Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 42 del 14/11/2012


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 42 Anno 2013
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: D’ISA CLAUDIO

SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
PIAZZA GIOVANNI

n. il 20.05.1970

avverso la sentenza n. 928/2011 della Corte d’Appello di Caltanissettadel 20.12.2011.
Visti gli atti, la sentenza ed il ricorso
Udita in PUBBLICA UDIENZA del 14 novembre 2012 la relazione fatta
dal Consigliere dott. CLAUDIO D’ISA
Udito il Procuratore Generale nella persona del dott. Oscar Cedrangolo
che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

L’avv.Paolo Cerruti, in sostituzione dell’avv. Dacquì Giusepe, difensore
dell’imputato, si riporta ai motivi del ricorso.

Data Udienza: 14/11/2012

RITENUTO IN FATTO
PIAZZA Giovanni ricorre in Cassazione avverso la sentenza, indicata in
epigrafe, della Corte d’appello di Caltanissetta che, in parziale riforma della
sentenza di condanna emessa nei suoi confronti il 2.07.2008 dal Tribunale
dello stesso capoluogo in ordine al delitto di cui all’ad 73 d.P.R. 309/90,
esclusa la contestata recidiva reiterata e specifica, ha ridotto la pena inflitta
in primo grado.

192 c.p.p. e, sostanzialmente, anche vizio di motivazione, laddove si deduce
che la valutazione della prova testimoniale (testi Zimarmani e Cagnina)
andava debitamente motivata tanto in relazione ai risultati acquisiti, quanto
ai criteri adottati. Si evidenzia che le dichiarazione dei due testi di accusa
sono tra loro divergenti e prive di riscontro ed influenzate da circostanze
pregresse ed estranee all’accertamento del reato. Oggetto delle censure sono
le dichiarazioni dello Zimarmani con riferimento alla descrizione dello
scambio droga-danaro avvenuto tra il ricorrente ed un presunto acquirente
indicando quale luogo il Corso Vittorio Emanuele quasi all’altezza di una casa
per anziani, e le dichiarazioni del Cagnina che ha invece indicato quale luogo
dello scambio tra i due soggetti quello sito nei pressi della pizzeria “Il
Cantuccio”.
Con il secondo motivo si denunciano altra violazione di legge e vizio di
motivazione con riferimento alle denegate attenuanti generiche.
RITENUTO IN DIRITTO
Il ricorso va rigettato perché basato su censure ripetitive delle argomentazioni
già sottoposte al vaglio del giudice dell’appello, infondate e, in gran parte,
dedotte con formulazioni generiche concernenti apprezzamenti di merito relativi
anche al trattamento sanzionatorio incensurabili in questa sede.
Quanto al primo motivo, si evidenzia che la Corte distrettuale sullo specifico
motivo di gravame, con motivazione immune da vizi logici, ha evidenziato come
le dichiarazioni rese dai verbalizzanti (Zimarmani e Cagnina) siano del tutto
precise e per niente in contrasto in ordine alla circostanza che essi videro
l’imputato che consegnava qualcosa ad una persona sconosciuta e che questi
dava, a sua volta, del denaro al PIAZZA. Lo sconosciuto, all’intervento dei militi,
fuggendo, gettava a terra quanto ricevuto dal PIAZZA, risultato poi essere lo
stupefacente indicato in contestazione. La Corte rileva anche come le
dichiarazioni rese dai testi, Andolina e Rizzo, indicati a difesa, per altro nessuno

Si denuncia con il primo motivo violazione di legge in riferimento all’ad.

dei due presenti sul luogo al momento del fatto, non abbiano minimamente
intaccato le testimonianze dei verbalizzanti.
In ordine al secondo motivo si censura la motivazione della Corte d’Appello sul
punto della denegata concessione delle attenuanti generiche evidenziando che
questa è stata determinata dal fatto che “la modestia ed occasionalità del fatto è
già stata presa in considerazione ai fini dell’esclusione della recidiva e della
concessione dell’attenuante di cui al V comma dell’art. 73 d.P.R. 309/90”, ma
così facendo, rileva il ricorrente, la Corte ha arbitrariamente accomunato
autonomi e, pertanto, meritevoli di specifici parametri valutativi al fine di
irrogare la pena ritenuta di giustizia.
Il rilievo, anche se suggestivo, non è condivisibile.
Invero la regola per cui non può tenersi conto due volte dello stesso elemento a
favore o contro il colpevole non si applica quando tale elemento non è l’unico
rilevabile dagli atti, non è ritenuto assorbente rispetto agli altri ed influisce su
diversi aspetti della valutazione, ben potendo un dato polivalente essere
utilizzato più volte sotto differenti profili per distinti fini e conseguenze, come il
riconoscimento di una circostanza, il giudizio di bilanciamento con altre di segno
opposto e la determinazione della pena, senza violare il principio del “ne bis in
idem” sostanziale (Cass. sez. I 5 febbraio 1998 n. 1376 rv. 209841). La
giurisprudenza specifica che, in considerazione della globalità del giudizio di
comparazione tra circostanze attenuanti ed aggravanti previsto dall’art. 69 c.p.,
tale giudizio può ritenersi adeguatamente motivato se il giudice pone in risalto
una sola delle circostanze suscettibili di valutazione di prevalenza o di
equivalenza rispetto alle altre circostanze, per dimostrare la ragione del proprio
convincimento, giacché il giudice non è tenuto a specificare analiticamente le
singole circostanze e ad indicare le rispettive ragioni che lo hanno indotto a
formulare il giudizio di equivalenza (Cass. sez. IV 2 novembre 1983 n. 9129 rv.
160983 cui adde Cass. sez. H 11 febbraio 2000 n. 9387 rv. 216924).
Infatti, ai fini della concessione o del diniego delle attenuanti generiche o del
giudizio di comparazione o della determinazione della pena il giudice può
prendere in considerazione gli stessi elementi valutati per la concessione di una
attenuante comune quando questi incidano non solo su un elemento costitutivo
di un reato, ma anche sulla motivazione della dosimetria della pena, intesa in
senso ampio comprensiva della concessione di attenuanti, dell’esclusione di
un’aggravante e del giudizio di comparazione, e sul carattere del reo tanto da
indurre il convincimento di una ridotta capacità a delinquere del colpevole, in
quanto la valutazione sotto due diversi profili della stessa situazione di fatto non

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condizioni e circostanze distinte, inerenti ambiti di deliberazione del tutto

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costituisce violazione ne’ negli artt. 62, 62 bis, 69, 133 c.p. ne’ del principio del
“ne bis in idem” sostanziale (Cass. sez. 120 settembre 1994 n. 9950 rv.
199739).
Orbene, alla luce di questi pacifici principi, sinteticamente riassunti, la censura
su questi aspetti della motivazione dell’impugnata sentenza è infondata.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
P.Q.M.

Così deciso in Roma alla pubblica udienza del 14 novembre 2014.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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