Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4187 del 22/10/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 4187 Anno 2014
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: CAMMINO MATILDE

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
LOSCHI GIANCARLO N. IL 07/10/1946
avverso la sentenza n. 6002/2012 CORTE APPELLO di BOLOGNA,
del 30/11/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MATILDE CAMMINO;

Data Udienza: 22/10/2013

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Con sentenza in data 30 novembre 2012 la Corte di appello di Bologna confermava la
sentenza emessa il 4 aprile 2012 dal giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Reggio
Emilia con la quale Loschi Giancarlo era stato dichiarato colpevole del reato di rapina impropria
aggravata, commesso in Rubiera il 18 dicembre 2011, ed era stato condannato, con le circostanze
attenuanti generiche equivalenti e con la diminuente per il rito abbreviato, alla pena di anni due di
reclusione ed euro 600,00 di multa.

il ricorso si deduce: 1) la violazione o falsa applicazione del’art.628 c.p. non risultando che la
persona offesa fosse stata coartata o intimidita dall’imputato, persona anziana con limitata capacità
motoria; 2) violazione dell’art.56 c.p. per essere stata esclusa la configurabilità del tentativo di
rapina impropria, nonostante la mancata sottrazione.
Il ricorso è inammissibile in quanto tende a sottoporre al giudizio di legittimità aspetti
attinenti alla ricostruzione del fatto e all’apprezzamento del materiale probatorio rimessi alla
esclusiva competenza del giudice di merito il quale nel caso in esame ha ineccepibilmente
osservato che la prova della responsabilità dell’imputato si desumeva dalle convergenti
dichiarazioni della persona offesa e della moglie che avevano sorpreso l’imputato nella loro
abitazione dopo che lo stesso si era già impossessato di un borsellino da donna e di un navigatore
satellitare; il Loschi, per assicurarsi la fuga, aveva minacciato il padrone di casa con un cacciavite.
Le conclusioni circa la responsabilità del ricorrente, sia in ordine alla condotta intimidatoria che alla
configurabilità del delitto consumato, risultano quindi adeguatamente giustificate dal giudice di
merito attraverso una puntuale valutazione delle prove, che ha consentito una ricostruzione del fatto
esente da incongruenze logiche e da contraddizioni. Tanto basta per rendere la sentenza impugnata
incensurabile in questa sede non essendo il controllo di legittimità diretto a sindacare direttamente
la valutazione dei fatti compiuta dal giudice di merito, ma solo a verificare se questa sia sorretta da
validi elementi dimostrativi e sia nel complesso esauriente e plausibile. Esula, infatti, dai poteri
della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa
integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata,
valutazione delle risultanze processuali (Cass. S.U. 30-4- 1997 n. 6402, Dessimone).
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle ammende di una somma che,
alla luce dei principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000, sussistendo
profili di colpa, si stima equo determinare in euro 1.000,00.
P.Q.M.

Aí•–

Avverso detta sentenza l’imputato ha proposto, personalmente, ricorso per cassazione. Con

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e al versamento alla Cassa delle ammende di una somma di euro 1.000,00.
Così deciso in Roma il 22 ottobre 2013

il cons. est.

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