Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 42393 del 22/05/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 42393 Anno 2015
Presidente: PALLA STEFANO
Relatore: MICCOLI GRAZIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
RASTELLI OSVALDO N. IL 05/12/1954
avverso la sentenza n. 2976/2010 CORTE APPELLO di FIRENZE, del
28/11/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 22/05/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GRAZIA MICCOLI
Tdit.0 il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 22/05/2015

Il Procuratore Generale della Corte di Cassazione, dott. Paola FILIPPI, ha concluso chiedendo il
rigetto del ricorso.
Per il ricorrente, l’avv. Ambrogio FALLARA ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 28 novembre 2013 la Corte di Appello di Firenze, in parziale riforma della
pronunzia di primo grado emessa dal Tribunale di Pistoia, dichiarava non doversi procedere in
ordine al reato di appropriazione indebita contestato al capo A), perché estinto per intervenuta

contestate- riduceva la pena inflitta a Osvaldo RASTELLI per i reati di tentata truffa aggravata
(capo B), falso di cui agli artt. 483, 476 comma 2 cod. pen., per aver formato una copia
autenticata di una lettera della FERSERVIZI, apponendo su una copia modificata il timbro del
pubblico ufficiale e la formula di autenticazione (capo F) e induzione in falso in atto pubblico ex
artt. 48 e 479 cod. pen., per aver indotto in errore il pubblico ufficiale che autenticava la
conformità di una copia all’originale, sottoponendogli come originale la lettera sopra indicata
(capo G), documenti poi utilizzati in una causa civile pendente con la CALATRAVE s.r.I..
Con la stessa sentenza la Corte territoriale ha revocato l’interdizione perpetua dai pubblici uffici
e ha dichiarato l’interdizione del RASTELLI dai pubblici uffici per anni cinque. Ha altresì ridotto
l’ammontare della provvisionale in favore della parte civile, liquidandola nella misura di euro
456.500.

2.

Con atto sottoscritto dal suo difensore, viene proposto ricorso nell’interesse del RASTELLI

affidato a otto motivi.

2.1. Con il primo si denunzia la violazione di legge processuale.
Deduce il ricorrente che all’udienza del 23 febbraio 2010 il Pubblico Ministero contestava nel
capo E) il reato previsto dagli artt. 48, 479 e 61 n. 2 cod. pen., con le aggravanti di aver
commesso i fatti al fine di eseguire quelli di cui ai precedenti capi B) e D).
Inoltre nella stessa udienza contestava al capo F) il reato di cui agli artt. 81, 482, 476 comma
2 e 61 n. 2, con le aggravanti di aver commesso i fatti al fine di eseguire quelli di cui ai
precedenti capi B) e D).
All’udienza del 19 aprile 2010 il Pubblico Ministero formulava una “modifica del capo
d’imputazione” ai sensi degli artt. 516 e 517 cod. proc. pen., in quanto i capi precedentemente
denominati E) ed F) venivano rubricati come capi F) e G) -per i quali rimaneva inalterata la
qualificazione giuridica, ma venivano modificati i fatti storici- mentre veniva contestato ex art.
517 cod. proc. pen. un fatto connesso, rubricato come capo E) – per il quale il RASTELLI
veniva imputato per il reato di cui agli artt. 61 n. 2, 482 e 476 cod. pen.
A seguito di tale attività la difesa chiedeva termine ed otteneva il rinvio all’udienza del 17
maggio 2010, nella quale eccepiva che le modifiche apportate dal P.M. riguardavano reati per i
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prescrizione, e -concesse le attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti e recidiva

quali è prevista la celebrazione dell’udienza preliminare e, pertanto, chiedeva la trasmissione
degli atti all’ufficio del Pubblico Ministero.
Il giudice rigettava la richiesta ritenendola tardiva, giacché le nuove contestazioni erano
avvenute già nella udienza del 23 febbraio 2010 e in quanto l’art. 516, comma 1 bis, cod. proc.
pen. prevede che l’eccezione sia sollevata, a pena di decadenza, prima del compimento di ogni
altro atto nella nuova udienza fissata ai sensi degli artt. 519 comma 2 e 520 comma 2.
Con l’atto di appello la difesa dell’imputato aveva rilevato che non sussisteva la tardività
ritenuta dal giudice di primo grado, perché l’eccezione era stata proposta all’udienza

La Corte territoriale aveva rigettato il motivo di appello ritenendo che le imputazioni contestate
dal Pubblico Ministero all’udienza del 19 aprile 2010 fossero solo “integrazioni esplicative ma
che non modificano i fatti già contestati. Pertanto appare corretta la valutazione compiuta dal
primo giudice di tardività dell’istanza della difesa, formulata all’udienza del 17 maggio 2010…”
(pag. 14 sentenza d’appello).
Il ricorrente evidenzia l’erroneità della decisione, giacché era stato lo stesso Pubblico Ministero
a qualificare le modifiche apportate all’udienza del 19 aprile 2010 ai sensi degli artt. 516 e 517
cod. proc. pen., tanto che era stato richiesto (e gli era stato concesso) termine a difesa.
Pertanto nella prima udienza di rinvio, all’esito del termine concesso, era stata
tempestivamente formulata la richiesta di celebrazione dell’udienza preliminare.
In ogni caso, sostiene il ricorrente, al di là di quanto letteralmente indicato nel verbale
d’udienza, le modifiche ai capi di imputazione devono ritenersi effettuate ai sensi degli artt.
516 e 517 cod. proc. pen. e conseguentemente ha errato la Corte territoriale a ritenerle mere
riproposizioni di fatti già contestati.

2.2. Con il secondo motivo è stata dedotta violazione di legge processuale, avendo il
giudice di primo grado rigettato la richiesta di giudizio abbreviato con riferimento ai nuovi capi
di imputazione come contestati dal Pubblico Ministero all’udienza del 19 aprile 2010.
Il giudice di primo grado aveva erroneamente accolto l’istanza di definizione del processo con il
rito abbreviato solo in relazione al capo E) e la Corte territoriale aveva ritenuto corretta tale
decisione, rigettando la relativa doglianza mossa in appello, sebbene il Procuratore Generale
presso a Corte di appello avesse diversamente concluso, chiedendo

“disporsi lo stralcio

relativamente ai reati di cui ai capi F) e G) e restituzione degli atti al primo giudice per trattarli
con il rito abbreviato”.

2.3. Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione di legge processuale con
riferimento alla ordinanza del giudice di primo grado del 21 settembre 2009, che aveva
ammesso la prova per testi indicati dal Pubblico Ministero in una lista trasmessa per telefax
alla cancelleria penale, sebbene la difesa avesse tempestivamente eccepito la sua
inammissibilità proprio per le modalità del suo deposito.
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immediatamente successiva e disposta a seguito di richiesta di termine.

In relazione a specifico motivo di appello sul punto, la Corte territoriale aveva rigettato la
doglianza rilevando che quanto accaduto non determinava la nullità, essendo comunque nei
poteri del giudice quello di assumere d’ufficio i testi necessari.
Secondo il ricorrente tale decisione è erronea, perché il giudice di primo grado aveva
comunque autorizzato la citazione dei testi indicati nella lista depositata con modalità non
previste normativamente, invece di dichiararne l’inammissibilità ex art. 468 cod. proc. pen.
Conseguirebbe a tutto ciò la inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dai suddetti testi.

imputazione di cui al capo G), giacché con le modifiche apportate all’udienza del 19 aprile 2010
non era stato specificato il collegamento con l’art. 476 cod. pen.
Su specifica doglianza in appello, la Corte territoriale avrebbe errato -secondo il ricorrente- nel
considerare equivalente l’assunto del capo di imputazione “atto di autenticazione destinato a
provare la verità” con la circostanza, richiesta dal secondo comma dell’art. 476 cod. pen. “atto
che faccia fede fino a querela di falso”. Difatti, deduce il ricorrente, la circostanza che “l’atto è
destinato a provare la verità” viene direttamente considerata nel testo dell’art. 479 cod. pen.
e dalla descrizione dei fatti storici corrispondenti al capo G) dell’imputazione non vi è alcun
ulteriore elemento specializzante che faccia supporre l’applicazione dell’aggravante di cui al
comma 2 dell’art. 476 cod. pen., cosicché per l’applicazione del principio del favor rei e della
necessaria esplicita imputazione dell’aggravante specifica, il RASTELLI non può essere
condannato ad una pena per la quale non era stato messo in grado di esercitare il suo diritto di
difesa.

2.5. Con il quinto motivo è stato dedotto il vizio di motivazione nella valutazione della
prova in relazione ai reati di falso di cui ai capi F) e G).
La Corte territoriale ha ritenuto raggiunta la prova in ordine ai suddetti reati valutando solo
parzialmente le dichiarazioni rese dal pubblico ufficiale dell’Anagrafe del Comune di Pistoia.
Inoltre, secondo il ricorrente, avrebbe omesso di motivare sulle doglianze mosse in appello
sulla ricostruzione dei fatti come operata dal giudice di primo grado.

2.6. Con il sesto motivo viene dedotta la violazione di legge in relazione all’art. 18
D.P.R. 445/2000.
Il ricorrente ha rappresentato che sul documento ritenuto falso sono stati apposti dal pubblico
ufficiale un timbro e una sigla incomprensibile, mentre l’art. 18 comma 2 citato richiede
espressamente che sia apposta la firma per esteso. Detta inosservanza rende invalida
l’autentica sotto il profilo formale e quindi fa venir meno la sua efficacia; secondo il ricorrente,
quindi, il documento autenticato non può essere considerato atto pubblico e non può
configurarsi il reato contestato.
Non condivisibile, sul punto, è la decisione della Corte territoriale che ha ritenuto che “la sigla
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2.4. Con il quarto motivo il ricorrente ha dedotto la violazione di legge in relazione alla

anziché la firma per esteso apposta dal p.u. all’autentica non importa nullità o inefficacia
dell’atto, poiché consente la possibilità di identificare il suo autore, essendo presente la
stampigliatura a timbro del nome e cognome del p.u. cosicché è da ritenersi equipollente alla
firma per esteso”.
La produzione di un eventuale falso, secondo il ricorrente, sarebbe un falso inutile.

2.7. Con il settimo motivo viene dedotta la violazione di legge in ordine alla
contestazione dell’art. 61 n. 2 per il reato di cui al capo G).

attribuendo al fatto di falso la qualifica di “reato mezzo” posto in essere al fine di eseguire il
reato di tentata truffa, che però non aveva alcun bisogno di esecuzione, perché perfetto in ogni
suo elemento e commesso in data antecedente allo stesso reato di falso.

2.8. Con l’ultimo motivo è stato dedotto il vizio di motivazione in ordine al risarcimento
dei danni riconosciuti alla parte civile.
Il ricorrente evidenzia che la Corte territoriale, pur avendo espresso dubbi sull’ammontare dei
danni, aveva erroneamente confermato le statuizioni civili, compreso la condanna al
pagamento di una provvisionale di euro 456.500.

3. In data 6 maggio 2015 è stata depositata una memoria nell’interesse del ricorrente con la
quale sono stati dedotti nuovi motivi.

3.1. Facendo specifico riferimento alle doglianze avanzate nel ricorso introduttivo con il
quinto motivo, si deduce che, con sentenza in data 17 febbraio 2015 (non impugnata), il
Tribunale di Pistoia ha assolto il RASTELLI dal reato di falso contestato nel presente processo al
capo E) (connesso a quelli di cui ai capi F e G) e in relazione al quale era stato disposto lo
stralcio in conseguenza della richiesta di giudizio abbreviato.
Il ricorrente ha prodotto copia della suddetta sentenza.

3.2. Con altro motivo è stata posta una nuova questione ex art. 609 cod. proc. pen. ed
è stata richiesta l’applicazione dell’art. 131 bis cod. pen., introdotto dal D.Igs. n. 28 del 16
marzo 2015, che prevede l’esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto.

3.3. Nelle conclusioni è stato chiesto anche di dichiarare l’eventuale intervenuta
prescrizione.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato limitatamente ai profili qui di seguito indicati.

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Il ricorrente rappresenta che la suddetta aggravante è stata erroneamente contestata,

1. Va accolto il primo dei motivi e con tale decisione è superflua la trattazione dei motivi sopra
indicati sub 2.2., 2.4., 2.5., 2.6., 2.7., che riguardano le imputazioni di cui ai capi F e G (come
contestate all’udienza del 19 aprile 2010), in relazione alle quali sia la sentenza impugnata che
quella di primo grado vanno annullate, con trasmissione degli atti al Procuratore della
Repubblica presso il Tribunale di Pistoia.

1.2. La lettura degli atti processuali consente di ritenere fondato quanto dedotto dal
ricorrente in ordine alla violazione degli artt. 516, 517 e 522 cod. proc. pen.

stati contestati al capo C) il reato di falso in scrittura privata di cui agli artt. 485, 61 n. 2 cod.
pen. e al capo D) il reato di falso ideologico per induzione, ex artt. 48, 479 e 61 n. 2 cod. pen.;
tale ultima imputazione era stata rubricata con l’indicazione di fatti storici poi modificati, con
ulteriori specificazioni relative all’elemento oggettivo, nelle udienze di cui si dirà qui di seguito.
All’udienza del 23 febbraio 2010 il Pubblico Ministero contestava nel capo E) il reato previsto
dagli artt. 48, 479 e 61 n. 2 cod. pen., con le aggravanti di aver commesso i fatti al fine di
eseguire quelli di cui ai precedenti capi B) e D).
Inoltre nella stessa udienza contestava al capo F) il reato di cui agli artt. 81, 482, 476 comma
2 e 61 n. 2, con le aggravanti di aver commesso i fatti al fine di eseguire quelli di cui ai
precedenti capi B) e D).
All’udienza del 19 aprile 2010 il Pubblico Ministero dichiarava di procedere ancora a una
“modifica del capo d’imputazione” ai sensi degli artt. 516 e 517 cod. proc. pen., sicché i capi
precedentemente denominati E) ed F) venivano rubricati come capi F) e G), mentre veniva
contestato ex art. 517 cod. proc. pen. un fatto connesso, rubricato come capo E), per il quale il
RASTELLI veniva imputato anche per il reato di cui agli artt. 61 n. 2, 482 e 476 cod. pen.
Il Pubblico ministero, inoltre, contestava all’imputato la recidiva ex art. 99 comma 2 cod. pen.
A seguito di tale attività la difesa chiedeva termine ed otteneva il rinvio all’udienza del 17
maggio 2010, nella quale eccepiva che le modifiche apportate riguardavano reati per i quali è
prevista la celebrazione dell’udienza preliminare e, pertanto, chiedeva la trasmissione degli atti
all’ufficio del Pubblico Ministero.
Il giudice rigettava la richiesta ritenendola tardiva.
Si legge nella ordinanza quanto segue: “rilevato che il capo F indicato nella contestazione
effettuata alla udienza 19 aprile 2010 costituisce una mera e fedele riproposizione della
imputazione indicata come capo F nella contestazione suppletiva effettuata il 23 febbraio 2010,
così come, d’altronde, il reato di cui al capo G, per i quali potrebbero sorgere analoghi profili,
risulta già contestato come capo E) il 23 febbraio 2010…”.
Gli stessi rilievi sono stati ribaditi dal giudice quando ha rigettato la richiesta di giudizio
abbreviato in relazione agli stessi capi di imputazione, ammettendolo solo per l’imputazione
contestata sub lettera E) all’udienza del 19 aprile 2010.
Il giudice ha quindi rilevato che l’art. 516, comma 1 bis, cod. proc. pen. prevede che
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Con il decreto di citazione a giudizio, per quanto di interesse per i profili qui esaminati, erano

l’eccezione sia sollevata, a pena di decadenza, prima del compimento di ogni altro atto nella
nuova udienza fissata ai sensi degli artt. 519 comma 2 e 520 comma 2; in ragione di ciò ha
ritenuto tardiva l’eccezione difensiva formulata all’udienza del 17 maggio 2010 invece che a
quella precedente del 19 aprile 2010.
1.2. Tale decisione appare erronea e contraddittoria, tenuto conto di più fattori.
In primo luogo va detto che le nuove contestazioni effettuate in dibattimento dal Pubblico
Ministero con i capi di imputazione F) e G) riguardano reati per i quali è prevista l’udienza
preliminare, giacché nel primo è contestato l’art. 476 comma secondo e nel secondo è

Va poi rilevato che, così come emerge dal confronto delle imputazioni contestate nelle udienze
del 23 febbraio 2010 e del 19 aprile 2010, sebbene sia rimasta inalterata la qualificazione
giuridica, consistenti modifiche sono state fatte nella descrizione delle condotte, soprattutto nel
capo poi definitivamente rubricato sub lettera G).
Peraltro, consentono di ritenere tempestiva l’eccezione formulata ai sensi dell’art. 516, comma
1 ter, cod. proc. pen. proprio l’articolazione dell’attività di contestazione delle nuove
imputazioni svolta nelle due udienze dal Pubblico Ministero e il fatto che solo nell’udienza del
19 aprile 2010 siano state apportate le definitive modifiche, tanto che è stato concesso un
termine ex art. 519 cod. proc. pen. alla difesa dopo che il giudice aveva disposto ai sensi
dell’art. 520 cod. proc. pen. che le nuove contestazioni fossero inserite nel verbale del
dibattimento, per poi rinviare ad altra udienza.
Fondate erano dunque le doglianze avanzate dall’imputato con l’atto di appello, nel quale si era
rilevato che non sussisteva la tardività ritenuta dal giudice di primo grado, perché l’eccezione
era stata proposta all’udienza immediatamente successiva e disposta a seguito di richiesta di
termine.
Errata è quindi la decisione della Corte territoriale che ha ritenuto le imputazioni contestate dal
Pubblico Ministero all’udienza del 19 aprile 2010 mere “integrazioni esplicative” (pag. 14
sentenza d’appello).
Si è dunque verificata una nullità ex artt. 516 comma

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ter e 522 cod. proc. pen.,

tempestivamente eccepita dalla difesa sia in primo grado che in appello e correttamente
reiterata in questa sede.
A ciò consegue – come già detto- l’annullamento di entrambe le sentenze dei giudici di merito
limitatamente alla condanna per i reati di cui ai capi F) e G).

2. Tenuto conto di quanto sopra rilevato in ordine ai reati di falso, la sentenza impugnata va

anche annullata con riferimento al reato di tentata truffa aggravata contestato al capo B), ma
limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio per nuovo esame ad altra Sezione della
Corte di Appello di Firenze.

2.1. Va detto che in relazione alla condanna per il reato di tentata truffa il ricorrente non ha
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contestato l’art. 479 nella parte in cui richiama sempre l’art. 476 comma secondo cod. pen.

formulato motivi, né può ritenersi lo stesso prescritto, giacché la data di commissione del reato
è indicata come quella del “mese di ottobre 2006” e risulta (come si è sopra già rilevato)
contestata anche la recidiva ex art. 99, comma 2, cod. pen., sicché, anche a non voler
considerare i periodi di sospensione verificatisi nei giudizi di merito, il termine di nove anni non
è ancora decorso.
Peraltro, manifestamente infondato è il terzo dei motiVR dei motivi dedotti in ordine alla
inammissibilità della lista testimoniale depositata dal Pubblico Ministero e alla conseguente
inutilizzabilità delle dichiarazioni dei testi esaminati.

della sentenza che sull’esito di detta prova abbia fondato la decisione, l’irrituale presentazione
della lista testi effettuata a mezzo fax, anziché nella prescritta forma del deposito in
cancelleria, rientrando tra i poteri del giudice quello di assumere le prove anche d’ufficio. (Sez.
5, n. 32742 del 03/06/2010, Accordino, Rv. 248418).

2.2. Va valutata la richiesta avanzata dal difensore con la memoria depositata in data 6
maggio 2015 in ordine all’applicazione dell’art. 131 – bis cod. pen.
2.2.1. In primo luogo va precisato che la richiesta è stata fatta solo dal difensore, non
munito di procura speciale, e ciò comporta dei profili di inammissibilità, ove si consideri che
l’applicazione della disciplina di cui all’art. 131 bis cod. pen. ha comunque degli effetti che
richiedono una chiara e diretta manifestazione di volontà dell’imputato nel formulare l’istanza.
Si tratta di “causa di non punibilità” da qualificarsi come

atipica,

giacché nel caso

regolamentato dall’art. 131 bis cod. pen. il fatto viene pur sempre qualificato come “reato”,
sicché la declaratoria di particolare tenuità del fatto lascia intatta l’esistenza del reato, tanto
che è stata prevista l’annotazione della relativa pronunzia nel certificato penale.
Infatti, per effetto delle modifiche apportate dall’art. 4 del d.lgs. n. 28/2015 al

T.U. delle

disposizioni legislative e regolamentari in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle
sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti (d.P.R. 14 novembre
2002, n. 313), l’art. 3 prevede nell’elenco dei provvedimenti iscrivibili (comma 1, lett. f) anche
“quelli che hanno dichiarato la non punibilità si sensi dell’articolo 131-bis del codice penale”.
Proprio valutando gli effetti “limitati” dell’applicazione della causa atipica di non punibilità in
questione, altra sezione di questa Corte ha ritenuto più favorevole la declaratoria di estinzione
del reato per intervenuta prescrizione.
Si è infatti, rilevato che la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione prevale in ogni
caso su una declaratoria di non punibilità per la particolare tenuità del fatto, sia in relazione
alle diverse conseguenze scaturenti dalle due pronunce, sia in relazione al fatto che con la
declaratoria di prescrizione il reato si estingue, laddove “la declaratoria di non punibilità per la
particolare tenuità del fatto lascia del tutto intatto il reato nella sua esistenza sia storica che
giuridica” (così in motivazione Sez. 3, n. 27055 del 26/05/2015, P.C. in proc. Sorbara, Rv.
263885).
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Non è infatti causa di nullità dell’ordinanza ammissiva della prova testimoniale né, pertanto,

2.2.2 Sotto altro profilo ed anche a voler ritenere -come fatto in altre pronunzie di
questa Corte- proponibile nel giudizio di legittimità la questione della particolare tenuità del
fatto, a norma dell’art. 609, comma 2, cod. proc. pen. (non potendo essa essere stata
proposta in appello), va condivisa l’affermazione per cui il giudice di legittimità non può certo
limitarsi ad un indiscriminato annullamento della sentenza con rinvio al giudice di merito, ma
deve rigettare la richiesta quando non ricorrano le condizioni per l’applicabilità del nuovo
istituto.
Questa Corte (Sez. 3, n. 15449 del 08/04/2015, Mazzarotto, Rv. 263308) ha enunciato il

della novella, la quale ha introdotto la speciale causa di non punibilità, è suscettibile di
applicazione anche nel giudizio di legittimità, in relazione ai fatti commessi anteriormente
all’entrata in vigore della legge de qua, ai sensi degli articoli 2, quarto comma, cod. pen., 129,
comma i, e 609, comma 2, cod. proc. pen.
Nella specie, tuttavia, la richiesta di annullamento, senza rinvio, della sentenza impugnata ai
sensi dell’articolo 131-bis cod. pen. risulta manifestamente infondata, ove solo si consideri la
valutazione fatta dai giudici di merito, con motivazione giuridicamente corretta e affatto
immune dai denunziati vizi di inosservanza o erronea applicazione della legge penale, sulla
sussistenza del reato di tentata truffa.
Peraltro, non è da trascurarsi sul piano oggettivo che non possono ritenersi di “particolare
tenuità” i fatti oggetto della imputazione, ove solo si consideri il valore del contenzioso tra le
parti ivi indicato.

2.3. E’ del tutto ovvio che, in ragione di quanto disposto dall’art. 624 cod. proc. pen.,
l’annullamento con rinvio finalizzato solo alla rideterminazione del trattamento sanzionatorio
per il reato di cui al capo B) comporta il passaggio in giudicato della sentenza in relazione alla
responsabilità dell’imputato, sicché nel giudizio di rinvio non può ulteriormente decorrere il
termine di prescrizione.
Invero, qualora – come nel caso in esame- venga rimessa al giudice del rinvio esclusivamente
la questione relativa alla determinazione della pena, il giudicato (progressivo) formatosi
sull’accertamento del reato e della responsabilità dell’imputato, con la definitività della
decisione su tali parti, impedisce l’applicazione di cause estintive sopravvenute
all’annullamento parziale (Sez. U, Sentenza n. 4904 del 26/03/1997, Rv. 207640; Sez. 3,
Sentenza n. 15101 del 11/03/2010 Rv. 246616; Sez. 2, Sentenza n. 8039 del 09/02/2010 Rv.
246806).
Come è noto la ratio di tali conclusioni si rinviene nella specialità della forza precettiva dell’art.
624, comma 1, cod.proc.pen., che sancisce: “se l’annullamento non è pronunciato per tutte le
disposizioni della sentenza, questa ha autorità di cosa giudicata nelle parti che non hanno
connessione essenziale con la parte annullata”. Quindi è tale disposizione che espressamente
riconosce l’autorità del giudicato sia ai capi che ai punti della sentenza non oggetto di
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principio di diritto che — in difetto di alcuna norma di diritto intertemporale — la disposizione

,

annullamento (Sez. un., 19.1.2000, Tuzzolino; si vedano pure Sez. 2, n. 44949 del
17/10/2013, Rv. 257314; Sez. 6, n. 45900 del 16/10/2013, Rv. 257464; Sez. 2, n. 8039 del
09/02/2010, Rv. 246806).

3. Inammissibile è il motivo formulato dal ricorrente sulla provvisionale, dovendo peraltro
rilevarsi che la relativa statuizione è legata al reato di appropriazione indebita in relazione al
quale è stata dichiarata (anche se erroneamente) la prescrizione dalla Corte di Appello.
Giova comunque rammentare che non è impugnabile con ricorso per cassazione la statuizione

trattandosi di decisione di natura discrezionale, meramente delibativa e non necessariamente
motivata. (Sez. 3, n. 18663 del 27/01/2015, D. G., Rv. 263486; massime precedenti conformi:
n. 40410 del 2004 Rv. 230105; n. 5001 del 2007 Rv. 236068, n. 34791 del 2010 Rv. 248348,
n. 32899 del 2011 Rv. 250934, n. 49016 del 2014 Rv. 261054, n. 50746 del 2014 Rv.
261536).

P.Q.M.

La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata, nonché quella di primo grado,
limitatamente ai reati di cui ai capi F e G, come contestati all’udienza del 19 aprile 2010 e
dispone trasmettersi gli atti al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Pistoia.
Annulla la sentenza impugnata con riferimento al reato sub B) limitatamente al trattamento
sanzionatorio, con rinvio per nuovo esame ad altra Sezione della Corte di Appello di Firenze.
Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, il 22 maggio 2015
Il consigliere estensore

Il Presidente

pronunciata in sede penale e relativa alla concessione e quantificazione di una provvisionale,

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