Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 42078 del 19/09/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 42078 Anno 2014
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: DI TOMASSI MARIASTEFANIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da FORTUNATO Nicola, nato ad Andria il 16.1.1984,
avverso l’ordinanza emessa in data 19/4/2013 dal Tribunale di Trani,
sezione di Andria.
Visti gli atti, il provvedimento denunziato, il ricorso;
Udita la relazione svolta dal consigliere M.Stefania Di Tornassi;
Lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Oscar Cedrangolo, che ha concluso chiedendo la declaratoria
d’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO
1. Con la decisione in epigrafe il Tribunale di Trani, sezione di Andria,
giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza avanzata da Nicola FORTUNATO, volta
alla declaratoria della continuazione tra i reati oggetto delle pronunce nel
provvedimento impugnato così descritte:
1) sentenza emessa il 29.6.2005 dal Tribunale di Andria, irrevocabile il
4.10.2005;

1

Data Udienza: 19/09/2014

2) sentenza emessa il 29.11.2006 dal Tribunale di Andria, irrevocabile il
16.1.2007;
3) sentenza emessa il 28.6.2006 dal Tribunale di Trani, irrevocabile il
21.3.2007;
4) decreto penale di condanna emesso il 16.3.2007 dal Giudice per le
indagini preliminari del Tribunale di Trani, irrevocabile il 17.4.2007;
5) sentenza emessa il 4.10.2006 dal Tribunale di Andria, irrevocabile il
29.5.2007;
6) sentenza emessa il 3.10.2007 dal Tribunale di Andria, irrevocabile il
Osservava, a ragione, che dalle cinque sentenze di patteggiamento e dal
decreto di condanna emergeva soltanto che il ricorrente era stato coinvolto in
una serie di reati contro il patrimonio (furti e ricettazioni) nell’arco degli anni
2003 e 2004, e che non risultava alcun elemento comprovante l’esistenza di un
unico, originario, disegno criminoso, non bastando a tal fine l’identità delle
fattispecie, le asserite identiche modalità esecutive, le abitudini e stili di vita
allegati, né giovava l’allegata condizione di tossicodipendenza modalità, tanto più
che l’affermata commissione dei reati per l’acquisto della sostanza stupefacente
non risultava da alcuna delle decisioni allegate. Sicché andava condivisa la
giurisprudenza di legittimità che in situazioni analoghe evidenziava come i fatti
andassero piuttosto ricondotti ad uno standard di vita dedito al crimine.
2. Ha proposto ricorso il condannato a mezzo del difensore avvocato
Vincenzo Papeo, chiedendo l’annullamento della ordinanza impugnata.
Deduce violazione di legge (in riferimento agli artt. 81 c.p. e 671 c.p.p.) e
vizio di motivazione dolendosi in particolare:
– della astrattezza della decisione e della erronea sottovalutazione dei
plurimi indici chiaramente sintomatici della esistenza delle condizioni per il
riconoscimento della continuazione evidenziati dalla difesa e consistenti: nella
realizzazione di reati tutti della stessa indole (furti e ricettazioni); nel ristretto
arco temporale (anni 2003 e 2004) in cui erano stati commessi; nella identità del
contesto territoriale (Comune di Andria); nella identità delle modalità esecutive;
– della sostanziale attribuzione, così, al ricorrente dell’onere di una sorta di
prova diabolica delle sue intenzioni;
– del carattere del tutto astratto e generico della disamina compiuta dal
Giudice dell’esecuzione;
– della illegittima sottovalutazione della condizione di tossicodipendenza,
temporalmente coincidente con la commissione dei reati, quale presupposto per
l’individuazione del medesimo disegno criminoso ai sensi della legge n. 49 del
2006.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Osserva il Collegio che il ricorso appare fondato nei termini che si diranno.
2. Il provvedimento impugnato si distingue per la sua assoluta genericità,

2

6.5.2008.

richiamando le sole date delle sentenze assertivamente esaminate e limitandosi,
da un lato, ad affermare che le condanne si riferivano a furti e a ricettazioni,
dall’altro ad enunciare osservazioni astratte, affatto scollegate da dati concreti di
riferimento. Omette, in altri termini, di dare conto specifico dei fatti oggetto delle
condanne esaminate, neppure indicando dati minimi quali i singoli titoli di reato;
l’oggetto degli stessi; le date – sicuramente appurate o presuntivamente
ricavabili in base al loro accertamento – di commissione delle condotte; le
modalità di esecuzione.
Va dunque anzitutto ricordato che la motivazione ha la funzione di
dimostrare la corrispondenza tra la fattispecie concreta considerata dal giudice la
materiali sia le ragioni che all’autorità giudiziaria hanno fatto ritenere esistente la
fattispecie concreta (S.U. n. 2451 del 27 settembre 2007, Magera; S.U. 26
novembre 2003, n. 23/2004, Gatto). E se è vero che codesta funzione può, a
seconda dei casi, richiedere uno svolgimento diffuso o poche parole, essa
presuppone in ogni caso, e imprescindibilmente, la indicazione chiara dei dati
fattuali posti a fondamento della valutazione effettuata. Sicché qualsivoglia
giudizio che non esplicita, e non consente perciò di verificare, a cosa è stato
ancorato, manca dei requisiti minimi di riconoscibilità del discorso giustificativo.
2. Nel caso in esame, inoltre, il giudice di merito non contesta la
prospettazione del ricorrente che i fatti fossero stati commessi in stretta
successione temporale, nei medesimi contesti, con le medesime modalità, e
avessero il medesimo oggetto; né la circostanza che lo stesso era all’epoca
tossicodipendente. E siffatte circostanze emergono, almeno in parte, per tabulas,
dalla documentazione prodotta e dalle sentenze allegate che si riferiscono tutte a
sottrazioni, consumate o tentate, di autovetture poste sulla pubblica via, alcune
delle quali addebitate al ricorrente a titolo di ricettazione, altre a titolo di furto.
Le stesse date delle sentenze dimostrano quindi che, almeno per alcune di esse,
il passaggio in giudicato della precedente in epoca posteriore alla emissione della
successiva non avrebbe neppure teoricamente consentito al ricorrente di
avanzare la richiesta di riconoscimento della continuazione nella sede privilegiata
per l’accertamento dei fatti, ovverosia nell’ambito del giudizio di merito.
Tanto posto, e a fronte dell’affermazione che, ciò nonostante, non emergeva
alcun elemento comprovante “positivamente e rigorosamente” l’unicità del
disegno criminoso, può solo aggiungersi che, costituendo questo un aspetto
relativo alla interiorità psichica dell’agente, non può certamente esigersi che la
sua sussistenza emerga da prova diretta, il relativo accertamento non potendo
che essere affidato a dati indiziari.
E se è vero che la unicità di disegno criminoso, richiesta dall’art. 81,
secondo comma, cod. pen., non può identificarsi con una scelta di vita che
implica la reiterazione di determinate condotte criminose o comunque con una
generale tendenza a porre in essere determinati reati, altrettanto vero è che la
nozione di continuazione neppure può ridursi all’ipotesi che tutti i singoli reati
siano stati dettagliatamente progettati e previsti, in relazione loro graduale
svolgimento, nelle occasioni, nei tempi, nelle modalità delle condotte, giacché
siffatta definizione di dettaglio oltre a non apparire conforme al dettato

3

fattispecie astratta, che legittima il provvedimento, e di indicare sia i dati

normativo – che parla soltanto di “disegno” – e a non risultare necessaria per
l’attenuazione del trattamento sanzionatorio, pone l’istituto (come rimarca
autorevole Dottrina) «fuori dalla realtà concreta», data la variabilità delle
situazioni di fatto e la loro prevedibilità normalmente solo in via di larga
approssimazione.
Quello che occorre, invece, e che può considerarsi sufficiente, è che si abbia
una programmazione e deliberazione iniziale di una pluralità di condotte
grossomodo delineate (“disegnate”) in vista di un unico fine. La programmazione
può essere, perciò, ab origine anche priva di specificità, purché i reati da
compiere risultino previsti almeno in linea generale – con l’inevitabile riserva di
di un unico scopo o intento, parimenti prefissato e sufficientemente specifico. Ed
è in relazione alla unitarietà del fine che la omogeneità dei fatti (tale
intendendosi l’analogia dei singoli reati, per come in concreto realizzati o in base
all’unitarietà del contesto, nonché in relazione alla identità della spinta a
delinquere) e la loro contiguità temporale (che rappresenta di regola, in base a
dati di comune esperienza, «limite logico» della possibilità di ravvisare il reato
continuato), unitariamente considerati, fungono da indizi della assenza di
interruzioni o soluzioni della continuità: della impossibilità di affermare, cioè, che
gli episodi successivi pur mossi da analogo intento siano però frutto
dell’insorgenza di autonome risoluzioni antidoverose.
Se dunque può escludersi che una programmazione e deliberazione unitaria
possa essere desunta sulla sola base di ciascuno degli aspetti evidenziati,
singolarmente preso, neppure può dubitarsi che ciascuno di tali fattori, nessuno
di per sé “indizio necessario” ed esaustivo, aggiunto ad altro incrementa la
possibilità che debba riconoscersi l’esistenza del medesimo disegno criminoso, in
proporzione logica corrispondente all’aumento delle coincidenze indiziarie
favorevoli.
3. Per conseguenza, l’ordinanza impugnata, la cui motivazione non è
conforme ai principi sopra richiamati, non può che essere annullata con rinvio,
per nuovo esame, al Tribunale di Trani.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di
Trani.

Così deciso il 19 settembre 2014
Il consigliere e

sore

Il res

“adattamento” alle eventualità del caso – come mezzo diretto al conseguimento

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