Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4185 del 20/11/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 4185 Anno 2015
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: LIGNOLA FERDINANDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
TERLIZZI ROBERTO N. IL 06/01/1970
avverso la sentenza n. 1350/2011 CORTE APPELLO di TRIESTE, del
28/01/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 20/11/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FERDINANDO LIGNOLA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 20/11/2014

Il Sostituto Procuratore generale della Corte di cassazione, dott. Pasquale
Fimiani, ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 28 gennaio 2014, la Corte d’appello di Trieste riformava

dichiarando la prescrizione del reato di cui all’articolo 494 cod. pen., contestato
al capo M), con la quale, all’esito di rito abbreviato, Terlizzí Roberto era
condannato alla pena di giustizia per una serie di reati di falso in atto pubblico,
false dichiarazioni sulla propria identità, falsità personale, svolgimento di
investigazioni e ricerche in mancanza della prescritta autorizzazione del prefetto
e detenzione di una cartuccia per arma comune.
2.

Propone ricorso per cassazione l’imputato, con atto sottoscritto

personalmente, con il quale deduce inosservanza o erronea applicazione di legge
penale, in relazione all’art. 15 cod. pen., con riferimento ai vari reati di falso
contestati, sostenendo che la Corte d’appello avrebbe dovuto configurare
solamente il reato previsto dall’articolo 497 cod. pen., poiché tutte le azioni
erano state commesse al fine di realizzare un unico disegno e cioè acquisire
certificati del casellario giudiziale di alcuni soggetti.
2.1 Le singole condotte di falso, autonomamente considerate, non avrebbero
avuto alcun significato. Peraltro l’indicazione dell’elemento della “frode” nella
fattispecie incriminatrice prevista dall’articolo 497 cod. pen. era in grado di
assorbire tutte le altre e diverse contestazioni. A sostegno della propria
ricostruzione il ricorrente sottolinea “la sensibilità posseduta e mostrata … nel
tutelare la comunità dall’inquinamento ambientale e poiché tutto è stato
realizzato con i propri mezzi personali senza gravare minimamente su risorse
della comunità”; ciò lo induce a chiedere altresì l’assoluzione per l’assoluta
tenuità del fatto.
2.2 In relazione alla contravvenzione per la detenzione di un proiettile, si
esclude che questo possa essere considerato “munizioni” – nel senso richiesto
dall’articolo 697 cod. pen. – mentre rispetto al reato di sostituzione di persona,
relativo all’attivazione di un’utenza Fastweb, si assume che in atti non vi è la
prova che sia stato l’imputato a richiedere di attivare la linea telefonica sotto
altro nome.

2

parzialmente quella del G.U.P. presso il Tribunale di Udine del 16 febbraio 2011,

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
1.1 Manifestamente infondato è infatti la doglianza di violazione o erronea
applicazione dell’art. 15 cod. pen..
Come è noto, nell’ambito della problematica di più ampia portata del

specialità, consacrato nell’art. 15 cod. pen., il quale prevede che “quando più
leggi penali o più disposizioni della medesima legge penale regolano la stessa
materia, la legge o la disposizione di legge speciale deroga alla legge o alla
disposizione di legge generale, salvo che sia altrimenti stabilito”.
La giurisprudenza prevalente intende il presupposto della “stessa materia”
sulla base di un raffronto meramente strutturale delle fattispecie considerate,
prescindendo dall’analisi del fatto storico e abbandonando la soluzione di
combinare criteri tra loro diversi ed afferma che il criterio di specialità
“presuppone una relazione logico – strutturale tra norme. Ne deriva che la
locuzione “stessa materia” va intesa come fattispecie astratta – ossia come
settore, aspetto dell’attività umana che la legge interviene a disciplinare – e non
quale episodio in concreto verificatosi sussumíbile in più norme,
indipendentemente da un astratto rapporto di genere a specie tra queste” (Sez.
U, n. 1235 del 28/10/2010 – dep. 19/01/2011, Giordano, Rv. 248864).
In altri termini, la regola sulla individuazione della disposizione prevalente,
posta dal citato art. 15, può applicarsi solo in presenza di un rapporto di
continenza tra le stesse, alla cui verifica deve procedersi attraverso il confronto
strutturale tra le fattispecie astratte rispettivamente configurate, mediante la
comparazione degli elementi costitutivi che concorrono a definire le fattispecie
stesse
1.2 La doglianza dell’imputato allora non è affatto riconducibile alla tematica
del concorso apparente di norme, poiché non opera alcun raffronto tra fattispecie
astratte in termini di specialità, ma tende piuttosto ad unificare la vicenda storica
(peraltro snodatasi in una serie di episodi commessi anche in tempi diversi e
ciascuno dotato di autonomia rispetto agli altri) partendo dagli episodi concreti
verificatisi.
Peraltro la sentenza impugnata (pagine 5-6) descrive dettagliatamente le
distinte e specifiche condotte delittuose e chiarisce perché non sia possibile un
assorbimento delle medesime in un unico delitto di frode nel farsi rilasciare

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concorso apparente di norme, l’ordinamento positivo è ispirato al principio di

certificati del casellario giudiziale e uso indebito di tali certificati (art. 497 cod.
pen.), reato che al limite poteva essere contestato in concorso con quelli per i
quali il Terlizzi è stato condannato; rispetto a tale argomentazione il ricorrente
non formula censure specifiche, riproponendo argomentazioni riconducibili alla
cd. teoria dell’assorbimento, recepita da parte della dottrina (ma oggi superata
dalla giurisprudenza), secondo la quale il criterio di specialità non è suscettibile

fare ricorso al criterio non espressamente codificato, ma conforme
all’interpretazione sistematica, della consunzione o dell’assorbimento, fondato su
un giudizio di valore, che consenta all’interprete di ritenere un reato meno grave
assorbito da uno più grave, quando il secondo esaurisca l’intero disvalore del
fatto ed assorba l’interesse tutelato dall’altro. La tesi è stata efficacemente
disattesa dalla citata sentenza delle Sezioni Unite, seguita poi dalla costante
giurisprudenza di questa Corte, che ne sottolinea il contrasto con il principio di
determinatezza e tassatività della norma penale: l’applicazione della sanzione
penale finisce con il dipendere da incontrollabili valutazioni intuitive del giudice,
che travalicano i limiti dell’attività interpretativa, perché prescindono dalla
struttura delle fattispecie penale.
1.3 Poco chiaro è poi il senso del riferimento ad una tenuità del fatto
desumibile dalla sensibilità dimostrata a tutela della comunità dall’inquinamento
ambientale, circostanza che in ogni caso non avrebbe mai potuto determinare
una assoluzione per “tenuità del fatto”, istituto la cui rilevanza l’ordinamento
vigente limita alla procedibilità dei reati di competenza del giudice di pace (nel
processo a carico di imputati maggiorenni) e che rappresenta l’oggetto di
annunciate modifiche normative de iure condendo, a precise condizioni (cfr. art.
1, comma 1, lettera m, della legge n. 67 del 2014).
1.4 Manifestamente infondata è la doglianza riguardante la contravvenzione
di cui all’art. 697 cod. pen., poiché la detenzione anche di un solo proiettile
integra il reato: il plurale utilizzato dalla norma incriminatrice
munizioni”),

(“armi o

infatti, è usato in maniera indeterminativa, ragion per cui la

fattispecie risulta integrata anche dalla detenzione di un solo pezzo.
1.5 Assolutamente generica, infine, è la censura con la quale si contesta la
prova dell’attivazione di un’utenza Fastweb.
2. In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; alla
declaratoria di inammissibilità segue, per legge, la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali nonché (trattandosi di causa di

di assorbire tutte le situazioni di concorso apparente, di modo che è necessario

inammissibilità riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, del ricorrente: cfr.
Corte Costituzionale sent. n. 186 del 7-13 giugno 2000) al versamento, a favore
della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo
determinare in euro 1.000,00.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso in Roma, il 20 novembre 2014
Il consigliere estensore

Il Presidente

P.Q.M.

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