Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 42002 del 17/07/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 42002 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: GENTILI ANDREA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:

LUZZANA Dario, nato ad Alzano Lombardo (Bg) il 16 febbraio 1957;

avverso la sentenza n. 4227 della Corte di appello di Milano del 17 giugno 2013;
letti gli atti di causa, la sentenza impugnata e il ricorso introduttivo;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Andrea GENTILI;
sentito il PM, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Francesco
SALZANO, il quale ha concluso chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata
in accoglimento del primo motivo di ricorso;
sentito altresì per il ricorrente l’avv. Simon Pietro CIOTTI, del foro di Roma, in
sostituzione dell’avv.ssa Elena MANFREDINI, che ha insistito per l’accoglimento del
ricorso.

Data Udienza: 17/07/2014

RITENUTO IN FATTO

La Corte di appello di Milano ha rigettato l’appello interposto da Luzzana
Dario, già legale rappresentante della Termaco Italia Srl, avverso la sentenza
con la quale il Tribunale di Monza lo aveva condannato alla pena di mesi 9 di
reclusione, senza benefici, avendolo riconosciuto responsabile, nella detta
qualità, del reato di cui all’art. 10-ter dlgs n. 74 del 2000, per avere omesso il

dichiarazione annuale a sua firma a titolo di imposta sul valore aggiunto
relativamente all’anno di imposta 2006.
La Corte territoriale, osservato che la censura del ricorrente aveva ad
oggetto il fatto che, non essendo egli il legale rappresentante della predetta
società al momento della scadenza dell’obbligo tributario, non poteva essergli
addebitato il fatto costituente reato, ha rilevato che, pacifica essendo la
perdurante qualità di socio della predetta società in capo al Luzzana, egli, a
termini di statuto, aveva ampi poteri di amministrazione, sicché aveva la
facoltà ed il potere di procedere all’adempimento della obbligazione fiscale;
d’altra parte, osservava ancora la Corte di Milano, essendo egli il firmatario
della dichiarazione, su di lui gravava, secondo quanto testualmente risultante
dalla sentenza impugnata, un “ulteriore e più pregnante dovere di attenzione e
di sorveglianza in ordine all’esatto adempimento degli obblighi che derivavano
dalla sua dichiarazione”.
Quanto alla dosimetria della pena, il giudice del gravame rilevava che sia la
condotta processuale del Luzzana, alieno dal riconoscere la propria colpa, che
l’ammontare della somma sottratta all’Erario ne giustificavano la
determinazione in misura superiore al minimo edittale.
Ha proposto ricorso per cassazione il Luzzana, tramite il proprio difensore,
deducendo quanto segue:
nullità della sentenza per vizio di notificazione dell’avviso di udienza in
appello; osservava al riguardo il ricorrente che, sebbene egli avesse nominato
un difensore di fiducia, tutti gli atti relativi al giudizio di primo grado gli erano
stati notificati presso il suo domicilio; solo la citazione a giudizio di fronte al
giudice di appello era stata notificata, ai sensi dell’art. 157, comma 8 bis, cod.

proc. pen., tramite consegna al suo difensore; tale circostanza, sebbene
ritualmente eccepita di fronte alla Corte territoriale, non aveva indotto questa,
nonostante la assenza dell’appellante in udienza, a disporre la rinnovazione
della notificazione della citazione, così come invece, secondo il ricorrente, si
sarebbe dovuto fare a pena di nullità dell’intera fase di giudizio, e ciò anche in
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versamento della somma di euro 185.705,00 risultate dovuta dalla prescritta

applicazione dell’indicazione in tal senso offerta dalla sentenza n. 43952 del
2007 della Corte di cassazione;
nullità della sentenza per mutamento del titolo della responsabilità penale
attribuita al Luzzana; in primo grado, infatti, egli era stato ritenuto responsabile
in quanto, essendo legale rappresentante della Termaco, era direttamente
tenuto ad eseguire il versamento d’imposta invece omesso; in grado di appello,
riscontrata la carenza della predetta qualità rappresentativa in capo

la Corte avrebbe costruito, secondo il ricorrente, una sorta di responsabilità da
posizione, sostenendo che lui, in quanto firmatario della dichiarazione fiscale,
avrebbe dovuto sorvegliare sull’esatto adempimento del relativo obbligo
tributario; ad avviso del ricorrente in tale modo è stata violata sia la legge
sostanziale – in quanto, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte di appello,
la responsabilità del reato doveva essere attribuita solo a chi, rivestendo la
qualifica rappresentativa della Società soggetta all’obbligazione tributario,
aveva il dovere di eseguire il pagamento al momento della scadenza della
obbligazione stessa – sia quella processuale – essendo stato il Luzzana
condannato per un fatto diverso da quello a lui attribuito in sede di
contestazione;
la sentenza sarebbe, infine, illogicamente motivata in punto di
determinazione della pena in quanto sarebbe stata attribuita al Luzzana una
omessa resipiscenza, per non avere neppure successivamente cercato di
mitigare il pregiudizio inflitto all’Erario, senza considerare che il soggetto che
materialmente si sarebbe avvantaggiato del mancato versamento e che quindi
avrebbe dovuto provvedere a mitigare il danno era la società Termaco,
soggetto giuridicamente distinto dall’attuale imputato, il quale quindi non era
tenuto ad alcun comportamento di sintomatico di avvenuta resipiscenza.
In data 30 giugno 2014 la difesa del ricorrente ha depositato una memoria
nella quale, richiamando la recente sentenza della Corte costituzionale n. 80 del
2014, con la quale è stata elevata la soglia di punibilità per il reato contestato,
si segnala, articolandolo quale motivo aggiunto di impugnazione, il vizio da cui
sarebbe affetta la impugnata sentenza in punto di determinazione della pena,
in considerazione del minore disvalore penale in astratto ascrivibile alla
condotta del prevenuto stante la maggiore attuale prossimità dell’importo
evaso rispetto alla nuova soglia minima di punibilità.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, risultato fondato nei termini che saranno qui di seguito precisati,
deve, conseguentemente essere accolto.

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all’imputato al momento in cui doveva essere eseguito il predetto versamento,

Esaminando i motivi di doglianza partendo dal primo di essi (afferente alla
ritenuta nullità della notificazione del decreto di citazione in giudizio
dell’imputato di fronte al giudice di appello – e, pertanto, dell’intero giudizio di
secondo grado celebrato nella contumacia, in ipotesi illegittimamente
dichiarata, del Luzzana – in quanto tale notificazione è stata eseguita ai sensi
dell’art. 157, comma 8 bis, cod, proc. pen. come novellato a seguito della

entrata in vigore dell’art. 2, comma 1, del decreeto legge n. 17 del 2005,

il motivo in questione è infondato.
Evidentemente non ignora il Collegio che questa stessa Sezione della
suprema Corte in una non lontana occasione, correttamente richiamata dalla
difesa del prevenuto, ebbe ad affermare il principio secondo il quale qualora,
nonostante l’intervenuta nomina di un difensore di fiducia e la sussistenza,
quindi, della condizione che avrebbe legittimato la notifica del decreto di
citazione a giudizio in primo grado nelle forme di cui all’art. 157, comma 8 bis,

cod. proc. pen. (e cioè presso il difensore stesso), detta notifica sia stata
effettuata al domicilio dichiarato dall’imputato, così da dar luogo al legittimo
affidamento, da parte di costui, che anche le successive notifiche sarebbero
state effettuato nello stesso modo, il giudice d’appello, il quale constati che
invece la notifica del decreto di citazione in secondo grado è stata effettuata,
pur in modo formalmente regolare, a mani del difensore, deve porsi il problema
che l’imputato non abbia avuto effettiva conoscenza dell’atto e deve quindi
disporre, prima dell’eventuale dichiarazione di contumacia, a pena di nullità del
giudizio, che la notifica venga rinnovata (così: Corte di cassazione, Sezione III
penale, 27 novembre 2007, n. 43952).
Tale indirizzo, mai successivamente ribadito da questa Corte – né, per
vero, mai espressamente smentito dopo la sua formulazione – ritiene questo
Collegio che non debba essere condiviso.
Al riguardo rileva il Collegio che, secondo la puntuale previsione dell’art.
157, comma 8 bis, cod. proc. pen., nel testo novellato nei termini sopra

precisati, successivamente alla esecuzione della prima notificazione
all’imputato non detenuto, i successivi atti del processo sono portati alla sua
conoscenza, laddove vi si stata una nomina di difensore di fiducia, tramite la
notificazione degli stessi mediante consegna al predetto difensore.
Questi, a sua volta, ove non intenda accettare la responsabilità che gli
deriverebbe da siffatta modalità di notificazione degli atti all’imputato,
essendo questa, in linea di principio, esulante rispetto ai limiti del mandato
professionale, potrà, con dichiarazione che, per produrre effetti, deve
intervenire, secondo un consolidato orientamento di questa Corte, o
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convertito, con modificazioni, con legge n. 60 del 2005) rileva questa Corte che

contestualmente all’atto di nomina ovvero, con comunicazione diretta
all’autorità procedente, subito dopo tale nomina, ma sempre prima della
notificazione di un atto (così, ex multis, Corte di cassazione, Sezione I penale,
12 aprile 2013 n. 16615), informare di ciò l’autorità in questione, in tal modo
impedendo l’operatività di detta disposizione, e ripristinando, pertanto, le
ordinarie modalità notificatorie.
Tale meccanismo normativo, semplificando una fase spesso macchinosa e

rilevato sin dalla sentenza di questa Corte n. 41469 del 2005, a costituire un
efficace contemperamento, rispettoso del principio di bilanciamento fra i valori
espressi dalla Carta costituzionale, fra le esigenze, che potrebbero prima facie
apparire divergenti, della ragionevole durata del processo, di cui è espressione
al’art. 111 della Costituzione, e quelle, non meno fondamentali per l’ordinato
sviluppo della vita associata, della tutela del diritto di difesa, che
evidentemente non potrebbe realizzarsi in assenza di una compiuta
informazione al prevenuto dei modi e dei tempi in cui egli ha la possibilità di
esercitare tale diritto, presidiate dall’art. 24 della Costituzione
(sostanzialmente in questi termini: Corte di cassazione, Sezione IV penale, 21
novembre 2005, n.41469).
Sulla base di tali premesse .– le quali evidenziano che la scelta di
privilegiare le modalità di notificazione degli atti processuali fissate dall’art.
157, comma 8 bis, cod. proc. pen., non risponde ad una valutazione di mera

e generica opportunità, da valutarsi in termini di ampia discrezionalità da
parte dell’autorità procedente, ma risponde, viceversa, alla esigenza di
assicurare il rispetto di un valore, quello della celerità del processo,
costituzionalmente garantito, cui, come abbiamo visto, fungono da
controlimiti, proprio in considerazione della rilevanza costituzionale degli altri
interessi potenzialmente coinvolti dalla attuazione della predetta disposizione
contenuta nel codice di rito, la possibilità che ora il prevenuto, attraverso
un’espressa elezione di domicilio, ora il suo difensore di fiducia, attraverso la
ricordata dichiarazione di non accettazione delle notificazioni, hanno di
escludere l’operatività della ricordata disposizione, ripristinando la ordinaria
disciplina-m- deve affermarsi che non sia conforme allo spirito della ricordata
norma ritenere che quest’ultima possa essere obliterata ed annichilita
nell’ipotesi in cui – per motivi diversi dalla richiesta da parte dei soggetti a ciò
legittimati della applicazione dei ricordati contro limiti – l’autorità giudiziaria,
pur avendone la possibilità, abbia provveduto a far eseguire una notificazione
all’imputato non detenuto, successiva alla prima, senza adottare la forma di
cui all’art. 157, comma 8 bis, cod. proc. pen.

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di non facile attuazione del procedimento, è volto, come è stato sagacemente

Rileva, infatti, questa Corte, in ciò superando il ricordato orientamento
espresso in senso opposto dalla richiamata sentenza n. 43952 del 2007, che
nessun legittimo affidamento può costituirsi né esso può, pertanto essere
meritevole di tutela da parte dell’ordinamento, laddove esso si concretizzi, in
assenza di motivazioni dotate di pari valenza, nella lesione di un’interesse di
valenza così fondamentale per l’ordinamento da essere tradotto in un principio
di livello costituzionale.

non ha provveduto ad alcuna elezione di domicilio – abbia indicato un luogo
ove dovevano essere eseguite le notificazioni degli atti nei suoi confronti, né
che il suo difensore di fiducia abbia dichiarato di non accettare che le
notificazioni al Luzzana fossero eseguite presso il suo studio.
Non vi è, pertanto, alcuna motivazione, connessa con l’esigenza di tutela
del diritto di difesa, che possa giustificare l’affermazione della illegittimità
della adozione da parte della Corte di appello del meccanismo di notificazione
seguito; questa, pertanto, di fronte alla assenza ingiustificata del prevenuto
ne ha correttamente dichiarato la contumacia proseguendo, quindi, nel
giudizio, con la regolare celebrazione del processo.
Fondato è, viceversa, risultato il secondo motivo di ricorso.
Osserva, infatti, la Corte che, nel caso in cui l’omesso versamento di
imposte penalmente rilevante si caratterizzi per essere riferito ad una
obbligazione tributaria gravante, come nel presente caso, su di un soggetto
impersonale, il reato in questione acquista in sostanza le sembianze di un
reato proprio, nel senso che esso è suscettibile di essere commesso
solamente dal soggetto, o dai soggetti, che, in base alla pertinente normativa
tributaria, risultano essere gravati del predetto obbligo adempitivo.
Quindi, in primo luogo, in quanto ne esercita i poteri di amministrazione
con rilevanza esterna, il legale rappresentante della società tenuta dalla
obbligazione tributaria; in via subordinata – laddove emerga che la
rappresentanza formale non corrisponda all’effettiva possibilità di autonoma
spendita di detti poteri – colui che, anche soltanto in via di fatto, comunque
eserciti l’attività di gestione della società.
Per altro verso – trattandosi di reato omissivo in senso stretto, il quale
appunto, si realizza allorché, entro il termine previsto per il compimento di un
determinato atto, questo non è eseguito da chi, invece, vi era tenuto – la
individuazione del soggetto penalmente responsabile si concentra
ulteriormente in quanto essa concerne la persona sulla quale, secondo i
principi sopra delineati, gravava l’obbligo di adempiere materialmente la
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Nel caso che interessa non risulta né che il Luzzana – il quale, si ricorda,

obbligazione tributaria riferita al soggetto impersonale al momento di
scadenza del termine ultimo ordinario per eseguire l’atto adempitivo.
Tanto premesso, rileva la Corte che con la impugnata sentenza la Corte
milanese ha affermato la penale responsabilità del Luzzana, ricostruendola
sulla base di un duplice ordine di ragionamento; in base al primo, essa si
fonderebbe sulla circostanza che il Luzzana – il quale pacificamente non era
più il legale rappresentante della Termaco Italia srl, cioè della società debitrice

statutari, aveva ancora un generico potere rappresentativo di tale società; in
base al secondo, essendo egli il soggetto firmatario della dichiarazione fiscale
nella quale era stato liquidato l’ammontare dell’imposta dovuta, egli sarebbe
stato onerato di uno specifico e “più pregnante” dovere di attenzione in ordine
all’adempimento della obbligazione derivante dal contenuto della stessa
dichiarazione fiscale da lui sottoscritta.
Nessuno dei due argomenti spesi dalla Corte territoriale nella propria
motivazione supera un vaglio di adeguatezza logica.
Non il primo, in quanto è di tutta evidenza di non è sufficiente a fondare
la penale responsabilità per il reato contestato al Luzzana un generico potere
rappresentativo della compagine sociale, attribuito secondo i termini statutari
a tutti i soci della compagine cui essi partecipano, essendo a tale fine
necessario l’esercizio di un potere rappresentativo specificamente volto
all’attuazione dei doveri tributari.
Infatti, diversamente argomentando, ad esempio nel caso di società di
persone, la responsabilità penale per l’omesso versamento di imposte
finirebbe per gravare su tutti i soci, essendo ciascuno di essi dotato del
generico potere di impegnare la società partecipata.
Non il secondo in quanto esso porterebbe ad ipotizzare, nel caso in cui il
nuovo legale rappresentante della società, subentrato a quello che abbia
sottoscritta la dichiarazione fiscale, ometta il pagamento della risultante
imposta, un’inammissibile responsabilità per il fatto del terzo in capo
all’originario legale rappresentante, il quale, laddove in ipotesi fosse del tutto
uscito dalla compagine sociale, si troverebbe di fatto persino nella materiale
impossibilità di adempiere a quel dovere di attenzione che, invece, la Corte
milanese gli assegna.
All’accoglimento del riferito secondo motivo di impugnazione consegue
l’assorbimento dei successivi motivi, afferenti alla determinazione del
trattamento sanzionatorio applicato al Luzzana, la cui incidenza sul giudizio a
carico del prevenuto – in particolare con riferimento alle eventuali
conseguenze derivanti dall’innalzamento della soglia minima di punibilità
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d’imposta, al momento della scadenza dell’obbligo fiscale – secondo i termini

applicabile al reato contestato a seguito della parziale illegittimità
costituzionale dell’art. 10-ter del dlgs n. 74 del 2000 dichiarata dalla Corte
costituzionale con la sentenza n. 80 del 2014 – sarà eventualmente compito
della Corte territoriale esaminare.
La sentenza della Corte di appello di Milano deve, pertanto essere
annullata, con rinvio ad altra Sezione della medesima Corte, la quale, in
applicazione degli esposti principi, rivaluterà la ricorrenza degli elementi

PQM

Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di
appello di Milano.
Così deciso in Roma, il 17 luglio 2014
Il Consigliere estensore

Il Presi nte

idonei a fondare la penale responsabilità del prevenuto.

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