Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 42311 del 18/09/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 42311 Anno 2014
Presidente: BIANCHI LUISA
Relatore: SERRAO EUGENIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DEMORO PASCAL N. IL 12/10/1975
avverso la sentenza n. 1234/2011 CORTE APPELLO di TORINO, del
01/10/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 18/09/2014 la relazione fatta dal ca
MIMI= Dott. EUGENIA SERRAO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
Chrtan=12~ v
Aldo Policastro, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Udito il difensore, Avv. Corrado Bellora, che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso;

dit i difensor Avv

Data Udienza: 18/09/2014

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di Appello di Torino, in data 1/10/2013, ha parzialmente
riformato la sentenza emessa il 18/05/2010 dal Tribunale di Aosta, revocando i
capi civili e confermando la condanna pronunciata in primo grado nei confronti di
Demoro Pascal in ordine al reato previsto dall’art.189, commi 6 e 7, d. Igs. 30
aprile 1992, n.285 alla pena di mesi 5 e giorni 10 di reclusione, sostituita con la

2. Ricorre per cassazione Demoro Pascal, con atto sottoscritto dal difensore,
censurando la sentenza impugnata per i seguenti motivi:
a) con un primo motivo denuncia violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b)
cod. proc. pen. per erronea applicazione dell’art. 189 d. Igs. n.285/92 e
dell’art.43 cod. pen. in relazione all’elemento soggettivo. Premesso che
l’elemento soggettivo del reato contestato è il dolo, anche nella forma del dolo
eventuale, e che esso deve abbracciare tutti gli elementi della fattispecie, il
ricorrente lamenta che la pronuncia di condanna sia fondata esclusivamente sul
contenuto del verbale di spontanee dichiarazioni rese dall’imputato in data 20
settembre 2008 alle ore 7:20 che, si assume, in quel momento era
completamente ubriaco, secondo quanto emerge dal risultato del primo alcoltest
eseguito alle 7:11. Secondo il ricorrente, la Corte sarebbe incorsa in un vero e
proprio errore, affermando che l’esame alcolemico sarebbe stato disposto
all’esito delle dichiarazioni rese da Demoro Pascal, risultando per tabulas che le
spontanee dichiarazioni vennero assunte dopo la prima rilevazione con
etilometro. Il secondo rilevamento alcolemico, secondo quanto risulta dagli atti,
sarebbe stato effettuato mentre Demoro Pascal rendeva le spontanee
dichiarazioni; tali elementi, si assume, smentirebbero due importanti deduzioni
effettuate dalla Corte, che ha ritenuto che al momento delle spontanee
dichiarazioni Demoro Pascal non fosse in palese stato di alterazione e che gli
agenti di polizia giudiziaria abbiano fedelmente riportato le sue logiche e puntuali
dichiarazioni. Nel ricorso si invoca l’applicazione analogica dell’art. 71 cod. proc.
pen., che impone, in caso di sopravvenuta incapacità dell’imputato, di
sospendere il procedimento con divieto assoluto di assumere le prove al di fuori
dei limiti previsti dall’art. 70, comma 2, cod. proc. pen., ritenendo che gli ufficiali
di polizia giudiziaria avrebbero dovuto limitarsi a denunciare Demoro Pascal dopo
aver accertato che aveva un tasso alcolemico pari a quasi cinque volte i limiti di
legge, anziché acquisire dichiarazioni inattendibili, da ritenere inesistenti in
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multa pari ad euro 6.080,00.

ragione delle modalità di assunzione e delle condizioni psicofisiche del
dichiarante;
b) con un secondo motivo denuncia violazione dell’art. 606, comma 1,
lett.e) cod. proc. pen. per vizio di motivazione in ordine all’affermazione della
responsabilità penale dell’imputato. Il ricorrente deduce che, una volta espunto il
verbale di spontanee dichiarazioni dagli atti utilizzabili, non vi sarebbe alcuna
prova del dolo del delitto contestato, non potendosi desumere dalle dichiarazioni
testimoniali la prova della consapevolezza in capo all’imputato di aver investito

l’investimento, il veicolo condotto dall’imputato ha urtato con la parte anteriore
contro il guard rail;
c) con un terzo motivo denuncia violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) e
c) cod. proc. pen. per inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 62 n.6 cod.
pen. ed assoluta carenza di motivazione sul punto. Il ricorrente, premesso di
aver integralmente risarcito il danno e di essersi immediatamente recato in
Questura dopo aver verificato cosa fosse accaduto sul luogo del fatto, lamenta
l’omessa applicazione dell’attenuante di cui all’art. 62 n.6 cod. pen.
3. Risultano depositate dal ricorrente note difensive in udienza, in cui si
ribadiscono e sviluppano i motivi di ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo ed il secondo motivo di ricorso, in quanto logicamente collegati,
possono essere esaminati congiuntamente. Si tratta di motivi infondati.
2. L’art. 189 cod. strada descrive il comportamento che l’utente della strada
deve tenere nel caso di sinistro comunque riconducibile al suo comportamento di
guida, stabilendo una serie di obblighi tra i quali, per quanto qui interessa,
l’obbligo di fermarsi e di prestare assistenza alle persone ferite, correlando alla
violazione del primo obbligo la sanzione penale nell’ipotesi in cui dall’incidente
sia derivato danno alle persone. Il bene giuridico tutelato dal comma 6 della
disposizione in esame attiene alla necessità di accertare le modalità del sinistro e
di identificare coloro che ne siano coinvolti, conseguentemente ritenendosi
idonea ad integrare il reato anche la condotta di chi effettui sul luogo del sinistro
una sosta momentanea, senza consentire la propria identificazione, né quella del
veicolo, dovendo la sosta durare per tutto il tempo necessario all’espletamento
delle prime attività di indagine (Sez.4, n.9128 del 2/02/2012, Boffa, Rv.252734;
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delle persone e avendo, anzi, una delle persone offese dichiarato che, dopo

Sez.4, n.6306 del 15/01/2008, Grosso, Rv.239038; Sez.4, n.20235 del
25/01/2001, Mischiatti, Rv.234581).
2.1. La condotta omissiva sanzionata dall’art.189, comma 7, cod. strada può
considerarsi, invece, una ipotesi speciale del delitto di omissione di soccorso
previsto dall’art.593, comma 2, cod. pen. (per la definizione del reato ex art.189,
comma 7, cod. strada in termini di omissione di soccorso, Sez.4, n.20649 del
10/05/2012, Shehi, n.m.; Sez.4, n.9128 del 2/02/2012, Boffa, n.m. sul punto),
del quale condivide l’oggettività giuridica e la condotta dell’omessa assistenza

a) dell’elemento tipico del reato proprio mediante individuazione, nell’utente
della strada al cui comportamento sia comunque ricollegabile l’incidente, del
soggetto sul quale grava l’obbligo di garanzia, genericamente indicato nella
norma generale in ‘chiunque’;
b) di un antefatto non punibile, concretato dall’essersi verificato un sinistro
stradale, idoneo a concretare una situazione di pericolo attuale, da cui sorge
l’obbligo di agire.
Secondo la preferibile interpretazione della norma generale, il bene giuridico
tutelato dal reato in questione (inserito tra i delitti contro la vita e l’incolumità
personale) è da individuarsi in un bene di natura superindividuale, quello della
solidarietà sociale, da preservarsi soprattutto quando siano in discussione i beni
della vita e della incolumità personale di chi versa in pericolo. In particolare, lo
stato di pericolo è espressamente previsto per la fattispecie di cui al comma 2
dell’art.593 cod.pen., e proprio la necessità di prevenire un danno futuro impone
l’obbligo di un intervento soccorritore. Nella materia della circolazione stradale, il
legislatore ha introdotto, come si evince dal tenore dell’art.189, comma 1, cod.
strada, la presunzione che il verificarsi di un incidente determini una situazione
di pericolo ed ha, conseguentemente, individuato nei soggetti coinvolti nel
sinistro i destinatari dell’obbligo di fermarsi e di prestare assistenza. Assistenza
significa quel soccorso che si rende necessario, tenuto conto del modo, del
luogo, del tempo e dei mezzi, per evitare il danno che si profila.
2.2. Il reato in esame trova, dunque, il suo fondamento nell’obbligo giuridico
di attivarsi previsto dall’art.189, comma 1, cod. strada, che attribuisce all’utente
della strada, coinvolto in un sinistro “comunque” riconducibile al suo
comportamento, l’obbligo di proteggere altri utenti coinvolti nel medesimo
incidente dal pericolo derivante da un ritardato soccorso. L’obbligo di attivarsi
trova, nel caso in esame, la sua ratio nel dato di esperienza per cui i protagonisti
del sinistro sono in condizione di percepirne nell’immediatezza le conseguenze
dannose o pericolose, dunque di evitare, indipendentemente dall’ascrivibilità agli
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alla persona ferita, con l’aggiunta:

stessi di tali conseguenze, che dal ritardato soccorso delle persone ferite possa
derivarne un danno alla vita ed all’integrità fisica.
2.3. In particolare, secondo principi interpretativi consolidati nella
giurisprudenza di questa Corte, l’elemento soggettivo del reato previsto
dall’art.189, comma 7, cod. strada è integrato anche in presenza del dolo
eventuale, ravvisabile in capo all’utente della strada il quale, in caso di incidente
comunque ricollegabile al suo comportamento ed avente connotazioni tali da
evidenziare in termini di immediatezza la concreta eventualità che dall’incidente

la necessaria assistenza ai feriti. In altre parole, per la punibilità è necessario che
ogni componente del fatto tipico (segnatamente il danno alle persone e l’esservi
persone ferite, necessitanti di assistenza) sia conosciuta e voluta dall’agente. A
tal fine, è però sufficiente anche il dolo eventuale, che si configura normalmente
in relazione all’elemento volitivo, ma che può attenere anche all’elemento
intellettivo, quando l’agente consapevolmente rifiuti di accertare la sussistenza
degli elementi in presenza dei quali il suo comportamento costituisce reato,
accettandone per ciò stesso il rischio: ciò significa che, rispetto alla verificazione
del danno alle persone eziologicamente collegato all’incidente, è sufficiente che,
per le modalità di verificazione di questo e per le complessive circostanze della
vicenda, l’agente si rappresenti la probabilità – o anche la semplice possibilitàche dall’incidente sia derivato un danno alle persone e che queste necessitino di
assistenza e, pur tuttavia, accettandone il rischio, ometta di fermarsi (Sez.4,
n.6904 del 20/11/2013, dep. 12/02/2014, Richichi, n.m.; Sez.4, n.36270 del
24/05/2012, Bosco, n.m.; Sez. 4, n.33294 del 14/05/2008, Curia, Rv. 242113).
2.4. Le circostanze di fatto ritenute accertate dai giudici del merito rendono
del tutto logica la motivazione, laddove si è dedotto che l’imputato aveva avuto
certamente modo di rendersi conto dell’idoneità dell’incidente da lui provocato a
produrre eventi lesivi (pagg.2-3). Nè rilevava la presenza di terzi posto che, in
caso di incidente, l’obbligo di fermarsi e prestare assistenza agli eventuali feriti,
grava direttamente su colui che si trova coinvolto nell’incidente medesimo, il
quale è dunque tenuto ad assolverlo indipendentemente dall’intervento di terzi e
senza poter fare affidamento sull’arrivo della polizia o di altra autorità già
allettate (Sez.4, n.16891 del 14/03/2012, Krasniqi, n.m.).
2.5. Contrariamente a quanto affermato nel ricorso, peraltro, la motivazione
concernente l’accertamento dell’elemento soggettivo del reato risulta
correttamente argomentata e fondata sul contenuto delle dichiarazioni
spontaneamente rese qualche ora dopo il sinistro dal medesimo Demoro alla
Polizia Giudiziaria, la cui attendibilità è stata parimenti motivata ritenendo che le
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sia derivato danno alle persone, non ottemperi all’obbligo di fermarsi e prestare

circostanze in cui le dichiarazioni erano state acquisite non legittimassero dubbi
sulla compostezza mentale del dichiarante.
3. Le censure sviluppate nei motivi di ricorso in esame alludono
alternativamente all’inutilizzabilità del verbale ovvero all’inattendibilità del suo
contenuto, sul comune presupposto che risulterebbe per tabulas lo stato di
incapacità, per ubriachezza, del dichiarante. Il ricorrente invoca l’applicazione
analogica alla fase delle indagini preliminari del disposto dell’art.70 cod. proc.
pen., che regola l’ipotesi in cui vi sia ragione di ritenere che l’indagato o

desumerne l’inesistenza del verbale di spontanee dichiarazioni redatto dalla
Polizia Giudiziaria dopo l’accertamento di un tasso alcolemico pari a 2,20 g/I.
3.1. Occorre, in proposito, premettere che sin dalla pronuncia emessa dalle
Sezioni Unite di questa Corte nel 2000 (Sez.U, n.16 del 21/06/2000, Tammaro,
Rv.216246), è consolidato il principio interpretativo secondo il quale il giudizio
abbreviato costituisce un procedimento “a prova contratta” a mezzo del quale le
parti accettano che la res iudicanda sia definita all’udienza preliminare alla
stregua degli atti di indagine già acquisiti e rinunciano a chiedere ulteriori mezzi
di prova, così consentendo di attribuire agli elementi raccolti nel corso delle
indagini preliminari quel valore probatorio di cui essi sono normalmente
sprovvisti nel giudizio che si svolge invece nelle forme ordinarie del dibattimento,
a condizione che non si tratti di atti probatori assunti contra legem, i quali
devono essere dichiarati inutilizzabili (cosiddetta inutilizzabilità patologica) in
virtù del potere-dovere del giudice di essere, anche in quel giudizio speciale,
garante della legalità del procedimento probatorio (Sez.4, n.9346 del
23/06/2000, Adami, Rv.216650). Ne consegue che il divieto di utilizzazione delle
dichiarazioni spontanee rese alla polizia giudiziaria dalla persona nei cui confronti
vengono svolte indagini (art. 350 , comma 7, cod. proc. pen.) va riferito al
dibattimento e non anche al giudizio abbreviato, trattandosi di atti istruttori
connotati da inutilizzabilità fisiologica in quanto utilizzabili ai fini delle
contestazioni dibattimentali (Sez.1, n.35027 del 4/07/2013, Voci, Rv.257213;
Sez.2, n.44874 del 29/11/2011, Tutrone, Rv.251360; Sez.5, n.18064 del
19/01/2010, Avietti, Rv.246865).
3.2. Spetta al giudice, a tutela del diritto di difesa, accertare la effettiva
natura spontanea delle dichiarazioni (Sez.3, n.36596 del 7/06/2012, Osmanovic,
Rv.253575; Sez.3, n.46040 del 13/11/2008, Bamba, Rv.241776), trattandosi
peraltro di dichiarazioni sottratte alle regole generali previste per l’interrogatorio
(Sez.3, n.10643 del 20/01/2010, Capozzi e altri, Rv.246590), risolvendosi tale
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l’imputato non sia in grado di partecipare coscientemente al processo, per

valutazione in un giudizio di fatto riservato al giudice di merito. Corollario di tale
affermazione di principio è che, nel rispetto del medesimo diritto di difesa, spetti
al giudice verificare anche la natura cosciente delle dichiarazioni spontanee.
3.3. Circa l’invocata applicazione analogica agli atti probatori acquisiti dalla
Polizia Giudiziaria dell’art.70 cod. proc. pen., dalla quale il ricorrente
sembrerebbe desumere l’inutilizzabilità patologica del verbale di dichiarazioni
spontanee dal medesimo rese in data 20 settembre 2008, va osservato che
l’analogia tra la condizione di colui che, indagato o imputato, sia affetto da

accertamenti tecnici, in merito alla sua consapevole partecipazione al
procedimento o al processo e la condizione di colui che si presenti
spontaneamente alla Polizia Giudiziaria in stato di ebbrezza alcolica non esclude
la possibilità di applicare a quest’ultimo le garanzie procedimentali previste
dall’art.70 cod. proc. pen., purchè ne ricorrano i presupposti.
3.4. E la valutazione in merito alla capacità dell’indagato, così come
dell’imputato, di rendere dichiarazioni si risolve in ogni caso in un giudizio
riservato al giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità ove valutato con
adeguato rigore e fatto salvo il travisamento della prova (Sez.2, n.43094 del
26/06/2013. P.C., Floccari e altri, Rv.257426).
3.5. La sentenza impugnata ha, con attenzione, esaminato la congruità
logica delle dichiarazioni verbalizzate, fornendo satisfattiva motivazione in merito
alla ritenuta capacità del Demoro di percepirne l’esatta portata nell’ambito del
procedimento in corso, in perfetta aderenza ai principi affermati in materia,
secondo i quali la capacità dell’imputato di rendere dichiarazioni deve essere
valutata in concreto e non in astratto (Sez.2, n.12195 del 14/03/2012, Romito,
Rv.252709) e per escludere il requisito della cosciente partecipazione
dell’imputato al processo non è sufficiente la presenza di una patologia
psichiatrica, anche grave, ma è necessario che l’imputato risulti in condizioni tali
da non comprendere quanto avviene e da non potersi difendere (Sez. 1, n.14803
del 07/03/2012, Condello, Rv.252267; Sez.6, n.2419 del 23/10/2009 dep. 20/01/2010, Baldi, Rv. 245830; Sez. 1, n.19338 del 11/05/2006,
Santapaola, Rv. 234223).
3.6. Con particolare riguardo all’affermazione per cui l’alcoltest sarebbe
stato effettuato all’esito delle dichiarazioni spontanee anziché in un momento
antecedente, trattasi di doglianza inerente ad un punto non decisivo ai fini del
giudizio di legittimità della motivazione, avendo la Corte territoriale, in ogni caso,
chiarito che nel caso concreto l’accertamento dello stato di ebbrezza, seppure
positivo, non aveva inciso sulla compostezza mentale del dichiarante (pag.4).
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infermità di mente tale da legittimare il dubbio, ed attivare gli opportuni

Deve, comunque, evidenziarsi che l’esame degli atti, consentito in ragione della
natura della censura, ha permesso di verificare l’apertura del verbale di
dichiarazioni spontanee alle ore 7:20 del giorno 20 settembre 2008,
l’effettuazione dei rilievi mediante alcoltest alle ore 7:11 e 7:28 del medesimo
giorno e la chiusura del verbale alle ore 7:40. I suindicati documenti sono stati
trasmessi all’A.G. ai sensi dell’art.347 cod. proc. pen. con annotazione nella
quale si dà atto dell’effettuazione dell’alcoltest e dell’acquisizione delle spontanee
dichiarazioni ma non emerge, contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, che

4. La doglianza mossa con il terzo motivo di ricorso si presenta generica ed
è, in quanto tale, inammissibile. Il ricorrente si è, infatti, limitato a reiterare le
deduzioni poste a sostegno di analogo motivo di appello senza confrontarsi con
la dovuta specificità con la motivazione offerta alle pagg.5 e 6 della sentenza
impugnata.
4.1. Come costantemente affermato da questa Corte (ex plurimis, Sez.6,
n.8700 del 21/01/2013, Leonardo, Rv. 254584), la funzione tipica
dell’impugnazione è quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui
si riferisce. Tale critica argomentata si realizza attraverso la presentazione di
motivi che, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 cod.proc.pen.) debbono
indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono
ogni richiesta. Contenuto essenziale dell’atto di impugnazione è, pertanto,
innanzitutto e indefettibilmente il confronto puntuale (cioè con specifica
indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il
dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta.
Risulta pertanto di chiara evidenza che se il motivo di ricorso, come nel caso in
esame, si limiti a riprodurre il motivo d’appello, per ciò solo si destina
all’inammissibilità, venendo meno in radice l’unica funzione per la quale è
previsto e ammesso (la critica argomentata al provvedimento), posto che con
siffatta mera riproduzione il provvedimento ora formalmente impugnato, lungi
dall’essere destinatario di specifica critica argomentata, è di fatto del tutto
ignorato.

3. Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato; al rigetto segue, a
norma dell’art.616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali.

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l’alcoltest sia stato effettuato successivamente alle dichiarazioni spontanee.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma il 18/09/2014

Il Presidente

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