Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 42394 del 22/05/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 42394 Anno 2015
Presidente: PALLA STEFANO
Relatore: MICCOLI GRAZIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DE MAIO ANTONIO N. IL 17/11/1971
avverso la sentenza n. 3924/2012 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
12/02/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 22/05/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GRAZIA MICCOLI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 22/05/2015

Il Procuratore Generale della Corte di Cassazione, dott. Paola FILIPPI, ha concluso chiedendo
l’annullamento con rinvio in relazione alla determinazione della pena.

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 12 febbraio 2014 la Corte di Appello di Napoli, in parziale riforma della
pronunzia di primo grado emessa dal G.U.P. del Tribunale di Nola, riduceva la pena inflitta a
Antonio DE MAIO e Carmela Buono, che erano stati condannati per i reati di bancarotta
patrimoniale (capo A) e documentale (capo B) in relazione al fallimento della società CEDI

Per quanto di interesse in questa sede, il DE MAIO era stato ritenuto responsabile dei reati
ascritti in qualità di amministratore unico dalla data del 21 luglio 2006 alla data del fallimento
ovvero al 19 settembre 2007.
2.

Con atto sottoscritto dal suo difensore, viene proposto ricorso nell’interesse del DE MAIO

affidato ad un unico motivo in ordine alla determinazione della pena.
Deduce il ricorrente che erroneamente la Corte territoriale, come il giudice di primo grado, ha
determinato la pena applicando la disciplina della continuazione ex art. 81 cod. pen. e non
tenendo conto del giudizio di comparazione ex art. 69 cod. pen. tra le attenuanti generiche e
l’aggravante di cui all’art. 219 legge fallimentare.
Nel caso in esame sono stati contestati più fatti di bancarotta nell’ambito della stessa
procedura fallimentare, sicché sarebbe stato corretto configurare l’aggravante di cui all’art.
219, comma 2, n. 1, legge fallimentare.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato.
La pena inflitta al ricorrente e alla coimputata Buono deve ritenersi illegale, perché frutto di
erronea applicazione di norme.
Infatti, nella sentenza di appello la pena è stata determinata seguendo tale iter: pena base per
il reato di bancarotta fraudolenta documentale di cui al capo A) anni tre, mesi sei di reclusione,
ridotta per le concesse attenuanti generiche sino ad anni due e mesi sei di reclusione,
aumentata ex art. 81 cpv cod. pen. per il reato di bancarotta fraudolenta documentale di cui al
capo B) sino alla pena di anni tre di reclusione, ulteriormente ridotta per la diminuente
processuale del rito abbreviato sino ad anni due di reclusione (pag. 5 della sentenza).
E’ del tutto evidente che, sebbene i fatti di bancarotta contestati siano relativi allo stesso
fallimento, i giudici di merito abbiano erroneamente ritenuto i due reati contestati da unificare
nel vincolo della continuazione ex art. 81 cpv cod. pen., non operando invece il giudizio di
comparazione tra le attenuanti generiche e circostanza aggravante di cui all’art. 219 legge
fallimentare.
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che, nel caso di consumazione di una
pluralità di condotte di bancarotta nell’ambito del medesimo fallimento, le stesse mantengono
la propria autonomia ontologica, dando luogo ad un concorso di reati, unificati, ai soli fini
2

CART s. r. I .

sanzionatori, nel cumulo giuridico previsto dall’ art. 219, comma 2, n. 1, legge fallimentare,
disposizione che pertanto non prevede, sotto il profilo strutturale, una circostanza aggravante,
ma detta per i reati fallimentari una peculiare disciplina della continuazione derogatoria di
quella ordinaria di cui all’art. 81 c.p. (Sez. Un., n. 21039 del 27 gennaio 2011, P.M. in proc.
Loy, Rv. 249665).
Il Supremo Collegio, però, ha avuto altresì modo di precisare che la disposizione menzionata
“postula l’unificazione quoad poenam di fatti-reato autonomi e non sovrapponibili tra loro,
facendo ricorso alla categoria teorica della circostanza aggravante, della quale presenta sicuri

utilizzata per individuare la variazione di pena in aggravamento (le pene … sono aumentate)
implica il necessario richiamo all’art. 64 cod.pen., che è l’unica disposizione che consente di
modulare la detta variazione sanzionatoría”, aggiungendo come sia “indubbio che, sul piano
formale, si è di fronte a una circostanza aggravante”. Circostanza che la sentenza Loy
riconosce non corrispondere però sotto il profilo strutturale al paradigma tipico della categoria
di formale appartenenza, dovendosi dunque concludere che “la L. Fall., art. 219, comma 2, n.
1, disciplina, nella sostanza, un’ipotesi di concorso di reati autonomi e indipendenti, che il
legislatore unifica fittiziamente agli effetti della individuazione del regime sanzionatorio nel
cumulo giuridico, facendo ricorso formalmente allo strumento tecnico della circostanza
aggravante”.
Quindi, nella lettura fornita dalle Sezioni Unite, la speciale regolamentazione del concorso di
reati fallimentari contenuta nella disposizione menzionata è stata, per esplicita volontà del
legislatore, formalmente qualificata come circostanza aggravante.
Qualificazione che, se non è certo sufficiente per imprimere alla fattispecie descritta nell’art.
219, comma 2, n. 1, legge fallimentare il profilo sostanziale proprio delle circostanze, ma che
ciò non di meno è funzionale al suo assoggettamento alla disciplina generale dettata per
queste

ultime.

Ed in tal senso decisivo appare soprattutto il meccanismo di calcolo dell’aumento di pena
prescelto, il quale, nel discostarsi vistosamente da quello previsto dall’art. 81 cod.pen., per la
continuazione “ordinaria”, non si ispira solo al lessico proprio delle norma che configurano
circostanze aggravanti, ma sostanzialmente rinvia all’art. 64 cod.pen., unica disposizione
idonea a rivelarne l’effettiva misura.
Va dunque ribadito che, in quanto formalmente circostanza aggravante, alla c.d. continuazione
fallimentare debba applicarsi tra l’altro anche l’art. 69 cod.pen. e che, pertanto, nell’ipotesi in
cui vengano contestualmente riconosciute una o più attenuanti, la stessa debba essere posta in
comparazione con queste ultime, con la conseguente esclusione della possibilità di irrogare
l’aumento di pena previsto dall’art. 219, qualora all’esito del giudizio di bilanciamento la
“circostanza” in questione venga ritenuta minusvalente (in questo senso Sez. 5, n. 50349 del
22/10/2014, Dalla Torre, Rv. 261346, Sez. 5, n. 21036 del 17 aprile 2013, P.G. in proc.
Bossone, Rv. 255146; Sez. 5, n. 51194 del 12 novembre 2013, P.G. in proc. Carrara, Rv.
3

indici qualificanti: a) il nomen iuris, circostanze, adottato nella rubrica; b) la generica formula

258675).
Come si è visto, nel caso in esame i giudici di merito, pur riconoscendo le attenuanti generiche,
non hanno operato il giudizio di comparazione ex art. 69 cod. pen., così violando le norme
sopra citate.
La sentenza impugnata va quindi annullata nei confronti del ricorrente DE MAIO Antonio e, per
l’effetto estensivo, anche nei confronti della coimputata BUONO Carmela limitatamente al
trattamento sanzionatorio, con rinvio per nuovo esame sul punto ad altra Sezione della Corte
di Appello di Napoli.

La Corte annulla la sentenza impugnata nei confronti di DE MAIO Antonio e, per l’effetto
estensivo, anche nei confronti di BUONO Carmela limitatamente al trattamento sanzionatorio,
con rinvio per nuovo esame sul punto ad altra Sezione della Corte di Appello di Napoli
Così deciso in Roma, il 22 maggio 2015
Il consigliere estensore

Il Presidente

P.Q.M.

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