Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 423 del 10/11/2017


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 423 Anno 2018
Presidente: TARDIO ANGELA
Relatore: DI GIURO GAETANO

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
RATTI MICHELE nato il 23/05/1968 a BARI

avverso la sentenza del 02/07/2014 del TRIBUNALE di BARI
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere GAETANO DI GIURO;

Data Udienza: 10/11/2017

RILEVATO IN FATTO

Con la sentenza indicata in epigrafe il Tribunale di Bari in composizione
monocratica applicava a Ratti Michele, ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., la
pena di mesi 10 di reclusione in ordine al reato di cui all’ art. 75, comma 2 d.
Igs. n. 159 del 2011.
Avverso tale sentenza il Ratti ricorreva, personalmente, per cassazione. Col
primo motivo il ricorrente deduceva violazione di legge e vizio di motivazione in

non offrisse la benché minima motivazione sull’asservimento tra detto telefono
ed il reato contestato. Col secondo motivo di ricorso si denunciava erronea
applicazione della legge penale con riferimento alla mancata concessione delle
circostanze attenuanti generiche, negate immotivatamente, mentre avrebbero
potuto essere concesse quantomeno per il comportamento processuale e per il
fatto che si trattasne,di episodio di violazione della misura di prevenzione isolato.
Il ricorrente chiedeva, quindi, l’annullamento della sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è inammissibile.
Deve, in proposito, rilevarsi che l’applicazione della pena su richiesta delle
parti è un meccanismo processuale in conseguenza del quale l’imputato e il
pubblico ministero si accordano sulla qualificazione giuridica della condotta
contestata, sulla concorrenza di circostanze, sulla comparazione fra le stesse e
sull’entità della pena. Da parte sua, il giudice ha il dovere di controllare
l’esattezza dei menzionati aspetti giuridici e la congruità della pena richiesta e di
applicarla, dopo avere accertato che non emerga in modo evidente una delle
cause di non punibilità previste dall’art. 129 cod. proc. pen.
Ne discende che, una volta ottenuta l’applicazione di una determinata pena,
ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., non possono essere rimessi in discussione
profili oggettivi o soggettivi della fattispecie ovvero la pena come determinata,
perché profili coperti dal patteggiamento..
Nel caso di specie, sono manifestamente infondate le doglianze sulla
confisca del telefono cellulare, atteso chg come ammesso dallo stesso ricorrente,
detto bene fu utilizzato per commettere il reato e ciò emerge ampiamente dalla
motivazione della sentenza in oggetto, pur non essendo specificamente
esplicitato laddove si afferma la necessità della sua confisca. Manifestamente
infondato e non consentito, in quanto invita a rivalutazione di elementi fattuali, è
il secondo motivo di impugnazione in cui ci si duole della mancata concessione

ordine alla confisca del telefono cellulare, rilevando come la sentenza impugnata

delle circostanze attenuanti generiche, a fronte di un accordo che non le prevede
e di una pronuncia che, oltre a qualificare correttamente il fatto illecito
contestato al Ratti e ad escludere l’evidenza di cause di cui all’ art. 129 cod.
proc. pen., sulla base del chiaro contenuto del verbale di arresto e degli atti
allegati dai quali emerge come il prevenuto fosse stato sorpreso in flagranza del
reato di cui sopra, si sofferma sulla congruità della pena e sull’ insussistenza di
elementi positivi, da cui ritenere meritevole l’imputato della concessione di
attenuanti generiche i non negoziate.

sede di applicazione della pena su richiesta delle parti ex art. 444 cod. proc.
pen., risulta pienamente adeguata ai parametri richiesti per tale genere di
decisioni, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (cfr. Sez. U, n. 3
del 25/11/1998, Messina, Rv. 212438).
Per queste ragioni, il ricorso proposto nell’interesse del suddetto deve essere
dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al
versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in 2.000,00
euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen..

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di duemila euro alla Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 10 novembre 2017.

Questa motivazione, avuto riguardo alla speciale natura dell’accertamento in

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