Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4219 del 21/10/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 4219 Anno 2015
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: CERVADORO MIRELLA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MILANO LOGISTICA S.P.A.
avverso la sentenza n. 1622/2013 CORTE APPELLO di MILANO, del
19/07/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 21/10/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MIRELLA CERVADORO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 21/10/2014

Udita la requisitoria del sostituto procuratore generale, nella persona del
dr.Vito D’Ambrosio, il quale ha concluso chiedendo l’annullamento senza

10.300,00, e rigetto nel resto.
Udito il difensore di fiducia della società Milano Logistica spa
avv.Alessandro Pistocchini che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo

Con sentenza del 19.7.2013, la Corte d’Appello di Milano, giudicando in
sede di rinvio a seguito della sentenza della Corte di Cassazione che aveva
annullato la sentenza della Corte d’Appello di Milano del 24.6.2011
limitatamente alla determinazione della pena pecuniaria e della misura
interdittiva, ritenuta l’ipotesi di cui all’art.25 co.2 d.lvo 231/2001, e
riconosciuta l’attenuante di cui all’articolo 12 co.1 del medesimo decreto,
condannava la Milano Logistica spa al pagamento della sanzione pecuniaria
pari a quote cento, per l’importo di euro 30.000,00, e revocava la sanzione
interdittiva dell’incapacità di contrattare con la Pubblica Amministrazione.
Ricorre per cassazione il difensore della società Milano Logistica s.p.a.
deducendo: 1) l’inosservanza e/ o erronea applicazione della norma
processuale di cui all’art.624 c.p.p., e la mancanza, illogicità e
contraddittoriatà della motivazione ai sensi dell’art.606, co.1, lett.c) ed e)
c.p.p. in riferimento alla qualificazione giuridica dei fatti contestati. La Corte
recepisce quanto affermato dalla Corte di Cassazione circa l’assenza di
qualsivoglia profitto in capo alla società Milano Logistica per effetto
dell’accordo transattivo siglato con l’Agenzia delle Entrate, ma omette di
trarre da questa circostanza le dovute conseguenze in punto qualificazione

rinvio della sentenza impugnata in punto di pena, rideterminandola in euro

giuridica dei fatti, ritenendo essersi formato il giudicato sul punto, e ne tiene
conto solo ai fini della pena. Ma la sentenza ha autorità di cosa giudicata
nelle parti che non hanno connessione essenziale con la parte annullata, e il
dispositivo della sentenza andava letto con la motivazione; dalla lettura
dell’intero apparato motivazionale si evince chiaramente come la Cassazione
abbia negato la sussistenza di un presupposto di fatto – ovvero la fondatezza

per l’ente alla sua definizione in via transattiva – che il Tribunale prima e la
Corte d’Appello poi avevano erroneamente posto a fondamento della
ricostruzione storica dei fatti prima ancora che del giudizio sulla gravità
dell’illecito e sulla commisurazione della pena. La Corte d’Appello opera una
lettura minimalista dell’art.624 c.p.p. e motiva unicamente mediante un
apodittico richiamo al dispositivo della sentenza, senza alcuno sviluppo
argomentativo circa la sussistenza o meno del nesso di essenziale
connessione invocato dalla difesa. Vi è contraddizione tra infondatezza della
pretesa fiscale, insussistenza del profitto e natura contraria ai doveri
d’ufficio. Correva pertanto l’obbligo alla Corte d’Appello di estendere la
portata demolitiva della sentenza di annullamento a tutte le statuizioni
incompatibili con le circostanze di fatto acclarate dalla Cassazione. L’accordo
che poneva fine al contenzioso fiscale era idoneo alla migliore soddisfazione
dell’interesse pubblico, ed erroneamente la Corte territoriale non ha portato a
compimento il percorso argomentativo abbozzato dalla Cassazione; 2)
l’inosservanza e/o erronea applicazione della norma processuale di cui
all’art.624 c.p.p., e la mancanza, illogicità e contraddittoriatà della
motivazione ai sensi dell’art.606, co.1, lett.c) ed e) c.p.p. laddove elude la
questione, posta con il motivo aggiunto, inerente l’effettiva consapevolezza
dei funzionari pubblici coinvolti circa la radicale infondatezza della pretesa
fiscale avanzata nei riguardi di Milano logistica. Non vi è dubbio che se la
pretesa fiscale era infondata, e se i funzionari pubblici lo sapevano, il preteso
accordo corruttivo siglato dal legale rappresentante della società destinataria
dell’accertamento con l’intermediazione di un consulente infedele si
risolverebbe in un’ipotesi di concussione per induzione. La Corte d’Appello

della pretesa fiscale e la conseguente sussistenza di un profitto e/o interesse

era nelle condizioni – di diritto e di fatto – di verificare la sussistenza della
decisiva circostanza circa la consapevolezza dell’infondatezza della pretesa
fiscale come condizione idonea ad incidere negativamente sulla logicità della
ricostruzione complessiva della vicenda inducendo ad una sua rilettura in
chiave concessiva; 3) l’ inosservanza ed errata applicazione di norme della
legge penale e mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della

della corretta qualificazione dei fatti alla luce della recente riforma legislativa
in materia di corruzione. L’inquadramento dei fatti entro la fattispecie di
corruzione impropria, anziché corruzione propria, appare tutt’altro che
irrilevante, in quanto determinerebbe per l’ente l’applicazione delle sanzioni
più favorevoli previste sub comma 1 dell’art.25 algs.n.231/2001 invece che
quelle previste sub comma 2 del medesimo articolo per il quale è intervenuta
condanna; 3) l’ inosservanza ed errata applicazione di norme della legge
penale e mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione
ai sensi dell’art.606 lett. b) ed e) c.p.p. in ordine alla determinazione della
pena. Il giudice del rinvio ha omesso di dare applicazione all’art.11 co.3 del
dlgs n.203/2001 ai sensi del quale “nei casi previsti dall’art.12 co.1 l’importo
della quota è sempre di € 103”; è stata conseguentemente comminata all’ente
una sanzione pecuniaria pari al minimo delle quote per un importo
complessivo di € 30.000,00 anziché 10.300,00 in aperta violazione della norma
in questione e senza motivare sul punto.
Chiede pertanto l’annullamento della sentenza.

Motivi della decisione

1. La Corte di Cassazione, con la sentenza del 24.1.2013, ha annullato la
sentenza della Corte d’Appello di Milano del 24.6.2011 nei confronti della
Milano Logistica spa, limitatamente alla determinazione delle pene
pecuniarie ed interdittive, rigettando – nel resto – il ricorso della predetta
società.

motivazione ai sensi dell’art.606 lett. b) ed e) c.p.p. in merito alla questione

2. Il giudicato può avere una formazione non simultanea ma
progressiva, e ciò può accadere sia nelle ipotesi di procedimento cumulativo,
allorché nel processo confluiscano una pluralità di domande di giudizio che
comportino una pluralità di regiudicande, sia quando il procedimento
riguardi un solo reato attribuito ad un solo soggetto (o – come nella
fattispecie – la responsabilità dell’ente per un illecito amministrativo
dipendente da reato), perché anche in quest’ultimo caso la sentenza

definitiva può essere la risultante di più decisioni, intervenute attraverso lo
sviluppo progressivo del mezzo di impugnazione.
La sentenza della Corte di cassazione, nei casi di annullamento
parziale, delimita quindi l’oggetto del giudizio di rinvio, riducendo
corrispondentemente l’oggetto del processo.
“D’altra parte, l’ auctoritas di res indicata che l’art. 624 c.p.p., comma 1,
conferisce alla parte “autonoma” della sentenza non annullata, è rimarcata
dalla esigenza di pronta riconoscibilità “esterna” del formarsi del giudicato
parziale, giacché il richiamato art. 624 c.p.p., comma 2, demanda al
medesimo giudice del rescindente il compito di dichiarare nello stesso
dispositivo – con pronuncia di tipo essenzialmente ricognitivo – quali parti
della sentenza del giudice a quo diventano “irrevocabili”, stabilendo, poi,
meccanismi del tutto snelli quanto a formalità, per porre rimedio alla
eventuale omissione di tale adempimento, evidentemente reputato di non
trascurabile risalto. Al tempo stesso, e ad ulteriore conferma dello iato che
separa il giudizio rescissorio dai precedenti gradi, sta la regola dettata
dall’art. 627 c.p.p., comma 4, in forza della quale non possono essere proposte
nullità, anche assolute, o inammissibilità, verificatesi in precedenza, oltre alla
già segnalata inoppugnabilità dei punti già decisi dalla Corte di cassazione.
Lo “stare decisis” è dunque puntualmente evocato dal sistema, secondo
un modulo che rende la sentenza di merito “formalmente” – quanto ai profili
di preclusione interni al processo – e “sostanzialmente” – quanto ai riverberi
che ne possono scaturire sul versante del ne bis in idem – intangibile, seppure
soltanto nella parte non compromessa dalla pronuncia di annullamento”.
(v.Cass.S. U., Sent. n. 16208/2014 Rv. 258654) .
4

3. Secondo il consolidato indirizzo giurisprudenziale dal quale non vi è
motivo di discostarsi (v. Cass. S.U., Sent. n. 2/1997, Rv. 207640; Cass.S.U.
Sent.n.4464/1994, Rv. 196886; e da ultimo Sez.III, Sent n. 15101/2010 Rv.
246616), nei casi di annullamento parziale limitato alla determinazione della
pena, è configurabile il giudicato parziale, in ordine alle parti non annullate
della sentenza concernenti l’esistenza del reato e la responsabilità

della responsabilità da quello riguardante la determinazione della pena. La
parte della sentenza, con la quale viene affermata la responsabilità
dell’imputato, e la parte della sentenza, con la quale viene determinata la
pena costituiscono entrambe “disposizioni della sentenza”, secondo la
dizione adoperata dall’art. 624 c.p.p., di guisa che, se l’annullamento della
sentenza riguarda esclusivamente la determinazione della pena, la parte
della sentenza riguardante l’affermazione della responsabilità, che non è stata
intaccata dall’annullamento, acquista “autorità di cosa giudicata”, in quanto
la stessa non ha connessione essenziale con la parte annullata.
4. Nel caso in esame, il dispositivo della sentenza d’annullamento con
rinvio, pronunciata da questa Corte il 24.1.2014, non è in alcun modo in
contrasto con la motivazione della sentenza; chiarissimo e per nulla ambiguo,
il dispositivo della sentenza non lascia alcun dubbio che il rinvio fosse
limitato alla sola determinazione delle pene pecuniarie e interdittive. Ne
consegue che del tutto impropriamente l’Ente ricorrente ha invocato, in
ricorso, e avanti al Giudice del rinvio, la giurisprudenza di questa Corte
secondo la quale, in tema di annullamento con rinvio, il dispositivo non può
essere letto ed interpretato disgiuntamente dalla motivazione,
rappresentando la stessa un imprescindibile elemento di integrazione, che
concorre ad illustrare e chiarire i termini del “devolutum” e a specificare i capi
ed i punti della sentenza su cui si è formato il giudicato (v.Cass.Sez. F, Sent.
n. 45002/2012 Rv. 253835). Appare evidente che la giurisprudenza in
questione riguarda i casi ben diversi di dispositivi ambigui, o di contrasto tra
dispositivo e motivazione; nella fattispecie, invece, non sussiste contrasto
alcuno tra il dispositivo e la motivazione della sentenza di annullamento. A

dell’imputato, dovendosi distinguere il momento attinente all’accertamento

ciò aggiungasi, che la Cassazione, nella parte motiva, nell’illustrare le ragioni
del rigetto degli altri motivi (primo, quarto e sesto) del ricorso della Milano
Logistica si è chiaramente pronunciata, sia sulla responsabilità dell’Ente sia
sulla qualificazione giuridica del fatto, rilevando – in particolare – che
l’intervento dei soggetti accusati di corruzione è avvenuto solo dopo
l’emissione (in “buona fede” da parte dell’Agenzia delle Entrate) dell’atto di

autotutela (v.pag.16), che il Panciroli in tanto partecipava all’accordo
corruttivo, in quanto intendeva ottenere una condizione più vantaggiosa per
la società di cui era rappresentante legale (v.pag.20), che l’accertamento ex

post dell’errore dell’Amministrazione nella sua pretesa tributaria non
smentisce la condotta come ricostruita in sentenza (v.pag.17), e che pertanto i
giudici di merito hanno dimostrato in maniera adeguata la premessa
necessaria per dichiarare la responsabilità della Milano Logistica (v.pag.20).
A pag.22 della sentenza, specifica quindi la Corte che l’annullamento aveva
ad oggetto il “solo profilo della determinazione della pena e della misura
interdittiva” e che “il giudice del rinvio, tenuto conto di quanto sopra, ferma
restante la condanna dell’Ente” avrebbe dovuto procedere “a nuova
determinazione della pena applicando quella prevista dal secondo comma
dell’art.25 con le ulteriori conseguenze, sia quanto alla pena pecuniaria che
alla pena detentiva, di cui ai citati articoli 12 e 13”, e quindi facendo espresso
riferimento al reato di corruzione propria (art.319 c.p.), in relazione al quale
la sentenza di condanna è peraltro passata in giudicato nei confronti degli
imputati Panciroli e Di Nardo.
5. Tanto premesso, appare evidente che l’annullamento riguardava
esclusivamente il “quantum” della pena, e che la parte relativa alla
affermazione di responsabilità della ricorrente società, concettualmente
autonoma rispetto alla determinazione della pena, aveva già acquistato
l’autorità di giudicato. Correttamente la Corte d’Appello ha ritenuto quindi,
nella sentenza impugnata, di non poter rivalutare le questioni relative alla
responsabilità e alla qualificazione giuridica della vicenda, in quanto

accertamento fiscale e dopo il rigetto della richiesta di annullamento in

precluse dal giudicato, e di doversi limitare a ripercorrere il perimetro del
devoluto, costituito unicamente dall’applicazione delle sanzioni.
I primi tre motivi di ricorso sono pertanto infondati, e vanno rigettati.
4. E’ invece fondato e va accolto il quarto motivo di ricorso.
La Corte, ritenuta l’ipotesi di cui all’art.25 co.2 del D.L.vo 231/01 e
riconosciuta l’attenuante dell’art.12 co. 1 del D.L.vo citato, essendo il danno

pari a quote cento, per l’importo di euro 30.000,00, omettendo di dare
applicazione all’art.11 co.3 del medesimo decreto, ai sensi del quale “nei casi
previsti dall’art.12, comma 1, l’importo della quota è sempre di euro 103”.
Poichè la Corte di cassazione può procedere direttamente alla
determinazione della pena, ai sensi dell’art. 620, lett. 1), cod. proc. pen., in
tutti quei casi in cui, come nella fattispecie, non debba procedere ad
accertamenti di fatto o ad operazioni di discrezionalità valutativa, che
rimangono incompatibili con le attribuzioni del giudice di legittimità (v., da
ultimo, Cass.Sez.VI, Sent. n. 15157/2014 Rv. 259253), la sentenza impugnata
va annullata senza rinvio limitatamente alla pena, che viene rideterminata in
euro 10.300,00.
P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla pena che
ridetermina in euro 10.300,00. Rigetta nel resto il ricorso.
erato, il 21.10.2014.

patrimoniale di particolare tenuità, ha determinato la sanzione pecuniaria

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