Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 42030 del 17/07/2014


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Penale Sent. Sez. U Num. 42030 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: VESSICHELLI MARIA

SENTENZA

sul ricorso proposto dal
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Como
nel procedimento nei confronti di
1. Basso Raffaele, nato a Sesto San Giovanni il 05/06/ 1957
2. Giuliano Massimo, nato a Sesto San Giovanni, il 10/10/1973
3. Sala Massimiliano, nato a Mortara, il 18/03/1966
4. Siragusa Vincenzo, nato a Cernusco sul Naviglio, il 01/10/1966

avverso la ordinanza del 04/10/2013 del Tribunale di Como

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso
udita la relazione svolta dal componente Maria Vessichelli
udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato generale Carlo Destro, che
ha concluso chiedendo dichiararsi la inammissibilità del ricorso;

Data Udienza: 17/07/2014

udito il difensore degli indagati Sala e Siragusa, avv. Michele Corroppoli, che ha
concluso chiedendo la inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Como ha proposto
ricorso per cassazione avverso l’ordinanza emessa il 4 ottobre 2013 dal locale
Tribunale, con la quale era stato rigettato l’appello presentato ai sensi dell’art.

Tale impugnazione di merito aveva avuto ad oggetto l’ordinanza del G.i.p.
del Tribunale di Como che aveva disatteso – con pronuncia di sola incompetenza
– la richiesta di sequestro preventivo dei beni di Massimo Giuliano, Raffaele
Basso, Vincenzo Siragusa e Massimiliano Sala, indagati del reato di cui all’art. 2
d.lgs. n. 74 del 2000 (dichiarazione fraudolenta, al fine di evadere le imposte sui
redditi o sul valore aggiunto, mediante uso di fatture o altri documenti per
operazioni inesistenti).
Il sequestro preventivo era stato richiesto in vista della confisca di cui all’art.
322-ter, consentita dalla legge finanziaria del 2008 (art. 1, comma 143, legge 24
dicembre 2007, n. 244) anche nella materia fiscale in esame, in relazione al
profitto o al prezzo del reato ovvero a beni, di cui il reo abbia la disponibilità, per
un valore corrispondente a tale prezzo o profitto.
Ad avviso del P.m., la richiesta era da formulare al G.i.p. di Como, ritenuto
competente in ragione del fatto che i reati riferiti agli odierni indagati erano da
reputare connessi teleologicamente, ex art. 12, comma 1, lett. c), cod. proc.
pen., ad altro reato – quello ex art. 8 dello stesso decreto (emissione delle
fatture per operazioni inesistenti, finalizzate, appunto, a consentire a terzi la
evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto) – precedentemente
iscritto a carico del coindagato Rigamonti Maurizio, in separato procedimento, di
non contestata competenza della A.G. di Como.
Si era in presenza, cioè, di reato – quello ex art. 8 – commesso per
eseguirne altri – quelli ex art. 2 – con la conseguenza che da tale connessione
sarebbe derivata la attrazione di tutti i reati nella competenza del Tribunale di
Como.
Ed invero, il criterio della connessione sarebbe stato destinato a prevalere,
secondo la prospettazione del P.m. richiedente – fermo il rilievo che sia il delitto
ex art. 2 che quello ex art. 8 del d. Igs. n. 74 del 2000, sono di pari gravità, e
fermi altresì i differenziati criteri di determinazione della competenza per
territorio previsti nello stesso d. Igs. relativamente all’una e all’altra fattispecie
(per l’art. 8, valendo il criterio speciale del luogo di accertamento del reato,

322-bis cod. proc. pen.

quando non è possibile regolarsi secondo il criterio generale sulla competenza
per territorio,

ex art. 8 cod. proc. pen., e cioè quando non è possibile

determinare il luogo «in cui il reato è stato consumato», corrispondente a quello
di redazione materiale delle fatture false: così, l’art. 18, comma 1, d. Igs. n. 74
del 2000; e, per l’art. 2, valendo il luogo del domicilio fiscale dei dichiaranti:
così, l’art. 18, comma 2, decreto cit.) – dovendo trovare applicazione la seconda
regola sulla competenza per territorio determinata da connessione, di cui all’art.
16, comma 1, seconda parte, cod. proc. pen., nel senso che, per tutti i reati

compente per il primo reato. E cioè per il reato di cui all’art. 8 che è quello
ravvisato in relazione alla emissione delle fatture, logicamente e
cronologicamente presupposto dalla fattispecie della utilizzazione delle stesse. In
conclusione, secondo il P.m., il G.i.p. di Como.
Il G.i.p. di Como era stato, però, di diverso avviso, osservando, da un lato,
che la richiesta di sequestro preventivo nei confronti di Rigamonti non poteva
essere accolta per questioni attinenti alla configurabilità del fumus del reato nei
confronti di tale indagato (la confisca per equivalente, essendo misura di natura
sanzionatoria, non poteva trovare applicazione retroattiva, con riferimento a fatti
ritenuti commessi in data anteriore rispetto a quella di entrata in vigore della
legge n. 244 del 2007), mentre, d’altra parte, la misura riguardante gli altri
soggetti, indagati per l’art. 2 legge n. 274 del 2000, era di competenza del
giudice del luogo del domicilio fiscale dei dichiaranti. Al riguardo, il G.i.p.
riteneva di adeguarsi ai principi espressi nella sentenza Sez. 3, n. 8552 del
29/02/2012, Lombardi, Rv. 252761, sostenendo che non si applica il criterio
della competenza per connessione ai sensi dell’art. 12, lett. c), cod. proc. pen.,
quando i reati siano stati commessi da soggetti diversi: infatti, in tal caso,
mancherebbe l’unità del processo volitivo tra il reato mezzo e il reato fine,
previsto dal nesso teleologico, e sarebbe possibile solo individuare una ipotesi di
connessione eventualmente probatoria, che non produce spostamento di
competenza, tanto più che l’interesse dell’imputato alla trattazione unitaria dei
procedimenti per reati connessi teleologicamente non potrebbe pregiudicare
quello del coimputato a non essere sottratto al giudice naturale.
Su tale punto della richiesta aveva dunque dichiarato con ordinanza la
propria incompetenza a provvedere.

2. Contro tale ordinanza, limitatamente, però, al solo punto della affermata
incompetenza dichiarata dal G.i.p. in ordine ai fatti contestati a Basso, Giuliano,
Sala e Siragusa, il P.m. aveva proposto appello ex art. 322-bis cod. proc. pen.

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sopra menzionati, la cognizione avrebbe dovuto essere attribuita al giudice

Aveva osservato che l’orientamento della giurisprudenza di legittimità sopra
evocato non è univoco, essendovi pronunzie contrarie (così Sez. 6, n. 37014 del
23/09/2010) e che nemmeno il testo letterale della norma sulla connessione
esige la interpretazione data dal G.i.p., dopo che vi era stata la riforma che
aveva espunto il riferimento alla circostanza che i più reati finalisticamente
connessi dovessero essere stati commessi da «una sola persona».

3. Il Tribunale adito ha, invero, preliminarmente ritenuto condivisibile la tesi

nella sentenza Sez. 6 n. 37014 del 2010, ed in contrasto con il G.i.p., che, in
linea generale, ai fini della configurabilità della connessione teleologica, non è
richiesto che debba esservi identità tra gli autori del reato fine e quelli del reato
mezzo.
Tuttavia, ha anche osservato che, nella materia dei reati tributari, dovesse
trovare applicazione il criterio attributivo della competenza per territorio, fissato
dall’art. 18, comma 2, d. Igs. n. 74 del 2000, secondo cui il reato di cui al citato
art. 2 si considera consumato nel luogo in cui il contribuente ha il domicilio
fiscale: si tratterebbe, infatti, di criterio speciale, idoneo a derogare alle norme
generali, anche quelle sulla competenza per connessione contenute nel codice di
rito.

4. Il P.m. ha impugnato, con ricorso, tale ordinanza, denunciando, in
premessa, la erronea applicazione degli artt. 12, lett. c), e 16 cod. proc. pen.
nonché dell’art. 18 d. Igs. n. 74 del 2000.
Ha osservato che, pur avendo il Tribunale condiviso la tesi per cui può
ravvisarsi connessione teleologica anche tra reati commessi da persone diverse,
lo stesso giudice aveva proposto una lettura delle norme fiscali, in tema di
competenza, non condivisibile.
Infatti l’art. 18 citato dal Tribunale detta regole sulla competenza per
territorio, ora a connotato integrativo di quelle generali del codice, ora a
connotato eccezionale, comunque determinate dalla peculiarità dei reati tributari
e dalla difficoltà di adeguare ad esso le ordinarie regole sulla competenza per
territorio, senza però che tale disciplina possa ritenersi capace di incidere
sull’istituto della connessione.
Questo rappresenterebbe un criterio determinativo della competenza, con la
caratteristica della autonomia e della pari dignità con gli altri, tanto da essere
stato ritenuto compatibile con il principio del “giudice naturale precostituito per
legge” (Corte cost., sent. n. 21 del 2013) e non derogabile se non per effetto di
espressa manifestazione di volontà del legislatore (come nel caso dell’art. 4,
4

del P.m. appellante e ha dunque riconosciuto, in adesione ai principi espressi

comma 1, d. Igs. n. 274 del 2000, in tema di reati di competenza del giudice di
pace).
Ha concluso evidenziando tutti i connotati di rilievo per la operatività, nel
caso concreto, della competenza per connessione.

5. La Terza Sezione penale, assegnataria del ricorso, ha, con ordinanza del
18 marzo 2014, ritenuto rilevante e decisiva, ai fini del provvedimento da
adottare, la risoluzione del contrasto giurisprudenziale sul tema dei limiti di

reati commessi, gli uni, per eseguire gli altri: sul se, cioè, detta norma sia
destinata ad operare soltanto quando vi sia identità tra gli autori del reato fine e
quelli del reato mezzo.
Ha citato, a sostegno della tesi accreditata dalla sentenza della Sezione 3
sopra citata (ric. Lombardi, Rv 252761), anche le conformi sentenze della Sez. 1,
n. 3799 del 1991, Barretta, Rv 188844; Sez. 1, n. 3385 del 1995, Pischedda, Rv
200701; Sez. 1, n. 1495 del 1998, Archinà, Rv 212270; Sez. 1, n. 19066 del
2004, Leonardi, Rv, 228654; Sez.1, n. 23591 del 2008, Avitabile, Rv 240205.
In senso contrario ha ricordato la sentenza della Sez. 6, n. 37014 del 2010,
Della Giovampaola, Rv 248746 e quella della Sez. 5, n. 10041 del 1998,
Altissimo, Rv 211391, alle quali ritiene di aderire in considerazione,
essenzialmente, del rilievo che la formulazione dell’art. 12, lett. c), ha subito una
modifica ad opera del d.l. n. 367 del 1991 (convertito dalla legge n. 8 del 1992),
proprio nel senso di vedere eliminato il riferimento al caso dell’unico imputato o
dei medesimi imputati concorrenti, presente nella precedente versione.

6. Il Primo Presidente, con decreto dell’8 aprile 2014, ha assegnato il ricorso
alle Sezioni Unite, fissandone la trattazione per la odierna udienza, in vista della
quale il difensore di Sala e Siragusa, avv. Michele Corroppoli, ha depositato una
memoria con cui ha chiesto la inammissibilità o il rigetto del ricorso del P.m.,
nella prospettiva della interpretazione dell’art. 12, lett.

c),

a suo tempo

rappresentata dal G.i.p.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. La questione rimessa alle Sezioni Unite è la seguente: “Se ai fini della
connessione teleologica, prevista dell’art. 12, lett. c), cod. proc. pen., sia o meno
richiesta l’identità fra gli autori del reato fine e quelli del reato mezzo”.

2. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
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operatività dell’art. 12, lett. c) , cod. proc. pen., riguardante la connessione tra

Preliminare alla trattazione del merito della impugnazione sottoposta alle
Sezioni Unite, risulta, infatti, l’apprezzamento di una causa di inammissibilità che
inficiava l’appello, del P.m., che aveva dato luogo al provvedimento qui
impugnato.
Va rilevata in questa sede, così come previsto dall’art. 591, comma 4, cod.
proc. pen., la inoppugnabilità della ordinanza di incompetenza del G.i.p.,
inoppugnabilità che avrebbe potuto e dovuto essere, in limine, dichiarata dal
giudice adito con appello ex art. 322-bis cod. proc. pen. e che, non essendolo

Invero, inammissibile l’appello proposto, l’ordinanza del Tribunale di Como
risulta per ciò stesso delegittimata per mancanza di un valido atto propulsivo e
non può essere esaminata nel merito, dovendo invece essere espunta dal
procedimento, con annullamento senza rinvio.
La inammissibilità, apprezzata da questa Corte ed evidenziata nelle sue
conclusioni, anche dal Procuratore generale di udienza, è dunque quella che
concerne l’appello che, come nella specie, sia stato proposto al tribunale contro
una ordinanza del g.i.p., dichiarativa di sola incompetenza ai sensi dell’art. 22,
comma 1, cod. proc. pen.

3. Il G.i.p., adito nel corso delle indagini preliminari con richiesta di decreto
di sequestro preventivo, aveva riconosciuto la propria incompetenza ed aveva,
sul punto, pronunciato ordinanza, disponendo la restituzione degli atti al Pubblico
ministero il quale, come sancito dal comma 2 della stessa norma, era ed è
rimasto vincolato dalla decisione del giudice, limitatamente al provvedimento
richiesto: non privato, cioè, della titolarità del potere di proseguire le indagini
presso il proprio Ufficio, ma del solo strumento cautelare reale che aveva
sollecitato e comunque destinatario di una dichiarazione di incompetenza del
Giudice delle indagini preliminari basata su un principio di diritto che, nelle fasi
successive del processo, avrebbe potuto e potrebbe indubbiamente essere
ripreso e condizionarne lo svolgimento.
Di qui, l’indubbio interesse processuale del P.m. a reagire alla ordinanza del
G.i.p.
Senonchè, è da escludere che, nel vigente sistema, ad ogni interesse a
reagire, legittimamente configurato, corrisponda necessariamente uno strumento
di impugnazione.
3.1. Opera nella materia, infatti, il generale principio di tassatività dei “casi”
e dei “mezzi” di impugnazione, posto dall’art. 568, comma 1, cod. proc. pen.,
secondo cui, appunto, la legge stabilisce i casi nei quali i provvedimenti del
giudice sono soggetti ad impugnazione e determina il mezzo con cui possono
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stata, deve essere dichiarata in ogni stato del procedimento.

essere impugnati. Più precisamente opera, ex art. 591, comma 1, lett. b) , cod.
proc. pen., la sanzione della inammissibilità per la violazione del principio di
tassatività dei “casi” di impugnazione («quando il provvedimento non è
impugnabile»), essendo, il principio di tassatività dei “mezzi” di impugnazione,
temperato e regolato dal coesistente principio di necessaria riqualificazione,
quando è possibile, ai sensi dell’art. 568, comma 5, cod. proc. pen.
D’altra parte, il principio in questione non ha incontrato, ad opera della
giurisprudenza, altre limitazioni, tantomeno per effetto di interpretazione

3.2. Ed è indubbio che l’art. 22 cit. non contenga la previsione della
impugnabilità della ordinanza di incompetenza pronunciata nel corso delle
indagini preliminari, disciplinando comunque il meccanismo della restituzione
degli atti al p.m. senza che, dalla decisione negativa sulla competenza, derivi
direttamente alcuna forma di stallo delle indagini in corso.
La giurisprudenza di legittimità si è già espressa, più volte, nel senso della
inoppugnabilità, in casi di dichiarata incompetenza sia per territorio che
funzionale, con ordinanza (v. Sez. 6, n. 4386 del 15/11/1994, Sisinni, Rv.
200848; Sez. 6, n. 598 del 01/03/1993, Formica, Rv. 193913; Sez. 5, n. 1509
del 30/09/1992, Bartolomucci, Rv. 192278; Sez. 1, n. 3477 del 22/09/1992,
Zazza, Rv. 192042).
3.3. La stessa giurisprudenza, in realtà, si è spinta oltre affermando un più
generale principio di non impugnabilità di tutti i provvedimenti negativi di
competenza, abbiano essi la forma di sentenza o quella di ordinanza, e
sottolineando come una simile conclusione possa e debba fare leva sull’art. 28
cod. proc. pen. ossia sulla norma che – come, del resto, anche l’art. 51 del
codice di rito abrogato – riserva a tali provvedimenti, anche in sede di
esecuzione, esclusivamente la elevazione del conflitto di competenza (Sez. 1, n.
1746 del 15/06/1990, Desiderio, Rv.184954, conforme ad una tradizione
giurisprudenziale dello stesso tenore affermatasi nella vigenza del vecchio
codice: Rv. 177325; Rv. 176122; Rv. 152783).
Sulla stessa linea si rinviene, senza contrasto alcuno, Sez. 6, n. 619 del
08/11/1995, Burali, Rv. 203373; e più di recente, Sez. 1, n. 15792 del
17/01/2011, Campanella, Rv. 249962; Sez. 6, n. 9729 del 14/11/2013, Federici,
Rv. 259251, quest’ultima relativa proprio ad ordinanza dichiarativa di
incompetenza.

4. Invero, numerose di tali decisioni e, tra le altre, quest’ultima, oltre al
principio di tassatività in tema di impugnazioni, hanno condivisibilmente fatto
ricorso, per sostenere la decisione sulla inoppugnabilità, anche a quello
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analogica che è strumento non ammesso nella materia in esame.

eccettuativo espresso dall’art. 568, comma 2: norma che, nel sancire la
inoppugnabilità delle sentenze sulla competenza che possono dare luogo a
conflitto di competenza a norma dell’art. 28 cod. proc. pen., è stata, dalla
giurisprudenza di questa Corte, ritenuta dotata di portata precettiva che
prescinde dalla forma del provvedimento (sentenza/ordinanza), poiché il profilo
dirimente è che si tratti di pronuncia sulla competenza.
4.1. Si tratta di principio che riproduce quello già iscritto in termini analoghi
nell’art. 190, comma 2, del previgente codice di rito, così come modificato, con

111 Cost.
Una norma, quella dell’art. 190, comma 2, che come sottolineato dalle
Sezioni Unite nella sentenza n. 7415 del 13/07/1985, Dassiè, Rv. 170194, aveva
riaffermato la regola generale della tassatività delle impugnazioni nel senso della
inoppugnabilità dei provvedimenti per i quali non sia previsto uno speciale mezzo
di impugnazione, ma poi, proprio per effetto della novella, aveva anche
sovvertito la suddetta regola per quanto concerneva i provvedimenti sulla libertà
personale e le sentenze, fissando infine una tassativa eccezione alla eccezione,
per quanto riguardava le sentenze che potevano dare luogo ad un conflitto di
giurisdizione o competenza «ai sensi dell’articolo 51 cod. proc. pen.» 1930.
Ebbene, in tale sentenza, i cui principi – compreso quello che qui interessa sono in gran parte ancora validi e condivisibili, ci si soffermò – sostenendola sulla generale inoppugnabilità delle sentenze sulla competenza, in ragione della
possibilità di ricorso a conflitto, comprese quelle che “possono” dare luogo a
conflitto di competenza tra la pronuncia medesima e la eventuale contrastante
valutazione sul punto di competenza da parte del nuovo giudice investito della
causa.
Le Sezioni Unite esclusero, cioè, che, in ordine al tema della “possibilità di
conflitto di competenza” richiesta per la non ricorribilità in cassazione della
sentenza, potesse essere condivisa la tesi della giurisprudenza minoritaria (v.
Sez. 5, n. 3303 del 15/12/1977, Passalacqua, Rv. 138398), secondo cui, a
precludere la ricorribilità per cassazione della sentenza sulla competenza potesse
essere solo un conflitto già attuale, determinato dalla già registrata pronuncia
contrastante di due giudici sulla competenza.
Sottolinearono, infatti, che una simile tesi era preclusa, tra l’altro, dalla
lettera dell’articolo 190, comma 2, cod. proc. pen. 1930 (riprodotta nel vigente
art. 568, comma 2) che eccettuava dalla ricorribilità anche tutte le sentenze
«che possono dare luogo» e non già soltanto quelle che diano luogo a conflitti di
competenza.

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legge 18 giugno 1955, n. 517, per inserire nel codice quanto previsto dall’art.

La sentenza delle Sezioni Unite, seguita da tutte quelle successive senza
nuovi contrasti (vedi, fra le molte, Sez. 1, n. 3808 del 22/02/1994, Minore, Rv.
196985) è stata poi reiterata, nei suoi principi, dalla giurisprudenza formatasi sul
codice vigente (Sez. 1, n. 3768 del 31/05/1996, D’Amico, Rv. 205510; Sez. 6, n.
2037 del 21/12/1992, Grieco, Rv. 193283).
4.2. Ebbene, tornando al tema che qui interessa e cioè alla possibilità di
risolvere il quesito sulla inoppugnabilità del provvedimento che nega la
competenza, anche alla luce dell’art. 568, comma 2, cod. proc. pen., va citata

Anzalone, Rv. 203985, che pone ancora una volta in risalto, appunto, come
anche l’ordinanza del giudice della udienza preliminare in tema di competenza
per territorio (nella specie era stata respinta la eccezione di incompetenza) non
sia impugnabile, sia perché ciò è espressamente escluso dal comma 2 dell’art.
568 cod. proc. pen. – che si riferisce alle sentenze sulla competenza, ma la cui
ratio è per analogia applicabile anche alle ordinanze -, sia perché tal genere di
decisione può dar luogo a conflitto, per il cui componimento è prevista la
specifica procedura di cui agli articoli 28 e seguenti del codice di rito.
Si è poi coerentemente chiarito, in altra decisione, che l’espressa previsione
– di cui all’art. 568, comma 2, cod. proc. pen. – di non impugnabilità delle
statuizioni concernenti la competenza trova ragione nel fatto che, trattandosi di
pronunzie che possono dar luogo a conflitto di competenza, esse non soffrono di
alcuna lacuna di garanzia giurisdizionale, rispondendo lo strumento processuale
di verifica ad una scelta del legislatore, secondo criteri di razionalità, speditezza
e di opportunità processuale (Sez. 6, n. 2556 del 26/06/1995, Bruno, Rv.
202468).
4.3. In conclusione, va riconosciuto, uniformemente del resto alla dottrina,
che il codice vigente ha ribadito che le pronunzie sulla competenza sono, di
regola, sottratte al generale regime delle impugnazioni ma affidate alla
normativa in tema di conflitti, sollevabili anche di ufficio quando ne ricorrano
effettivamente i presupposti: una regolamentazione che individua quale giudice
esclusivo la Corte di cassazione, deputata alla tutela di un interesse che è
sottratto – a differenza di quello sotteso alle impugnazioni – alla disponibilità
delle parti.

5. Tanto premesso, può evidenziarsi che, nel caso di specie, il conflitto
potrebbe instaurarsi se il nuovo g.i.p., investito dal p.m. al quale l’omologo
avesse trasmesso gli atti per il rinnovo della domanda cautelare, si ritenesse a
sua volta incompetente, essendo a tal fine disponibile lo strumento del conflitto

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anche la decisione assunta in tal senso da Sez. 1, n. 789 del 06/02/1996,

”nel caso analogo” di cui all’articolo 28, comma 2, operativo in situazioni diverse
da quelle del “processo”.
5.1. Non ricorrono invece situazioni come quella della abnormità del
provvedimento di incompetenza che, secondo la costante giurisprudenza di
questa Corte, dando vita ad un provvedimento che esula dal sistema
processuale, non può imporsi al giudice indicato come competente e potrebbe
legittimare le parti non al conflitto ma al solo ricorso per cassazione (Sez. 1, n.
4794 del 09/07/1999, Chiantese, Rv. 214285).

capace di dare luogo al conflitto positivo di cui all’articolo 28, comma 3, cod.
proc. peri. o, ancora, a quello di provvedimenti, ad esempio, affermativi della
competenza, in differenti gradi di giudizio ed in diversi processi, sullo stesso fatto
(caso risolto da Sez. 1, n. 3899 del 26/05/1999, Busi, Rv. 213946),
rappresentano altrettante fattispecie – la prima legata alla situazione concreta e
le altre a previsioni normative – che vanno a dare corpo alla previsione di cui
all’art. 568, comma 2, sui provvedimenti in materia di competenza, che essendo
sottratti al regime dei conflitti rientrano in quello generale delle impugnazioni.
La ordinanza in questione, invero, era stata non solo adottata nel pieno
esercizio dei poteri – in tema di dichiarazione di incompetenza – attribuiti
dall’art. 22, comma 1, cod. proc. pen., ma, per di più, basata su una
interpretazione normativa accreditata, fino a quel momento, dalla giurisprudenza
assolutamente maggioritaria e che certo impediva la collocazione della ordinanza
al di fuori del sistema; inoltre, sia pure nella sola parte motiva, quel
provvedimento individuava il giudice ritenuto, invece, compente. Sicché, anche
sotto tale profilo, era a escludere l’abnormità (affermata, in giurisprudenza, tra
le molte, da Sez. 1, n. 38394 del 18/09/2009, Vecchio, Rv. 244835; Sez. 6, n.
2442 del 28/06/1999, Pellegrini, Rv. 214078) per mancata indicazione del
presupposto che avrebbe consentito l’insorgere di un conflitto e quindi l’accesso
alla procedura ex art. 30 cod. proc. pen.

6. La inoppugnabilità della ordinanza in questione, in applicazione del
principio di tassatività delle impugnazioni, discende anche, d’altra parte, dal
rilievo che, al silenzio mantenuto, sul punto, dal legislatore fa da contrappunto la
opposta scelta che, con positiva disposizione, coerente con il disposto dell’art.
568, comma 1, cod. proc. pen., ha riguardato altro genere di ordinanze adottabili
nel procedimento o nel processo.
Così è per l’ordinanza di archiviazione ex art. 409, comma 6, cod. proc.
pen., ricorribile, o per quella di sospensione dei termini di durata della custodia

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Questa ipotesi, invero, insieme al caso del provvedimento sulla competenza

cautelare che l’art. 304, comma 2, cod. proc. pen. ha qualificato come
appellabile.
6.1. Semmai, proprio tale ultima previsione consente di affermare che le
disposizioni generali sulla impugnabilità delle misure cautelari, sia personali sia
reali, contenute negli artt. 309, 310, 322 e 322-bis cod. proc. pen. non
esauriscono e non “coprono” tutta la materia cautelare ma vanno integrate con i
principi generali (che solo per i provvedimenti sulla libertà personale sono
presidiati dalla garanzia costituzionale della ricorribilità per cassazione, tradotta

statuizioni speciali eventualmente formulate su singoli istituti (nel medesimo
senso, ed in applicazione del principio di tassatività dei mezzi di impugnazione,
v. Sez. U, n. 3 del 03/02/1995, Gallo, Rv 200116, che ha negato la impugnabilità
separata di eventuali provvedimenti interlocutori emessi prima della decisione
conclusiva del riesame; Sez. U, n. 23 del 20/11/1996, Bassi, Rv 206656, che ha
escluso la autonoma riesaminabilità del decreto di perquisizione).
Con la precisazione, quanto alla norma dell’art. 322-bis cod. proc. pen.,
tenuto conto della estrema genericità della espressione utilizzata dal legislatore,
che nella locuzione «ordinanze in materia di sequestro preventivo» – appellabili
– rientrano certamente quelle che negano la adozione della misura richiesta dal
p.m., sul presupposto della mancanza di uno o più dei requisiti di legittimazione
(fumus, esigenze cautelari), anche nelle fattispecie nelle quali tale mancanza si
riverberi, facendolo venire meno, sul requisito della competenza.
La previsione di appellabilità contenuta nell’art. 322-bis cod. proc. pen. non
riguarda invece le ordinanze che – pur risolvendosi in una indiretta negatoria del
provvedimento cautelare reale – si esauriscano in una pura dichiarazione di
incompetenza. Per queste, infatti, la mancata previsione di specifica
impugnabilità si coniuga ed è coerente col sistema dei conflitti di competenza il
quale è disciplinato nel Capo V, Titolo I, Libro I, del codice di rito, subito dopo
quello dedicato ai provvedimenti sulla competenza del giudice.
In tale prospettiva vanno richiamate quelle sentenze di legittimità che si
sono pronunciate su fattispecie nelle quali, al tribunale, non era stata devoluta la
mera questione sulla (in)competenza ma il diverso e preliminare tema dei
requisiti del provvedimento cautelare, ritenuti dal g.i.p. – con decisione
contestata sul punto – insussistenti nel caso sottopostogli e capaci, pertanto, di
far venire meno la necessaria competenza a provvedere.
In tal senso di veda la fattispecie decisa con sentenza della Sez. 3, n. 25500
del 23/04/2009, Islami, Rv. 243904, nella quale oggetto dell’appello era stata la
questione della sola urgenza a provvedere ad opera del giudice pacificamente

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nel disposto condizionato dell’art. 568, comma 2, cod. proc. pen.) e/o con

incompetente, il quale sotto tale unico profilo, aveva declinato la domanda
cautelare.
Allo stesso modo, si veda Sez. 5, n. 2453 del 17/04/2000, Baldini, Rv.
216544, che, nel caso del g.i.p., che richiesto dell’applicazione di una misura
cautelare, si dichiari incompetente a provvedere, non perché individui la
competenza di altro giudice, ma a seguito di una valutazione di merito attinente
all’esistenza di gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato per il quale la misura
era stata richiesta, ha riconosciuto la appellabilità del relativo provvedimento sul

28/05/1993, Galati, Rv. 194636).
Si tratta di casi nei quali è stato, pure, dichiarato inammissibile, per
l’assenza dei presupposti che lo radicano, il conflitto di competenza fra giudici
per le indagini preliminari che abbiano rigettato entrambi la domanda cautelare
del p.m., in quanto e se il rigetto disposto dal giudice che ha sollevato il conflitto
non sia fondato su ragioni di competenza, bensì di merito, atteso che una simile
decisione non determina alcuna stasi nel procedimento, potendo il medesimo
p.m. proseguire nelle indagini ed eventualmente proporre le impugnazioni
ritenute necessarie (Sez. 4, n. 2770 del 20/12/2000, Gavazzi, Rv. 218482).

7. Neppure può dirsi che la ricorribilità per cassazione potesse, nella specie,
farsi derivare dalla natura del provvedimento, dovendosi considerare che, pur
trattandosi di ordinanza, non vi è motivo di ipotizzare la necessità del ricorso,
per la sua adozione, alla procedura camerale partecipata ex art. 127 cod. proc.
pen. – con ciò, che avrebbe potuto conseguire in tema di ricorribilità del
provvedimento, peraltro ai soli sensi del comma 5 e 7 della norma stessa atteso che non vi è richiamo a tale norma nell’art. 22 cod. proc. pen. e,
comunque, la decisione sulla richiesta di provvedimento cautelare reale avviene,
per ovvie ragioni, di regola, inaudita altera parte. In senso analogo v. Sez. 1, n.
1663 del 11/06/1990, Carriero, Rv. 184743.

8. E’ vero, piuttosto, che il provvedimento con il quale il giudice, nel corso
delle indagini

preliminari, si

pronuncia sul

provvedimento richiesto,

eventualmente dichiarando la propria incompetenza, è stato previsto nella forma
dell’ordinanza – a differenza di quello che viene pronunciato dopo la chiusura
delle indagini preliminari, ai sensi dell’art. 22, comma 3, cod. proc. pen. – per la
natura meramente incidentale del ruolo svolto e per la cognizione limitata, la
quale è condizionata dalla fluidità delle indagini in corso.
Con la conseguenza che, per i limitati casi regolati dall’articolo 22, commi 1
e 2, cod. proc. pen., è prevista comunque la restituzione degli atti al p.m., il
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presupposto che si trattasse di sostanziale rigetto (conforme, Sez. 1, n. 2576 del

quale, data la natura del provvedimento allo stato degli atti, non incontra alcuna
preclusione ad una diversa valutazione della competenza nella eventualità di
rinnovate e diverse richieste.
Il pubblico ministero, così come non può sollecitare al proprio giudice,
durante le indagini preliminari, una dichiarazione di incompetenza, attesa la
evidente inutilità di un simile provvedimento (in tal senso v. Sez. 1, n. 3882 del
30/05/1997, Salierno, Rv. 207948) dovendo egli, piuttosto, ove ritenga tale
incompetenza, trasmettere gli atti all’ufficio del p.m. presso il giudice

adito per il singolo atto, una dichiarazione di incompetenza, in occasione della
sollecitazione di un singolo atto.
Questo è il solo strumento apprestato dall’ordinamento vigente.
La giurisprudenza di legittimità ha già avuto modo di osservare, con
orientamento rimasto univoco, che nel caso della dichiarazione di incompetenza
che qui ci occupa, il p.m. il quale ritenga irrinunciabile e necessario il
provvedimento rifiutato dal giudice per ragioni di competenza, non può avvalersi
né dello strumento della impugnazione, né di quello del conflitto di competenza
“in caso analogo”, posto, sotto tale ultimo profilo, che l’art. 28 cod. proc. pen.,
sul punto, come chiarito anche nella Relazione al Progetto preliminare del codice
di rito, ha evitato di includere nella nozione di conflitto i casi di contrasto tra
pubblico ministero e giudice, innovando rispetto al sistema previgente.
Il p.m., infatti, nella ipotesi dell’art. 22, commi 1 e 2, ha il potere (così Sez.
1, n. 406 del 19/02/1990, Facchineri, Rv. 183662, ripresa da Sez. 1, n. 2828 del
07/04/1999, Di Lorenzo, Rv. 213491) – anche in deroga alla designazione da
parte dell’ufficio del p.m. sovraordinato ai sensi dell’art. 54 del nuovo codice soltanto di rimettere gli atti all’ufficio del p.m. ritenuto competente, perché
richieda al g.i.p. presso il quale svolge le sue funzioni, il provvedimento ritenuto
necessario, non potendosi, infatti, non ravvisare in tale situazione una ragione
legittima di deroga anche all’efficacia vincolante della designazione da parte del
p.m. sovraordinato. L’accoglimento della richiesta del provvedimento da parte
del diverso g.i.p. investito risolverà, almeno nella fase dello svolgimento delle
indagini preliminari, il problema, mentre il diniego in conseguenza di una
dichiarazione di incompetenza, determinerà il concretizzarsi di una situazione
evidente di conflitto, la quale sarà rilevata dal giudice stesso oppure potrà essere
denunciata dal p.m. per essere rimessa alla cognizione della Cassazione.
Si tratta, invero, di una lettura dell’art. 28 cod. proc. pen. condivisa anche
dalla prevalente dottrina che esattamente pone in evidenza la esistenza del
comma 3 dell’art. 28 il quale, nel negare legittimità ad uno specifico caso di
conflitto positivo di competenza nel corso delle indagini preliminari (quello di
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competente, allo stesso modo deve operare quando veda opporsi, dal giudice

competenza per territorio determinata da connessione), non impedisce secondo
il brocardo ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit, una interpretazione opposta per
tutti gli altri casi, diversi da quello espressamente menzionato, e quindi finisce
per sancire la legittimità del conflitto di competenza tra contrastanti
provvedimenti dei giudici durante le indagini preliminari.

9. Ancora, è utile osservare come la non necessaria impugnabilità dei
provvedimenti del g.i.p., di rigetto delle richieste del p.m., costituisca una realtà

Così è, per rimanere nel solo campo dei rapporti tra p.m. e g.i.p., per
l’ordinanza del giudice per le indagini preliminari che, respingendo la richiesta di
archiviazione, disponga, per la stesa ipotesi di reato, la formulazione della
imputazione da parte del pubblico ministero (Sez. 1, n. 21060 del 12/05/2010,
Charon, Rv. 247577); il provvedimento dello stesso g.i.p., di rigetto della
richiesta di intercettazioni telefoniche (Sez. 6, n. 44877 del 12/11/2008, Perca,
Rv. 241853); il provvedimento del g.i.p., di rigetto della richiesta del p.m., di
riaprire le indagini a seguito della disposta archiviazione (Sez. 5, n. 30620 del
26/06/2008, Lerda, Rv. 240441); la ordinanza di inammissibilità, emessa dal
g.i.p., della richiesta di incidente probatorio (Sez. 4, n. 42520 del 07/10/2009,
Antonelli, Rv. 245780); l’ordinanza del g.i.p. che decide sulla richiesta di proroga
del termine per la conclusione delle indagini preliminari (ex plurimis, Sez. 6, n.
18540 del 08/05/2012, C., Rv. 252721, conforme a Sez. U, n. 17 del
06/11/1992, Bernini, Rv. 191787).

10. Non è dissonante con la conclusione qui raggiunta, la sentenza delle
Sezioni Unite, n. 19 del 25/10/1994, De Lorenzo, Rv 199393 (sul punto recettiva
dei principi espressi da Sez. U, n. 14 del 20/07/1994, De Lorenzo, Rv. 198218, e
seguita da una giurisprudenza prevalentemente adesiva) in tema di
riconoscimento del necessario sindacato, anche mediante impugnazione, sulla
eventuale incompetenza, per qualsiasi causa, del giudice che abbia disposto la
misura cautelare: sentenza emessa, invero, in tema di sindacato sulle misure
cautelari personali ma basata anche su principi, quale quello di cui all’art. 27
cod. proc. pen., esplicitamente resi validi, dal legislatore, in tema di misure
cautelari reali.
Tale decisione ha, invero, esaminato la ipotesi della avvenuta emissione
della misura cautelare da parte del giudice poi dichiaratosi (ex art. 27 cod. proc.
pen.) o sospettato (dalla difesa impugnante) essere incompetente ed ha inteso
porre in risalto la rilevanza processuale della competenza del giudice in relazione
a qualsiasi provvedimento dallo stesso assunto.
14

W1(

tutt’altro che rara nel panorama del codice.

Le Sezioni unite, cioè, muovendo dal basilare rilievo che la competenza,
quale limite della giurisdizione, è un presupposto processuale indissociabile dalla
funzionale attività del giudice e sottolineando, in particolare, il dovere della Corte
di cassazione di verificare comunque la legittimità del provvedimento cautelare
emesso – anche nella ipotesi in cui il tribunale del riesame l’abbia trascurata hanno riaffermato la necessità del controllo giurisdizionale sulla competenza
anche nella fase delle indagini preliminari: come principio agganciato e
operativo, dunque, nei confronti di una misura cautelare che sia stata adottata,

vigente – quella dell’annullamento, in presenza di apprezzata incompetenza, è
comunque quella della rimozione differita degli effetti quando non sia stata
regolarmente seguita la procedura di investitura del giudice competente.
La legittimazione al controllo, da parte del giudice della impugnazione, nella
fase delle indagini preliminari, sulla competenza del giudice della misura
cautelare è stata perciò affermata, in giurisprudenza, come corollario del
sindacato sui vizi di legittimità della misura cautelare stessa, derivanti dal
mancato rispetto delle norme codicistiche espressamente citate, e non come
strumento di sindacato sulla decisione, in generale, in tema di
competenza/incompetenza.
Per sostenere ciò, infatti, le Sezioni Unite hanno fatto richiamo a precetti,
come quelli contenuti negli artt. 26 e 27 cod. proc. pen. (oltre che a quelli ex
artt. 279 e 291, comma 2, cod. proc. pen., nonché 111 Cost., utili, però, ad
illustrare il solo tema del sindacato riguardo a provvedimenti sulla libertà
personale) che concernono e regolano, per l’appunto, il positivo esercizio del
potere di emissione di misure cautelari, anche da parte di giudice che si dichiari
o sia dichiarato – nella sede superiore – incompetente e che, per ciò stesso, è
legittimato a provvedere solo in presenza del requisito della urgenza richiesta
per la tutela delle esigenze cautelari. Quello che può formare oggetto di controllo
giurisdizionale in alternativa a quello della affermata competenza.
Hanno, in tale specifica ottica, posto in risalto che «sarebbe difficile
sostenere l’irrilevanza della competenza del giudice in relazione all’adozione di
un provvedimento cautelare, perché ciò equivarrebbe a negare il sindacato
giurisdizionale sulla competenza in una materia nella quale sono in gioco
fondamentali ed irrinunciabili diritti del cittadino».

11. In relazione alla decisione assunta, può dunque enunciarsi il seguente
principio di diritto: “E’ inoppugnabile, salvo che sia abnorme, l’ordinanza con la
quale, nel corso delle indagini preliminari, il giudice, ai sensi dell’art.22, comma

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sia pure in una prospettiva che se non è – secondo il sistema adottato dal codice

1, cod. proc. pen., riconosce la propria incompetenza e dispone la restituzione
degli atti al pubblico ministero”.

12. La inammissibilità dell’appello proposto, dal pubblico ministero, ai sensi
dell’art. 322-bis cod. proc. pen., oltre a dare luogo alla rilevazione della
illegittimità della ordinanza del tribunale che ne è conseguita, comporta anche la
necessaria declaratoria di inammissibilità del ricorso per cassazione contro

P.Q.M.

Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata e, per l’effetto, dichiara
inammissibile il ricorso del pubblico ministero.
Così deciso il 17 luglio 2014

Il Componente estensore

Il Presidente

quest’ultima, attesa la sopravvenuta carenza di un provvedimento impugnabile.

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