Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 42092 del 24/09/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 42092 Anno 2014
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: ZAMPETTI UMBERTO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ALIMENTI ALFREDO N. IL 29/11/1957
avverso l’ordinanza n. 19645/2013 GIUD. SORVEGLIANZA di
ROMA, del 10/02/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. UMBERTO ZAMPETTI;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott. itkiraiv I o 1-1 u R

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Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 24/09/2014

Ritenuto in fatto
1. Con ordinanza in data 10.02.2014 il Magistrato di Sorveglianza di Roma
rigettava l’istanza proposta da Alfredo Alimenti volta ad ottenere la remissione del
debito di Euro 66.507,96 per spese di giustizia dovute in solido con altri condannati
(sentenza della Corte d’appello di Roma del 14.11.2003, irrevocabile il 22.09.2004),
rilevando come, non avendo costui espiato la pena detentiva, estinta per indulto, si
dovesse tenere presente la condotta tenuta in libertà. In tal senso si doveva

successive a quella per la quale egli richiedeva il beneficio. Tale grave
comportamento escludeva dunque -riteneva il suddetto Magistrato- il requisito della
costante regolarità della condotta cui la legge subordina la remissione.2.

Avverso tale ordinanza proponeva ricorso per cassazione l’anzidetto

condannato che motivava l’impugnazione deducendo violazione di legge e vizio di
motivazione, in particolare argomentando -in sintesi- nei seguenti termini : si
trattava di due violazioni insignificanti, della stessa natura, peraltro diverse da
quella per cui era stata inflitta la condanna per la quale era chiesto il beneficio.Considerato in diritto
1. Il ricorso, manifestamente infondato, deve essere dichiarato inammissibile.2.

Ed invero del tutto correttamente il Magistrato di Sorveglianza di

competenza ha valutato, in mancanza di effettiva espiazione della pena relativa alla
sentenza per cui era chiesto il beneficio, la condotta tenuta in libertà, come prevede
il comma 1 dell’art. 6 del DPR 115/2002 (Testo unico sulle spese di giustizia); il
principio, persltro, è recepito da questa Corte (cfr. Cass. Pen. Sez. 1°, n. 27200 in
data 28.05.2013, Rv. 256617, Chatibi : “In materia di rimessione del debito per le
spese di mantenimento o processuali, in presenza di un periodo di detenzione, il
Magistrato di Sorveglianza investito della relativa domanda deve fare riferimento
esclusivamente alla condotta tenuta durante tale periodo e non a quella mantenuta
in libertà che va, invece, considerata solo ove detenzione non vi sia stata”). In tal
caso -ove cioè non vi sia stata carcerazione- il periodo da valutare è quello
successivo al passaggio in giudicato della sentenza cui le spese si riferiscono (cfr.
Cass. Pen. Sez. 1°, n. 9680 in data 23.02.2012, Rv. 252924, Carella).Orbene, ciò posto, rilevato che l’Alimenti non ebbe a subire effettiva
detenzione, avendo usufruito interamente dell’indulto, del tutto correttamente il
magistrato di Sorveglianza ha valutato la condotta dell’istante tenuta in libertà a
partire dalla data di passaggio in giudicato della sentenza in questione
1

rilevare come l’Alimenti avesse subito due condanne (per fatti del 2007 e 2008)

(22.09.2004). Nessuna censura può poi essere mossa, in questa sede di legittimità,
in relazione alla valutazione in fatto operata dal giudice del merito che ha ritenuto,
con motivazione logica e coerente, che le condanne subite dall’Alimenti per fatti
commessi nel 2007 (violazioni in materia edilizia) e nel 2008 (sottrazione di cose
sottoposte a pignoramento) escludessero il requisito della regolare condotta. Si
tratta di episodi che il ricorrente non contesta se non nella loro rilevanza,
prospettata come modesta; vale però obbiettare che la commissione di fatti
comunque costituenti reato esclude, di per sé, la costante regolarità della condotta

che la condotta successiva sia ostativa solo quando sia della stessa indole, di tal
che fatti socialmente negativi, anche non caratterizzati da specificità con la
condanna precedente, impongono pur sempre il diniego del chiesto beneficio.L’impugnata ordinanza, pertanto, corretta nei paradigmi valutativi e non
censurabile nel merito, si sottrae ai proposti motivi di impugnazione.3. In definitiva il ricorso, manifestamente infondato in ogni sua deduzione,
deve essere dichiarato inammissibile ex artt. 591 e 606, comma 3, Cod. proc. pen.Alla declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione consegue ex lege, in forza del
disposto dell’art. 616 Cod. proc. peri., la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese del procedimento ed al versamento della somma, tale ritenuta congrua,
di Euro 1.000,00 (mille) in favore della Cassa delle Ammende, non esulando profili
di colpa nel ricorso palesemente infondato (v. sentenza Corte Cost. n. 186/2000).P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali ed al versamento della somma di Euro 1.000,00 (mille) in favore della
Cassa delle Ammende.Così deciso in Roma il 24 Settembre 2014 Il Consigliere estensore

richiesta dalla norma. Parimenti la legge non richiede, come assume il ricorrente,

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