Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4238 del 18/12/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 4238 Anno 2015
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: VERGA GIOVANNA

Data Udienza: 18/12/2014

o più specifici fatti di reato, dallo stesso poi effettivamente commessi ( Cass n. 46134 del 2009
e n. 20060 del 2009). Sostengono che la competenza territoriale è determinata dal luogo ove
ha sede la base operativa dell’associazione , che nel caso di specie è rappresentata dalla
abitazione del MASCIOPINTO in Sannicandro, con conseguente competenza del Tribunale di
Bari per tutti i reati. PASTORE lamenta anche che ai fini della configurabilità della ritenuta
connessione è richiesto che vi sia identità fra gli autori del reato fine e quelli del reato mezzo.

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2. MASCIOPINTO Michele, PASTORE Nicola, MARSICO Giuseppe, MENDRINO
Franco e PASCAZIO Michele:
si dolgono della tecnica redazionale della sentenza che si è limitata a confermare

per

relationem la sentenza del primo giudice sottovalutando se non del tutto pretemettendo le
articolate ragioni espresse dalle difese con i motivi di d’appello. Sostengono che la corte
territoriale è andata ben oltre la possibilità riconosciutale di motivare per relationem e si è
limitata ad avallare la motivazione del primo giudice senza curarsi di confutare il contenuto dei
motivi d’appello sia con riguardo al reato associativo che con riguardo ai reati satelliti, rispetto

Lamentano che la corte territoriale al posto di dar conto delle ragioni per le quali i motivi di
gravame spiegati dai difensori degli imputati non erano accoglibili si è limitata a definirli
generici e non supportati da riferimenti concreti a singoli episodi e in parte avulsi
dall’indicazione dello specifico motivo di dissenso, non tali da importare una dichiarazione di
inammissibilità ma sicuramente idonei ad un rigetto nel merito.

Con riguardo al reato

associativo lamentano che le condotte contestate sono al più inquadrabile nel paradigma del
concorso di persone nel reato. MENDRINO contesta gli elementi posti a fondamento della sua
partecipazione dal primo giudice e pedissequamente recepiti dal giudice d’appello sostenendo
che non vi è la prova della sua consapevolezza di far parte di detto sodalizio non potendo tale
prova mutuarsi da conversazione intercorse tra i soli MENDRINO e MASCIOPINTO in relazione a
fatti che hanno portato alla contestazione dei capi S) per il quale è stato assolto ed R)
dell’imputazione. Sostiene che emerge al più che MENDRINO è stato interlocutore del
MASCIOPINTO in relazione al riciclaggio di alcuni beni provento di furto (capo R), ma tolto
questo aspetto, tutto contenuto nelle intercettazioni espressamente richiamate da entrambi
giudice di merito, null’altro vi era in capo al prevenuto che potesse dimostrare la fondatezza
dell’assunto accusatorio che per essere provato richiedeva ben altro che non il mero contatto
telefonico in una determinata occasione, ma un continuativo rapporto e una consapevole
condivisione di un pactum sceleris che nel caso di specie mancava del tutto. Lamenta anche
con riguardo al capo R) che il Tribunale di Matera sulla scorta dei medesimi elementi ha assolto
i coimputati MARCHITELLI e VINCIGUERRA.

3. MASCIOPINTO Michele
con riguardo ai reati di cui ai capi S) e V) lamenta che la corte territoriale ancora una volta si è
richiamata alla sentenza di primo grado senza spendere una parola sulle ragioni esposte dalla
difesa. Ritiene che contrariamente a quanto sostenuto dai giudici d’appello con riguardo alla
ricettazione contestata al capo V) proprio la indeterminatezza del valore del materiale
rinvenuto depone a favore dell’ipotesi contravvenzionale di cui all’articolo 712 codice penale
ovvero di quella attenuata prevista per il capoverso dell’articolo 648. Così come per quel che
riguarda il capo S) dell’imputazione rileva che la corte di merito si è soffermata solo sulla
posizione del coimputato MENDRINO che ha assolto tanto dall’ipotesi di riciclaggio, quanto
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ai quali sostengono ci si trovi in presenza di un caso di scuola di motivazione inesistente.

dalla più lieve fattispecie di favoreggiamento, utilizzando gli stessi elementi per affermare la
responsabilità del MASCIOPINTO, ignorando completamente le allegazioni difensive. Ritiene
che nel caso di specie manca il dolo di riciclaggio in quanto l’unico intento perseguito del
ricorrente era quello di utilizzare per sé l’autovettura provento di attività illecita. Sostiene che il
fatto meglio doveva essere qualificato come violazione dell’articolo 648 codice penale

4. PASCAZIO Michele
4.1.1amenta omessa pronuncia in ordine alla eccezione sollevata con i motivi d’appello riguardo

dichiarata l’estinzione per intervenuta prescrizione
4.2.solleva eccezione di inutilizzabilità degli esiti delle intercettazioni telefoniche effettuate
sull’utenza 3289472279 in uso a PASTORE Nicola, in particolare conversazione del 21/3/2002
ore 7,42, ore 8,10, ore 9,42 e ore 9,49 di cui al RIT 12/02 violazione dell’articolo 268 comma
tre codice di procedura penale. Rileva che il pubblico ministero con decreto 18 marzo 2002 ha
disposto che le operazioni fossero compiute mediante impianti installati presso la Questura di
Matera con la seguente motivazione: “sussistendo l’esigenza che l’intercettazione dell’utenza in
uso a PASTORE sia effettuata contestualmente a quelle delle utenze la cui intercettazione è già
in corso, al fine di eseguire prontamente i riscontri che si dovessero rendere necessari,
essendosi già raggiunta la certezza che l’attività criminosa è in corso”.

Rileva che nessuno

riferimento è stato fatto alla insufficienza o inidoneità degli impianti esistenti in Procura e alle
eccezionali ragioni di urgenza
4.3.solleva eccezione di prescrizione con riguardo al reato di ricettazione di cui al capo T)
rilevando che la data dell’accertamento non è quella della consumazione del delitto di
ricettazione che va retrodatata alla data di consumazione dell’ultimo reato presupposto

5. MASCIOPINTO Michele e PASCAZIO Michele
lamentano la mancata motivazione in ordine al diniego delle circostanze attenuanti generiche.
MASCIOPINTO contesta anche l’eccessività della pena.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.La questione di competenza territoriale sollevata da MASCIOPINTO, PASTORE e MARSICO
deve essere respinta con le precisazioni di seguito indicate.
E’ pacifico che il legislatore del 1988 nel disciplinare nel Capo II la competenza ha previsto,
diversamente dal Codice abrogato, accanto alla competenza per materia e per territorio la
competenza per connessione nelle ipotesi previste dall’art. 12 c.p.p.. E’ altrettanto fuor di
dubbio che, come più volte affermato dal Supremo Collegio, l’esistenza tra più reati dei
particolari vincoli indicati nell’art. 12 c.p.p. costituisce un criterio originario ed autonomo di
attribuzione della competenza, analogo a quello stabilito dalla competenza per materia e per
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l’irrogazione di pena da parte del Tribunale per il reato sub A) rispetto al quale era stata

territorio. In altri termini il nuovo legislatore ha costruito una disciplina della connessione
ispirata all’esigenza del massimo rispetto del principio costituzionale del “giudice naturale
precostituito per legge” e ha provveduto ad una rigorosa delimitazione legislativa dell’istituto,
proprio al fine di escludere ogni discrezionalità nella determinazione del giudice competente.
Le lettere a) e b) dell’articolo dell’art. 12 disciplinano specificatamente la c.d. connessione
soggettiva. La lett.a) limita la connessione per pluralità di imputati alle ipotesi di concorso o
cooperazione di più persone nel reato e in quella di concorso di cause indipendenti nella
causazione dell’evento e la lett.b) descrive la connessione soggettiva attraverso il richiamo ad

lettera b), è rigorosamente monosoggettiva : ” se una persona è imputata di più reati
commessi con più azioni od omissioni esecutive di un medesimo disegno criminoso” e non è
perciò in grado di per sè sola di produrre alcuna variazione della dimensione soggettiva del
processo. Deve però aggiungersi che, per il combinato disposto delle lett. b) e a) dell’art.12, la
continuazione può determinare uno spostamento di competenza non solo nell’ipotesi
espressamente disciplinata dalla lett. b) dell’art. 12, ma anche nell’ipotesi di concorso di
persone nel reato continuato, astrattamente riconducibile alla lett.a) del medesimo articolo. In
altre parole la continuazione rileva processualmente solo se riferibile ad una fattispecie
monosoggettiva o ad una fattispecie concorsuale in cui l’identità del disegno criminoso sia
comune a tutti i compartecipi nei diversi reati. La lettera c) dell’articolo in argomento disciplina
la connessione oggettiva limitandola alla c.d. connessione teleologica.
Ciò detto giudica questa Corte che nel caso di specie sussista la connessione di cui all’art. 12
c.p.p., lett. c).
Con riguardo a detta disposizione deve rilevarsi come secondo l’orientamento più recente di
questa Corte, ai fini della configurabilità della connessione teleologica non è richiesto che vi sia
identità fra gli autori del reato fine e quelli del reato mezzo ( Cass. Sez. 6, Sentenza n. 37014
del 2010 Rv. 248746; Sez. 3, Sentenza n. 12838 de12013 Rv. 257164) Tale orientamento, che
il Collegio condivide e le cui articolate motivazioni richiama, trae spunto dalla evoluzione
normativa dell’istituto.
Mentre il testo originario dell’art. 12 lett. c) prevedeva la locuzione “se una persona è imputata
di più reati, quando gli uni sono stati commessi per eseguire od occultare gli altri”, la legge n.
8/1992 ha eliminato il riferimento al medesimo soggetto autore dei più reati ed ha previsto che
sussiste la connessione anche quando “dei reati per cui si procede gli uni sono stati commessi
… per assicurare al colpevole o ad altri … l’impunità”. La L. n. 63 del 2001 ha mantenuto
l’esclusione del riferimento al medesimo autore dei più reati ma ha limitato la connessione ai
reati commessi gli uni per eseguire o per occultarne gli altri, con la conseguenza che ai fini
della configurabilità della connessione teleologica prevista dall’art. 12, lett. c), cod. proc. pen.,
non è richiesto che vi sia identità fra gli autori del reato fine e quelli del reato mezzo.
Non può non rilevarsi che aderendo ad una diversa interpretazione diventerebbe del tutto
irrilevante la modifica apportata all’originaria disposizione normativa dal citato decreto-legge
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istituti di natura sostanziale: concorso formale di reati e continuazione. La costruzione della

che, eliminando il precedente riferimento ad un unico imputato – o ai medesimi imputati
concorrenti – (diversamente da quanto previsto alla lett. b) – ha mostrato di privilegiare e
mantenere quale criterio per la ricorrenza dell’ipotesi di connessione ex art. 12 lett. c) il solo
requisito oggettivo del nesso teleologico. La giurisprudenza contraria aveva sottolineato che
nel caso di eterogeneità degli autori mancava “I’ unità del processo volitivo tra il reato mezzo
ed il reato fine”, ritenendo che la norma intendesse cogliere il fenomeno considerato nella sua
dimensione psicologica, senza però considerare che la disposizione in argomento individua un
legame di tipo oggettivo. Il riferimento normativo è infatti alla relazione oggettiva tra le

eseguire od occultare e alle sue implicazioni (specie a carattere probatorio) circa l’opportunità
di una trattazione unitaria.
Ciò detto è indubbia la connessione ex lett. c) dell’art. 12 c.p.p. fra il reato di associazione per
delinquere finalizzata alla commissione di furti, truffe, riciclaggi e ricettazioni e i relativi reati
scopo.
Una volta ritenuta la competenza per connessione per la determinazione della competenza per
territorio, ove non sia possibile, come in questo caso, individuare il luogo di consumazione del
reato più grave (nella specie: il riciclaggio), non è consentito far ricorso alle regole suppletive
stabilite dall’art. 9 c.p.p. – che sia per la collocazione che per il contenuto letterale si riferisce a
procedimenti con reato singolo – ma si deve aver riguardo al luogo di consumazione del reato
che, in via decrescente, si presenta come il più grave tra quelli residui (in tal senso Cass., Sez.
1^, 24 settembre 1993, ric Cortellucci, Rv. 195429, 89; principio questo, del resto, da ultimo
confermato anche dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 40537 del 16 luglio
2009, Rv. 244330). Nel caso in esame , gli episodi di furto aggravato, tutti di pari gravità con
la conseguenza che correttamente è stata individuata la competenza del luogo in cui si è
verificato il primo furto (capo b) commesso in Matera il 5.1.2002.
Con riguardo all’eccezione di competenza i ricorsi devono essere respinti anche se in forza di
un percorso ermeneutico diverso ed anzi contrastante, per molti aspetti, rispetto al
ragionamento svolto dai giudici di merito, che va corretto senza che tale operazione di rettifica
comporti, peraltro, alcun effetto rescindente (Cass., Sez. Un., 24.6.1998, Kremi).

2. Gli imputati MASCIOPINTO Michele, PASTORE Nicola, MARSICO Giuseppe, MENDRINO
Franco e PASCAZIO Michele lamentano, in relazione all’intero impianto della sentenza
impugnata, che la Corte di Appello ha fatto ricorso ad una motivazione per relationem
omettendo la verifica della fondatezza delle richieste difensive e dei precisi motivi di censura
che erano stati dedotti avverso la motivazione contenuta nella sentenza di I grado
Questa Corte, nel precisare i limiti di legittimità della motivazione

per relationem della

sentenza di appello, ha avuto modo di affermare che l’integrazione della motivazione tra le
conformi sentenze di primo e secondo grado è possibile soltanto se nella sentenza d’appello sia
riscontrabile un nucleo essenziale di argomentazione, da cui possa desumersi che il giudice del
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diverse condotte di reato, che risultano collegate dal particolare legame della finalità di

secondo grado, dopo avere proceduto all’esame delle censure dell’appellante, ha fatto proprie
le considerazioni svolte dal primo giudice. Più specificamente, l’ambito della necessaria
autonoma motivazione del giudice d’appello risulta correlato alla qualità e alla consistenza delle
censure rivolte dall’appellante. Se questi si limita alla mera riproposizione di questioni di fatto
già adeguatamente esaminate e correttamente risolte dal primo giudice, oppure di questioni
generiche, superflue o palesemente inconsistenti, il giudice dell’impugnazione ben può
motivare per relazione e trascurare di esaminare argomenti superflui, non pertinenti, generici o
manifestamente infondati. Quando, invece, le soluzioni adottate dal Giudice di primo grado

sindacabile ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e, se il giudice del gravame si limita a respingere
tali censure e a richiamare la contestata motivazione in termini apodittici o meramente
ripetitivi, senza farsi carico di argomentare sulla fallacia o inadeguatezza o non consistenza dei
motivi di impugnazione. ( Cass. N. 6221 del 2006 Rv. 233082, N. 38824 del 2008 Rv. 241062,
N. 12148 del 2009 Rv. 242811;Cass. Sez. 6, 20-4-2005 n. 4221).
Si è, in sostanza, ripetutamente affermato da questa Corte regolatrice che l’apparato
motivazionale del provvedimento, che può anche essere succinto, deve dare dimostrazione
dell’iter cognitivo e valutativo seguito dal decidente per giungere ad un certo risultato
decisorio, in modo che sia salvaguardato la facoltà di critica da parte di chi ha titolo per
impugnare o contestare la decisione e l’esercizio del potere di controllo da parte dell’organo
funzionalmente sovraordinato.
Più specificamente deve rilevarsi che l’ambito della necessaria autonoma motivazione del
Giudice d’appello risulta correlato alla qualità e alla consistenza delle censure rivolte
dall’appellante. Se questi si limita alla mera riproposizione di questioni di fatto già
adeguatamente esaminate e correttamente risolte dal primo giudice, oppure di questioni
generiche, superflue o palesemente inconsistenti, il giudice dell’impugnazione ben può
motivare per relazione e trascurare di esaminare argomenti superflui, non pertinenti, generici o
manifestamente infondati.
Quando, invece, le soluzioni adottate dal Giudice di primo grado siano state specificamente
censurate dall’appellante, sussiste il vizio di motivazione, sindacabile ex art. 606 c.p.p.,
comma 1, lett. e), se il giudice del gravame si limita a respingere tali censure e a richiamare la
contestata motivazione in termini apodittici o meramente ripetitivi, senza farsi carico di
argomentare sulla fallacia o inadeguatezza o non consistenza dei motivi di impugnazione.
Ciò premesso deve rilevarsi che il giudice d’appello, seppure con una motivazione stringata ha
risposto in modo specifico alle doglianze avanzate dagli appellanti con riguardo al reato
associativo, ed ai reati di cui ai capi r) s) e v) richiamando la completa motivazione del giudice
di primo grado solo con riguardo alle questioni di fatto, e dando conto delle ragioni che
fondano la responsabilità dei ricorrenti per i reati così come rispettivamente loro ascritti. I
ricorsi relativi a detti reati devono pertanto essere respinti. Merita precisare che la doglianza
avanzata dal MENDRINO relativamente al capo r) non investe vizi della motivazione rilevanti in
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siano state specificamente censurate dall’appellante, sussiste il vizio di motivazione,

questa sede ma si limita ancora una volta genericamente a contestare la sua condanna a
fronte dell’assoluzione dei coimputati . Il ricorso di MENDRINO Franco che riguarda i reati sub
A) e r) deve pertanto essere respinto e il ricorrente condannato al pagamento delle spese
processuali.
Analogo discorso non può invece essere fatto con riguardo alle specifiche doglianze avanzate
nei confronti dei reati fine, di cui ai capi (capi B), C), D), E), F), G), H), L), M), P), Q) rispetto
alle quali non vi è stata alcuna risposta da parte dei giudici d’appello che, come censurato dai

presupposto di una asserita, ma non spiegata, genericità dei motivi d’appello che però non ha
però portato ad un giudizio di inammissibilità degli stessi (pag. 57 sentenza impugnata).
Deve inoltre rilevarsi che nella sentenza impugnata, con riguardo ai reati in esame, sono stati
indicati specificamente i punti della decisione di primo grado rispetto ai quali veniva richiesto
dagli appellanti un riesame da parte del giudice di secondo grado con indicazione specifica
delle ragioni della richiesta. Non appare quindi giustificata la decisione della Corte territoriale di
ritenere generiche dette censure e di non pronunciarsi in ordine alle specifiche doglianze. La
sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio nei confronti di MASCIOPINTO Michele,
PASCAZIO Michele, MARSICO Giuseppe e PASTORE Nicola relativamente ai capi
B)C)D)E)F)G)H)L)M)P)Q), come rispettivamente ascritti, con rinvio alla Corte d’Appello di
Salerno per il giudizio.

3. Ribadita la legittimità della motivazione per relationem, nei termini sopra indicati, non può
che confermarsi con riguardo al ricorso di MASCIOPINTO Michele in ordine ai reati di cui ai
capi v) e s) che i motivi d’appello sono stati esaminati valutati, e ritenuti infondati. Destituite di
fondamento sono anche le censure che il ricorrente muove alla motivazione della impugnata
sentenza con riguardo a detti capi di imputazione, perché il percorso argomentativo che ha
condotto i giudici d’appello a confermare il giudizio di colpevolezza si rivela ampiamente
articolato e del tutto immune da incogruenze sul piano dello sviluppo logico deduttivo.
In buona sostanza ed in altre parole, nella specie, ci si trova di fronte a due sentenze, di primo
e secondo grado, che concordano nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a
fondamento delle rispettive decisioni, con una struttura motivazionale della sentenza di appello
che si salda perfettamente con quella precedente si da costituire un unico complessivo corpo
argomentativo, privo di lacune, considerato che la sentenza impugnata, ha dato comunque
congrua e ragionevole giustificazione del finale giudizio di colpevolezza con riguardo a detti
capi di imputazione e alla corretta qualificazione giuridica.

4.1.Fondato è ancheVmotivo sub 4.1 del ricorso di PASCAZIO Michele. Effettivamente il giudice
di primo grado, nonostante la declaratoria di prescrizione in ordine al reato sub A) ha irrogato
all’imputato la relativa pena pari ad anni 1 ed € 400,00 di multa e i giudici d’Appello non si
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ricorrenti, si sono trincerati dietro un generico richiamo alla sentenza di primo grado sul

sono pronunciati in ordine alla relativa doglianza. La pena erroneamente irrogata deve
pertanto essere eliminata.

4.2. inammissibile è invece il motivo sub 4.2.
PASCAZIO Michele ha dedotto, per la prima volta con il motivo di ricorso per cassazione, la non
adeguatezza della motivazione del decreto di intercettazione 18.3.2002, assumendo che la
motivazione con la quale il P.M. aveva disposto che le operazioni fossero compiute mediante
impianti installati presso la Questura di Matera era incompleta con riguardo alla insufficienza

Questa Corte ha già avuto modo di affermare che non è deducibile per la prima volta con il
ricorso per cassazione l’inutilizzabilità di intercettazioni per difetto di motivazione del decreto di
autorizzazione in precedenza non denunciato. Se la parte avesse formulato rilievi o censure
davanti al Giudice d’appello, potrebbe ovviamente dolersi del silenzio sul punto, di quel
Giudice, ovvero di una sua pronuncia fondata su erronea applicazione della norma processuale,
o, ancora, di una pronuncia motivata in modo del tutto carente od illogico. Ma così non è stato.
La parte non aveva formulato alcun rilievo, nè censure, ne’ riserva alcuna, davanti al Giudice
del merito. Pertanto la sua attuale doglianza che attiene alla pretesa non idoneità della
motivazione del decreto di intercettazione non può essere neppure inquadrata nei casi
tassativamente richiamati dall’art. 271 c.p.p. (da cui la non rilevabilità di ufficio di tale “vizio”)
e d’altro lato non può essere presa in considerazione in questa sede dal momento che la
mancanza di qualsiasi indicazione o rilievo nei motivi d’appello ha comportato che la sentenza
impugnata non contenga alcuna valutazione in ordine alla congruità della motivazione,
inibendo così a questa Corte di esprimere un giudizio sul punto. ( N. 3972 del 1998 Rv.
211168, N. 5602 del 1998 Rv. 212071, N. 5581 del 1999 Rv. 212127).
La doglianza è pertanto inammissibile.

4.3.11 motivo sub 4.3 del ricorso di PASCAZIO è fondato. Il reato sub T) per cui è intervenuta
condanna è estinto per prescrizione; deve quindi procedersi alla relativa declaratoria, non
sussistendo, alla luce di quanto rilevato dai giudici di merito in ordine all’affermazione di
responsabilità, gli estremi per un immediato proscioglimento interamente liberatorio.
Ed invero la contestazione non indica, ne’ le sentenze di merito hanno accertato, la data esatta
della commissione del reato, genericamente riportato nel capo di imputazione come “accertato
il 28.6.2002”; unico dato temporale certo è dunque la data di commissione dei delitti
presupposto, l’ultimo dei quali è stato commesso il 27.2.2002, nell’immediatezza del quale
pertanto, in applicazione del principio generale del favor rei, deve essere collocata l’epoca della
ricettazione. È infatti affermazione costante nella giurisprudenza di legittimità che “l’onere di
provare con precisione l’epoca del fatto non grava sull’imputato, bensì sull’accusa, sicché in
mancanza di prova certa sulla data di consumazione, per il principio del favor rei va dichiarata
l’estinzione del reato per compiuta prescrizione” (sez. 6^, 3.5.1993, Bambini, rv. 193597;
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ed inidoneità degli impianti esistenti in procura e alle eccezionali ragioni di urgenza.

conf. mass. uff. nn. 209500, 211930, 211962). Poiché il delitto di ricettazione ha natura
istantanea e si perfeziona allorché l ‘ agente riceva le cose di illecita provenienza, a nulla
rilevando il momento in cui esse vengano rinvenute in suo possesso o ne sia accertata la
detenzione (sez. 2 ^ , 23.1.1997, Mazza, rv. 207124; sez. 1 ^ , 12.6.1997, confl. in proc. Sivari,
rv 208400)
Il reato contestato al PASCAZIO, accertato il 28.6.2002 ma commesso in data anteriore e
sconosciuta da collocarsi tuttavia per quanto appena detto nell ‘ immediata prossimità dei
denunciati furti, l ‘ ultimo dei quali commesso il 27.2.2002 deve essere dichiarato estinto perché

e gg. 10, risulta maturato il termine massimo di prescrizione

5.Le doglianze in punto trattamento sanzionatorio sollevate da MASCIOPINTO Michele e
PASCAZIO Michele sono assorbite dall ‘accoglimento del motivo sub 2.

P.Q.M.

annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di PASCAZIO Michele relativamente al
capo T) per essere il reato estinto per prescrizione ed elimina la relativa pena pari a mesi 6 di
recl. ed C 400,00 di multa; elimina altresì la pena erroneamente irrogatagli per il capo A) pari
ad anni 1 ed C 400,00 di multa;
annulla la sentenza impugnata nei confronti di MASCIOPINTO Michele, PASCAZIO Michele,
MARSICO Giuseppe e PASTORE Nicola relativamente ai capi B)C)D)E)F)G)H)L)M)P)Q), come
rispettivamente ascritti, con rinvio alla Corte d ‘Appello di Salerno per il giudizio ; rigetta nel
resto i ricorsi dei predetti;
rigetta il ricorso di MENDRINO Franco che condanna al pagamento delle spese processuali.
Così deliberato in Roma il 18.12.2014
Il Consigliere estensore
Gi vanna VERGA

Il Preside
Ciro PE
T

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ad oggi, anche tenuto conte delle cause sospensive della sua decorrenza pari ad anni 2 mesi 9

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