Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 42039 del 14/01/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 42039 Anno 2014
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: TARDIO ANGELA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SIMIGLIANI BERARDINO, nato il 03/08/1947
avverso la sentenza n. 301/2009 CORTE APPELLO di L’AQUILA del
19/12/2012;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in pubblica udienza del 14/01/2014 la relazione fatta dal
Consigliere dott. Angela Tardio;
udito il Procuratore Generale in persona del dott. Giovanni
D’Angelo, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
preso atto che nessuno è presente per il ricorrente.

Data Udienza: 14/01/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 3 aprile 2008 il Tribunale di Chieti – sezione distaccata
di Ortona ha dichiarato Berardino Simigliani colpevole del reato di cui all’art. 677
cod. pen., commesso in Francavilla al Mare fino al 12 settembre 2003 e con
permanenza in epoca successiva, e, concesse le circostanze attenuanti
generiche, l’ha condannato alla pena di mesi quattro di arresto,

parti civili costituite, Clemente D’Alò e Maria Paola Nunziato, liquidato in euro
duemila per ciascuna.

2. Con sentenza del 19 dicembre 2012 la Corte di appello di L’Aquila, in
parziale riforma della sentenza di primo grado, appellata dall’imputato, che ha
confermato nel resto, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti del
medesimo in ordine al reato ascrittogli perché estinto per prescrizione.
a ragione della decisione, che:
T_E
tx tetàIIL,IIerrafe(rilevava,
– il reato contestato di mero pericolo era configurabile quando il soggetto
obbligato alla conservazione dell’immobile non avesse provveduto prontamente
ai lavori necessari e indispensabili per scongiurare il pericolo per la pubblica
incolumità, e permaneva fino a quando detto pericolo non fosse cessato per fatto
volontario dell’obbligato o per altra causa;
– nella specie, essendo i lavori risultati eseguiti nel corso del 2005 ed
essendo cessato il pericolo in detto periodo, era maturato il termine massimo di
prescrizione del reato, senza che sussistesse l’evidenza dei presupposti per
l’assoluzione dell’imputato, anche tenendo conto delle doglianze e dei rilievi
difensivi formulati nell’atto di appello;
– era, in particolare, emerso dalle risultanze processuali, rappresentate dalla
documentazione prodotta dal Pubblico Ministero e dalle parti civili e dalle
deposizioni testimoniali, assunta in sede di istruttoria dibattimentale, dei testi
D’Alò e Nunziato, che il consiglio di amministrazione dell’ATER di Chieti,
proprietario del fabbricato abitato dalle parti civili, aveva deliberato il 28 giugno
2000 l’approvazione di un piano di interventi straordinari per la manutenzione e
il recupero degli edifici di proprietà dell’ente, da tempo interessati da distacchi di
cornicioni, cadute di intonaco e infiltrazioni di acqua piovana, e aveva deliberato
il successivo 6 luglio 2001 lo stanziamento di un miliardo di lire per gli interventi
di manutenzione del patrimonio, delegando l’imputato, nella qualità di direttore
amministrativo dell’ente, agli adempimenti consequenziali, necessari per il
tempestivo affidamento dei lavori e l’apertura dei cantieri;

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condizionalmente sospesa, oltre al risarcimento del danno cagionato alle due

- nonostante tali delibere, la relazione di intervento dei Vigili del fuoco di
Chieti del 19 ottobre 2001 e l’ordinanza del Comune di Francavilla al Mare del 7
novembre 2001, l’imputato non aveva provveduto tempestivamente alla
esecuzione di quanto delegatogli, non attivandosi con colposa negligenza;
– l’esecuzione dei lavori, avvenuta soltanto nel 2005, aveva impedito di
ritenere evidente nella specie la prova della non colpevolezza e quindi di
emettere sentenza di assoluzione;
– conseguiva alla corretta ricostruzione dei fatti, operata in primo grado, la

3. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione, per mezzo del
suo difensore, avv. Vittorio Supino, l’imputato, che, premettendo il richiamo allo
svolgimento del processo e alle richieste di parziale rinnovazione della istruttoria,
sottoposte alla Corte di merito e ignorate, e deducendo il suo prepensionamento
nel 2004, chiede l’annullamento della sentenza sulla base di due motivi.
3.1. Con il primo motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 606, comma
1, lett. b) e c), cod. proc. pen., erronea applicazione della legge regionale n.
44/99, dell’art. 123 d.P.R. n. 554/99 e dell’art. 6 legge n. 241/90; omessa
applicazione dell’effetto estensivo dell’assoluzione del concorrente; contrasto di
giudicati; violazione dell’art. 238-bis cod. proc. pen. e omessa valutazione della
sentenza penale come prova ed error in iudicando.
Secondo il ricorrente, egli, nella qualità di direttore amministrativo, aveva il
solo compito di appaltare l’opera a un’impresa, previa nomina di un direttore dei
lavori e responsabile del procedimento, che, nominato nella persona dell’arch.
Enrico Marasco, inizialmente suo coimputato, era stato assolto in separato
procedimento con sentenza del 28 giugno 2007 del Tribunale di Chieti,
irrevocabile il 31 ottobre 2007.
Detto direttore dei lavori, munito di apposita qualifica professionale, non
aveva mai segnalato a esso ricorrente e/proposto di intervenire per l’esecuzione
di lavori e/o per la messa in sicurezza degli edifici ed egli non aveva mai rifiutato
o ritardato gli interventi o non messo a disposizione le relative somme.
La sentenza di assoluzione del direttore dei lavori, idonea a interrompere il
nesso causale tra la sua presunta condotta omissiva e il fatto contestato, della
quale si è chiesto e si chiede l’effetto estensivo anche per evitare un contrasto di
giudicati, doveva, ad avviso del ricorrente, essere in ogni caso acquisita ai fini
della prova dei fatti in essa accertati unitamente all’ampia documentazione e alle
risultanze istruttorie comprovanti l’attendibilità degli stessi fatti.
La Corte doveva, pertanto, porsi con atteggiamento critico rispetto alla
consistenza qualitativa e quantitativa degli elementi di prova indicati a riscontro
della decisione di condanna a suo carico, alla luce degli elementi di fatto

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conferma delle statuizioni civili adottate con la sentenza appellata.

contenuti nella indicata sentenza di assoluzione, che confermavano che egli
aveva dato esecuzione alle deliberazioni del consiglio di amministrazione
dell’ATER e ottemperato ai suoi obblighi, essendo stati i lavori appaltati secondo i
tempi di affidamento e secondo le regole dell’evidenza pubblica ed essendo
l’arch. Marasco il direttore dei lavori e responsabile del procedimento.
Nessuna condotta omissiva poteva, conseguentemente, essergli ascritta e
non poteva per l’effetto configurarsi a suo carico il contestato reato, alla luce dei
richiamati principi fissati dalla giurisprudenza di questa Corte sia con riguardo al

causalità nel reato omissivo.
3.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 606,
comma 1, lett. c), d) ed e) , cod. proc. pen., mancata assunzione di una prova
fondamentale richiesta, travisamento della prova, errore di persona e omessa
motivazione sulla esclusione del nesso causale.
Secondo il ricorrente, la sentenza è incorsa in erronea lettura delle
risultanze istruttorie per avere i testi D’Alò e Nunziato, le cui deposizioni ha
richiamato, fatto riferimento all’arch. Marasco e alla ditta appaltatrice nonché alla
data dei primi lavori effettuati nel 2001, ponendosi tali emergenze come
dimostrative dell’adempimento da parte sua dei compiti, che era tenuto a
assolvere quale direttore dell’ATER.
Peraltro, lo stesso arch. Marasco con nota del 22 aprile 2003, inviata al
comune di Francavilla al Mare, aveva fatto presente di avere effettuato un
sopralluogo il 19 marzo 2003 senza riscontrare alcun pericolo.
Era, pertanto, determinante,,_ analizzare la condotta del medesimo e, non
essendo la giustizia certamente conseguente a una pronuncia di declaratoria di
non luogo a procedere per intervenuta prescrizione, estendere per coerenza a
esso ricorrente la medesima decisione assolutoria, la cui acquisizione aveva
comunque il carattere della necessarietà, unitamente alle altre prove richieste
influenti sulla rappresentazione dell’elemento soggettivo, da valutarsi tenendo
conto dell’apporto causale dell’indicato Marasco, della sentenza di assoluzione
dello stesso, dei fatti in essa acclarati, della predetta nota del 22 aprile 2003,
delle delibere e dei piani di spesa dell’ente, delle deleghe in atti, dei poteri dei
direttori, del suo prepensionamento e delle attività adempiute.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso, proposto dall’imputato avverso la sentenza che, all’esito del
giudizio di appello, ha dichiarato non doversi procedere nei suoi confronti per
intervenuta prescrizione del reato e ha confermato le statuizioni civili, deve
essere accolto nei termini che seguono.
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reato di cui all’art. 677 cod. pen. sia con riguardo più in generale al tema della

2. Si rileva in diritto che, secondo l’orientamento costante di questa Corte, il
giudice, in presenza di una causa di estinzione del reato, è legittimato a
pronunciare sentenza di assoluzione, a norma dell’art. 129, comma 2, cod. proc.
pen., soltanto nei casi in cui le circostanze idonee a escludere l’esistenza del
fatto, la commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza
penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la
valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto
“constatazione”,

“apprezzamento”,

ossia di percezione

ictu ocu/i,

che a quello di

e sia, quindi, incompatibile con qualsiasi necessità di

accertamento o di approfondimento (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009,
dep. 15/09/2009, Tettamanti, Rv. 244274).
Ne consegue che la formula di proscioglimento nel merito prevale sulla
dichiarazione di improcedibilità per intervenuta prescrizione soltanto nel caso in
cui sia rilevabile, con una mera attività ricognitiva, l’assoluta assenza della prova
di colpevolezza a carico dell’imputato ovvero la prova positiva della sua
innocenza, e non anche nel caso di mera contraddittorietà o insufficienza della
prova, che richiede un apprezzamento ponderato tra opposte risultanze (tra le
altre, Sez. 5, n. 39220 del 16/07/2008, dep. 20/10/2008, Pasculli e altri, Rv.
242191; Sez. 4, n. 23680 del 07/05/2013, dep. 31/05/2013, Rizzo, Rv. 256202;
Sez. 1, n. 43853 del 24/09/2013, dep. 25/10/2013, Giuffrida, Rv. 258441).
Qualora, invero, in presenza di una causa estintiva del reato già maturata, si
ammettesse la rilevabilità, da parte del giudice di legittimità, del vizio di
motivazione della sentenza impugnata, il rinvio al giudice del merito sarebbe
incompatibile con il principio dell’immediata applicabilità della causa estintiva,
intesa come sua operatività, nel corso dell’intero iter processuale, con carattere
di pregiudizialità su altri eventuali provvedimenti decisori suscettibili di adozione
da parte del giudice (Sez. U, n. 3027 del 19/12/2001, dep. 25/01/2002, P.G. in
proc. Angelucci, Rv. 220555), e, in ogni caso, il giudice di merito, destinatario
del processo in sede di rinvio, sarebbe obbligato a rilevarla e a dichiararla
immediatamente (tra le altre, Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009,
dep. 15/09/2009, Tettamanti, Rv. 244275; Sez. 5, n. 588 del 04/10/2013,
09/01/2014, Zambonini, Rv. 258670).
2.1. Né, in assenza di una situazione di evidenza probatoria dell’innocenza
dell’imputato risultante dagli atti (elementi positivi della sua estraneità rispetto
all’addebito contestato o mancanza assoluta di prove a suo carico), l’obbligo di
immediata declaratoria di estinzione del reato confligge con esigenze di tutela dei
diritti fondamentali della persona che consentano di derogare alla regola
generale dettata dall’art. 129, comma 2, cod. proc. pen., poiché, attraverso
l’esercizio della facoltà di rinunciare espressamente e specificamente alla causa
5

di

di estinzione del reato (facoltà esercitabile in ogni stato e grado del giudizio
dall’interessato ex art. 157, comma 7, cod. pen.), l’imputato può riespandere il
suo diritto costituzionalmente garantito alla celebrazione del giudizio di merito e
alla pronuncia di una decisione penale sul merito dell’addebito a lui mosso e
perseguire il suo interesse a un pieno accertamento della sua innocenza (Sez. U,
n. 43055 del 30/09/2010, dep. 03/12/2010, Dalla Serra, Rv. 248379).
2.2. Nella giurisprudenza di questa Corte si è anche puntualizzato, avendo
riguardo al peculiare ambito applicativo dell’art. 578 cod. proc. pen. e ai rapporti

che, all’esito del giudizio, il proscioglimento nel merito, in caso di
contraddittorietà o insufficienza nella prova, prevale, tuttavia, rispetto alla
dichiarazione immediata di una causa di non punibilità, quando, in sede di
appello, sopravvenuta una causa estintiva del reato, il giudice sia chiamato a
valutare, per la presenza della parte civile, il compendio probatorio ai fini delle
statuizioni civili (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, dep. 15/09/2009, Tettamanti,
Rv. 244273; Sez. 6, n. 4855 del 07/01/2010, dep. 04/02/2010, Damiani e altro,
Rv. 246138; Sez. 6, n. 16155 del 20/03/2013, dep. 08/04/2013, Galati e altri,
Rv. 255666).
Si è, in particolare, rimarcato che, rispetto alla dichiarazione immediata di
una casa di non punibilità, non vi è ragione per la quale, in sede di appello, ai
sensi e per gli effetti di cui all’art. 578 cod. proc. pen., non debba prevalere non solo nel caso di acclarata piena prova di innocenza, ma anche in presenza di
prove ambivalenti – la formula assolutoria nel merito rispetto alla causa di
estinzione del reato, posto che nessun ostacolo procedurale, né le esigenze di
economia processuale (che, come più volte detto, costituiscono, con riferimento
al principio della ragionevole durata del processo, la ratio ed il fondamento della
disposizione di cui all’art. 129, comma 2, cd. proc. pen.), possono impedire la
piena attuazione del principio del favor rei con l’applicazione della regola
probatoria di cui al comma 2 dell’art. 530 del codice di rito (Sez. U, n. 35490 del
28/05/2009, Tettamanti, citata, in motivazione; Sez. U, n. 40109 del
18/07/2013, dep. 27/09/2013, Sciortino, in motivazione).
Tale regola, infatti, suppone che, quando è presente la parte civile,
l’apprezzamento sulla responsabilità sia compiuto esaustivamente anche nel caso
di intervenuta prescrizione del reato e comporta che, in presenza di elementi di
incertezza (rilevanti a determinare una delle situazioni considerate
espressamente dalla indicata norma), la condanna civilistica deve essere
annullata e la formula di proscioglimento, che definisce, contestualmente,
l’aspetto penale del processo, non può essere l’improcedibilità per estinzione del
reato, ma quello dell’assoluzione (Sez. 6, n. 16155 del 20/03/2013, Galati e altri
citata).
6

tra la disciplina recata da detta norma e quella di cui all’art. 129 cod. proc. pen.,

3. Di tali principi, che il Collegio condivide e riafferma, la Corte di appello
non ha fatto esatta interpretazione e corretta applicazione.
3.1. Essa, infatti, richiamati gli elementi del contestato reato e rilevatane la
natura permanente, ha preliminarmente dato atto della sopravvenuta
maturazione del termine prescrizionale del reato decorrente dalla cessazione nel
2005 della sua permanenza, e ha escluso la sussistenza dei presupposti per
poter assolvere l’imputato, “non risultando dagli atti evidente che il fatto non

reato o non è previsto dalla legge come reato, pur tenuto conto delle doglianze e
dei rilievi formulati dal difensore nell’atto di appello”.
Quindi, la Corte, apprezzata come corretta la ripercorsa ricostruzione dei
fatti operata dal primo Giudice sulla scorta delle richiamate risultanze
processuali, ha ritenuto impedite l’evidenza nella specie della prova della non
colpevolezza dell’imputato e la pronuncia di sentenza assolutoria del medesimo
alla luce di tale ricostruzione dei fatti, alla cui correttezza ha fatto conseguire
anche la conferma delle statuizioni civili.
3.2. In tal modo, la Corte, omettendo di considerare che, in presenza delle
parti civili, doveva decidere ai sensi dell’art. 578 cod. proc. pen. e, senza
arrestarsi alla sola sostanziale applicazione dell’art. 129, comma 2, cod. proc.
pen., correlato al criterio dell’evidenza della prova liberatoria verso una delle
formule assolutorie in esso previste, confrontarsi con le doglianze e i rilievi
difensivi formulati con i motivi di appello, al di là del generico riferimento
incidentale alla circostanza di averne tenuto conto, ha espresso un percorso
argomentativo, che, incentrato sulla costatazione dell’assenza della prova
evidente della non colpevolezza dell’imputato e sulla correttezza della
ricostruzione dei dati fattuali contenuta nella pronuncia di primo grado e
coerente ai fini penali, non ha dato risposta, ai fini civili, alle censure rivolte a
detta sentenza con il gravame di merito e che, non dichiarate né implicitamente
ritenute inammissibili, dovevano formare oggetto, di specifico apprezzamento in
coerenza con la stessa funzione del controllo devoluto al giudice superiore,
attraverso il giudizio di impugnazione.
Né questa Corte può autonomamente procedere al confronto, che implica un
non consentito giudizio di merito, tra le ragioni della decisione del Tribunale e i
motivi di appello, dovendo, invece, rilevare che sulle censure espresse
diffusamente in detti motivi, attinenti a contestate ragioni di prova, coinvolgenti
gli elementi del reato, le responsabilità individuali, l’assoluzione del coimputato,
estese alle richieste di rinnovazione istruttoria, e devolute in concreto alla sua
cognizione, la Corte di appello è incorsa in vizio argomentativo sulla

7

sussiste o che 11 medesimo non lo ha commesso o che il fatto non costituisce

responsabilità dell’imputato, quanto alle confermate statuizioni civili, in
violazione dell’art. 578 cod. proc. pen.
3.3. In tale contesto, la richiesta assolutoria del ricorrente, mancando
l’evidenza della prova, è priva di alcuna fondatezza, presupponendo una sua,
invece, non espressa rinuncia alla prescrizione, mentre la sentenza, non
adeguatamente motivata ai fini civilistici, deve essere annullata con rinvio per
nuovo giudizio sul punto.

grado di appello ai sensi dell’art. 622 cod. proc. pen., alla luce del condiviso
principio affermato, superando il contrasto registrato nella giurisprudenza di
legittimità, dalle Sezioni unite di questa Corte (Sez. U, n. 40109 del 18/07/2013,
Sciortino, citata, Rv. 256087), alla cui stregua “in ogni caso in cui il giudice di

appello abbia dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione del
reato (o per intervenuta amnistia), senza motivare in ordine alla responsabilità
dell’imputato ai fini delle statuizioni civili, a seguito del ricorso per cassazione
proposto dall’imputato, ritenuto fondato dalla corte di cassazione, deve essere
disposto l’annullamento della sentenza con rinvio al giudice civile competente per
valore in grado di appello, a norma dell’art. 622 cod. proc. pen.”, che si riferisce
senza eccezione ai casi di annullamento di capi (o disposizioni) riguardanti la
responsabilità civile.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata ai soli effetti delle statuizioni civili e rinvia
per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello.
Così deciso in Roma il 14 gennaio 2014

Il Consigliere estensore

4. Il rinvio deve essere disposto al giudice civile competente per valore in

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