermato, mentre il Ranieri,
uscito dalla zona passeggi, dove si era trattenuto l’altro detenuto, si era
avvicinato a un tavolino, utilizzato come scrivania dal personale di
custodia, lo aveva rotto e, impugnandone una gamba, era rientrato nella
zona passeggi. Ciò nonostante che il Di Capri° avesse tentato di
impedirglielo, creando così condizioni di pericolo per gli altri detenuti,
che si accingevano ad entrare nei passeggi. Quando ha danneggiato il
bene appartenente all’Amministrazione Penitenziaria, nessuna ragione
aveva il Ranieri di temere per la propria incolumità, posto che lo
Scibona, alla vista dell’agente Di Caprio, aveva interrotto l’azione
aggressiva ed era rimasto nella zona verso cui l’imputato, dopo
essersene allontanato, si era diretto con intenti, con ogni evidenza,
aggressivi, ritorsivi e non certo difensivi. Non può, pertanto, riconoscersi
a suo favore l’invocata esimente”.
13. Ne consegue l’inammissibilità del ricorso e, per il disposto dell’art.
616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle

12
;

ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal
ricorso, si determina equitativamente in euro 1.000,00

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle

Così deliberato in Roma, udienza pubblica del 7.1.2015

Il Consigliere estensore

Il Presidente

Dott. And ea pellegrino

Dott. CircyfleXti
eL

i2

ammende.

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