Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4230 del 18/12/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 4230 Anno 2015
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: VERGA GIOVANNA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SCOZZARI ALFONSO N. IL 02/03/1956
ZUZZE’ GIUSEPPE N. IL 02/05/1962
avverso la sentenza n. 920/2013 CORTE APPELLO di
CALTANISSETTA, del 25/03/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 18/12/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIOVANNA VERGA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. /Lt-~i’4,1(‘–°
che ha concluso per (- e

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

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Data Udienza: 18/12/2014

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con sentenza in data 25.3.2014 la Corte d’appello di Caltanissetta, decidendo a seguito di
rinvio della Corte di Cassazione, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di
Caltanissetta il 14 gennaio 2011, nei confronti di SCOZZARI Alfonso e ZUZZE’ Giuseppe,
rideterminava la pena loro inflitta, esclusa per entrambi la circostanza aggravante di cui
all’articolo 7 legge numero 575/1965, nella misura di anni sei mesi quattro di reclusione
ciascuno

da SCOZZARI e ZUZZE’ fondato limitatamente al punto della ritenuta circostanza aggravante
ex art. 7 cit. sulla scorta di dette argomentazioni: “risultando non contrastato dalla sentenza
d’appello il dato di fatto che colloca al 1.12.2009 la definitività della misura della sorveglianza
speciale, dalla sentenza non risulta alcuna argomentazione in ordine a specifiche condotte
associative successive a tale data, per alcuno dei ricorrenti. La sentenza individua condotte di
aprile 2009 per SCOZZARI; di gennaio ed aprile 2009 per ZUZZÈ (p. 75). Nè allo stato la
dichiarazione di Billizzi (che parla all’udienza del 7.2.12) sull’attualità della presenza di armi a
Vallelunga va oltre la mera considerazione logica (supportata dalle vicende del 2007, 2008 e
2009 – epoca remota rispetto alla data dell’udienza – e oltretutto riferita alla presenza attuale
di armi ma non espressamente a ZUZZÈ)”.
La Corte d’Appello decidendo in sede di rinvio escludeva la sussistenza di detta aggravante e
rideterminava la pena.
Nel rideterminare la pena dava atto come la pena inflitta con la sentenza parzialmente cassata
fosse stata calcolata in maniera errata avendo il collegio fatto un’applicazione impropria del
criterio mitigatore previsto dall’articolo 63 numero quattro codice penale con riferimento alle
due circostanze ad effetto speciale contestata all’imputato – e riconosciuti sussistenti – in
ordine al reato p.p. dall’articolo 416 bis del codice penale ed essendo conseguentemente
incorso in evidente errore nel calcolo della pena base , nel calcolo degli aumenti per le
contestate circostanze aggravanti e come l’ultimo nel calcolo del risultato finale.
Ricorrono per Cassazione SCOZZARI Alfonso e ZUZZE’ Giuseppe, a mezzo del difensore, con
distini ricorsi contenenti medesime doglianze, deducendo che la sentenza impugnata è incorsa
nel divieto di riformatio in pejus nel momento in cui ha applicato la medesima pena irrogata
con la sentenza 10 aprile 2012 e non ha applicato la regola generale prevista dall’articolo 63
comma quattro codice penale.
I ricorsi sono manifestamente infondati.
Premesso che, come affermato dalle SSUU di questa Corte ( Cass. SSUU n. 33752/2013) il
giudice di appello, dopo aver escluso una circostanza aggravante o riconosciuto un’ulteriore
circostanza attenuante in accoglimento dei motivi proposti dall’imputato, può, senza incorrere
nel divieto di “reformatio in peius”, confermare la pena applicata in primo grado, deve rilevarsi
che correttamente la Corte Territoriale ha escluso l’applicazione nell’ipotesi in esame, della
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La Corte di cassazione con la sentenza n. 41703 del 2013 aveva ritenuto il ricorso presentato

regola generale prevista dall’art. 63 co 4 c.p. Questa Corte ha infatti chiarito che nell’ipotesi di
concorso tra le circostanze aggravanti ad effetto speciale previste per il delitto di
partecipazione ad associazione di tipo mafioso dall’art. 416 bis cod. pen., commi 4 e 6 ai fini
del calcolo degli aumenti di pena irrogabili, non si applica la regola generale di cui all’art. 63
c.p., comma 4, bensì l’autonoma disciplina derogatoria di cui al citato art. 416 bis c.p., comma
6 che prevede l’aumento da un terzo alla metà della pena già aggravata (Sez. 6
n. 7916 del 13/12/2011 Ud. (dep. 29/02/2012) Rv. 252069 Sez. 1, Sentenza n. 29770 del
24/03/2009, Rv. 244460, Vernengo).

I ricorsi devono essere dichiarati inammissibili e i ricorrenti condannati al pagamento delle
spese processuali, e ciascuno al versamento della somma di 1.000,00 euro in favore della
Cassa delle ammende

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali, e
ciascuno al versamento della somma di 1.000,00 euro in favore della Cassa delle ammende
Così deliberato in Roma il 18.12.2014

La Corte d’Appello nella determinazione della pena si è attenuta ai principi indicati.

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