Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 42050 del 01/07/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 42050 Anno 2014
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: LA POSTA LUCIA

Data Udienza: 01/07/2014

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI
CATANZARO
nei confronti di:
SORGATO NICOLA N. IL 06/04/1960
inoltre:
SORGATO NICOLA N. IL 06/04/1960
avverso la sentenza n. 15/2012 CORTE ASSISE APPELLO di
CATANZARO, del 18/12/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 01/07/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. LUCIA LA POSTA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. e t elp.azt34’n
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RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa in data 10.10.2011 il Giudice per le indagini preliminari
del Tribunale di Cosenza, all’esito del giudizio abbreviato, esclusa la circostanza
aggravante dei motivi futili, condannava Nicola Sorgato alla pena di anni sedici di
reclusione per il reato di omicidio volontario per avere strangolato la convivente Falbo
Tiziana.
La Corte di assise di appello di Catanzaro, in data 18.12.2012, riconosceva all’imputato

confermando nel resto la decisione di primo grado.
Richiamata la motivazione del giudice di prime cure, evidenziava che la prova
della responsabilità veniva desunta, innanzitutto, dalle circostanze riferite
dall’imputato in ordine a quanto avvenuto nel pomeriggio del 14 novembre 2010, a
seguito di un diverbio avuto con la compagna alla quale aveva contestato di essere
incapace di fare le pulizie e che questa, invitandolo ad allontanarsi, lo aveva deriso per
le sue condizioni di salute invalidanti.

2.

Avverso la sentenza di secondo grado hanno proposto ricorso per

cassazione il Procuratore generale presso la Corte di appello di Catanzaro e
l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia.
2.1. Il Procuratore generale denuncia il vizio della motivazione della sentenza
impugnata sia in ordine al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche che
alla riduzione dell’entità della pena. Rileva la contraddittorietà della motivazione
laddove la Corte di appello, nell’escludere la circostanza attenuante della
provocazione, ha evidenziato come la condotta posta in essere dall’imputato sia
grave ed aberrante; inoltre, evidenzia come l’indole prevaricatrice dell’imputato,
descritta nella sentenza di primo grado, non può essere ridimensionata nelle sue
conseguenze sanzionatorie dalla formale incensuratezza, né dalla condotta

post

delictum che è stata evidentemente sopravvalutata, tenuto conto che l’imputato
subito dopo l’omicidio si è dato alla fuga e solo in un secondo momento ha ammesso
la responsabilità. Del tutto carente, ad avviso del ricorrente, è la motivazione della
sentenza impugnata in ordine alla riduzione della pena base.

2.2.1. Con il primo motivo di ricorso il Sorgato denuncia la violazione di legge
ed il vizio di motivazione riproponendo le doglianze in ordine alla eccepita
inutilizzabilità nel giudizio abbreviato condizionato della documentazione prodotta
dalla difesa di parte civile. In specie, lamenta la totale assenza di motivazione del
giudice di secondo grado che si è limitato a confermare la valutazione sul punto del
primo giudice.
2.2.2. Il ricorrente deduce, quindi, la violazione di legge ed il vizio di

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le circostanze attenuanti generiche e riduceva la pena ad anni dieci di reclusione,

motivazione in ordine alla qualificazione giuridica del fatto di omicidio volontario
piuttosto che nella fattispecie preterintenzionale, lamentando che i giudici di
secondo grado si sono limitati a fare richiamo alla sentenza del gip, omettendo di
considerare le deduzioni difensive, in particolare, quanto alla evidente
contraddittorietà tra la parte descrittiva e quella conclusiva della consulenza del
pubblico ministero fatta propria dal primo giudice. Invero, il consulente da un lato
affermava che la causa del decesso è da ricondursi ad arresto cardio-respiratorio per
asfissia meccanica da strozzamento, dall’altro evidenziava il rinvenimento di sangue

con decesso tipico da strozzamento. Su tale circostanza era stato evidenziato che il
giudice di primo grado aveva, evidentemente, travisato la prova; nonostante ciò, la
Corte d’appello si è sottratta all’obbligo di adeguata risposta sul punto con quanto
ne consegue in ordine alla valutazione della prova dell’animus necandi.
2.2.3. Con un ulteriore motivo di ricorso si denuncia la violazione di legge ed il
vizio della motivazione in ordine alla esclusione dell’invocata circostanza attenuante
della provocazione, atteso che la reazione violenta del ricorrente era contraddistinta
dalla impulsività e totale assenza di controllo scaturente dall’atteggiamento di
scherno della vittima nei suoi confronti.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Partendo dall’esame del ricorso del Sorgato, deve rilevarsi, in primo luogo,
l’infondatezza della doglianza relativa alla eccepita inutilizzabilità nel rito abbreviato
della documentazione prodotta dalla parte civile.
Invero, la Corte d’appello non ha omesso di motivare sul punto avendo valutato
la correttezza in diritto della decisione del gup di cui all’ordinanza resa all’udienza
10/6/2011 che ha specificamente richiamato.
Come si rileva dalla sentenza di primo grado, il Sorgato aveva chiesto la
definizione del processo con il rito abbreviato condizionato alla acquisizione di
produzione documentale e all’esame dei consulenti di parte relativamente alla
capacità dell’imputato al momento del fatto e alle cause del decesso, nonché,
all’esame del direttore della filiale dell’istituto di credito presso il quale il Sorgato
aveva effettuato versamenti in favore delle vittima; aveva, altresì, formulato in via
subordinata la richiesta di rito abbreviato condizionato esclusivamente
all’acquisizione della documentazione difensiva. All’udienza camerale nel regolare
contraddittorio delle parti, il giudice, rigettata la richiesta formulata in via principale,
aveva accolto la reiterata richiesta subordinata disponendo il rito abbreviato
condizionato alla produzione documentale difensiva; quindi, ai sensi dell’art. 441
comma 5 cod. proc. pen., aveva ritenuto necessario procedere a perizia psichiatrica
ai fini di accertare la capacità dell’imputato al momento del fatto ed acquisire due
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nella trachea e di versamento emorragico nella loggia pleurica che mal si concilia

consulenze (medico-legale e psichiatrica) effettuate dalla parte civile costituita,
concedendo, inoltre, un termine alla difesa dell’imputato. Respingeva, quindi, la
richiesta dell’imputato volta alla revoca della disposta acquisizione delle consulenze
prodotte della parte civile.
Orbene, deve essere qui ribadito che nel giudizio abbreviato condizionato, il
potere di integrazione probatoria ex officio attribuito al giudice dall’art. 441, comma
5, cod. proc. pen. – per il quale quando il giudice ritiene di non potere decidere allo
stato degli atti assume, anche d’ufficio, gli elementi necessari ai fini della decisione –

giudizi a prova contratta, all’esercizio della funzione giurisdizionale e risponde,
pertanto, alle medesime finalità cui è preordinato il potere previsto dall’art. 507 cod.
proc. pen. in dibattimento (Sez. 1, n. 24865 del 09/10/2012 – dep. 2013,
Chiapponi, Rv. 255824; Sez. 5, n. 4648 del 19/12/2005 – dep. 2006, Simoncelli, Rv.
233632). Ne consegue che è legittima in sede di giudizio abbreviato condizionato
richiesto dall’imputato l’acquisizione, disposta dal giudice ex art. 441 comma 5 cod.
proc. pen., delle consulenze prodotte dalla parte civile quale sollecitazione
probatoria idonea a fornire al giudice elementi di valutazione necessari al fine della
decisione.
Del resto, il ricorrente ripropone l’eccezione di inutilizzabilità della
documentazione prodotta dalla parte civile senza indicare la rilevanza della stessa
nella decisione dei giudici di merito ai fini della valutazione della prova, atteso che,
per quel che emerge dalla sentenza impugnata e da quella di primo grado, la
valutazione delle cause della morte ai fini della qualificazione giuridica della condotta
posta in essere dall’imputato è stata fondata esclusivamente sul contenuto e sulle
conclusioni del consulente del pubblico ministero e, quanto alla capacità
dell’imputato, il gup aveva disposto la perizia psichiatrica sulla quale ha fondato la
decisione.
2. In ordine alla qualificazione giuridica del fatto, i giudici di appello hanno
ribadito che il Sorgato aveva operato una compressione digitale sul collo della donna
prolungata per un tempo apprezzabile determinando lo strozzamento ed hanno
evidenziato come la causa del decesso, secondo il consulente del pubblico ministero,
era determinata dall’arresto cardiorespiratorio conseguente ad asfissia meccanica da
compressione laringea provocata da azione di strangolamento; inoltre, ai lati del collo
erano presenti diverse ecchimosi, traccia dell’azione violenta di costrizione, nonché,
segni interni rappresentati da infiltrati emorragici anch’essi cagionati da
strangolamento. Ne hanno tratto la prova del dolo di omicidio non avendo,
peraltro, l’imputato compiuto alcun tentativo di rianimare la donna.
La Corte di appello, così come il primo giudice, ha, quindi, fatto corretta
applicazione dei principi di diritto più volte affermati in ordine all’accertamento
dell’elemento psicologico del reato di omicidio ed alla distinzione tra le fattispecie
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è preordinato alla tutela dei valori costituzionali che devono presiedere, anche nei

previste dagli artt. 575 e 584 cod. pen. che va individuata nella diversità
dell’elemento psicologico che nell’omicidio preterintenzionale consiste nella
volontarietà delle percosse o delle lesioni alle quali consegue la morte
dell’aggredito come evento non voluto, neppure nella forma eventuale ed
indiretta della previsione e del rischio.
Il travisamento della prova fondato su una contraddizione contenuta nelle
conclusioni del consulente del pubblico ministero sulle cause della morte della donna
è stato prospettato dal ricorrente in maniera non autosufficiente non essendo state

consulenza cui viene fatto riferimento al ricorso.
3. Si sostanziano nella mera riproposizione delle doglianze già formulate con
l’atto di appello le censure – invero generiche perchè non viene indicata la condotta
di derisione né la causa di scherno – in ordine al mancato riconoscimento della
circostanza attenuante della provocazione.
La Corte d’appello ha, infatti, sia pur sinteticamente, rilevato che, anche a
voler considerare il comportamento di derisione della vittima fatto ingiusto,
sussisterebbe una evidente sproporzione rispetto alla reazione dell’imputato tale
da escludere in radice la configurabilità della invocata attenuante della
provocazione.
Detta valutazione non è neppure in contraddizione con l’esclusione
dell’aggravante dei motivi futili; infatti, l’esistenza di un movente o causa
dell’azione delittuosa non futile non costituisce ex se presupposto sufficiente a
ritenere la provocazione che richiede oltre al fatto ingiusto altrui – che può
essere costituito non solo da un comportamento antigiuridico in senso stretto,
ma anche dall’inosservanza di norme sociali o di costume regolanti l’ordinaria,
civile convivenza – lo stato d’ira, costituito da una situazione psicologica
caratterizzata da un impulso emotivo incontenibile, che determina la perdita dei
poteri di autocontrollo, generando un forte turbamento connotato da impulsi
aggressivi ed un rapporto di causalità psicologica tra l’offesa e la reazione (Sez.
1, n. 5056 del 08/11/2011, Ndoj, rv. 251833). Ed è, comunque, necessaria
l’adeguatezza della risposta rispetto alla gravità del fatto ingiusto, anche se non
è richiesta una vera e propria proporzione tra offesa e reazione che non
connota circostanza attenuante in esame (Sez. 1, n. 30469 del 15/07/2010,
Lucianò, rv. 248375).
In conclusione il ricorso proposto dal Sorgato deve essere rigettato e,
conseguentemente, il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese
processuali ed alla rifusione delle spese sostenute in questo giudizio dalle parti
civili che – tenuto conto del numero e dell’importanza delle questioni trattate,
della tipologia ed entità delle prestazioni difensive, avuto riguardo ai limiti minimi
e massimi fissati dalla tariffa forense – si liquidano in complessivi euro 4.000
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indicate in maniera completa dette conclusioni e non essendo stata allegata la

(quattromila), oltre accessori come per legge.
4. Non è fondato, ad avviso del Collegio, il ricorso proposto dal Procuratore
generale che ha denunciato il vizio della motivazione della sentenza impugnata sia in
ordine al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche che alla riduzione
dell’entità della pena.
La Corte d’appello ha adeguatamente motivato l’esercizio del proprio potere
discrezionale in ordine alla determinazione dell’entità della pena ed al
riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, dando conto di avere operato

possono considerarsi in contraddizione con la pur ritenuta gravità del fatto.
La motivazione sui punti censurati dal Procuratore generale non è neppure
illogica, essendo state valorizzate la incensuratezza del Sorgato, le dichiarazioni
confessorie ed, altresì, la condotta successiva al fatto, connotata da intento
collaborativo, elementi oggettivi sui quali è escluso, in questa sede di legittimità,
un giudizio alternativo.
Il ricorso del Procuratore generale deve essere, pertanto, rigettato.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna il Sorgato al pagamento delle spese processuali,
nonché, alla rifusione delle spese sostenute in questo giudizio dalle parti civili
che liquida in complessivi euro 4.000 (quattromila), oltre accessori come per
legge.

Così deciso, il 1° luglio 2014.

una valutazione ancorata alle circostanze di fatto emerse nel giudizio che non

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