Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4184 del 20/11/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 4184 Anno 2015
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: LIGNOLA FERDINANDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GIANNETTI BRUNO N. IL 02/05/1935
avverso la sentenza n. 5246/2006 CORTE APPELLO di ROMA, del
27/06/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 20/11/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FERDINANDO LIGNOLA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 20/11/2014

Il Sostituto Procuratore generale della Corte di cassazione, dott. Pasquale
Fimiani, ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio limitatamente
all’aggravante del danno di rilevante gravità ed al trattamento sanzionatorio;
rigetto nel resto;
il difensore dell’imputato, avv. Andrea Sambati, in sostituzione dell’avv.

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Roma, con sentenza del 20 dicembre 2005, condannava
Giannetti Bruno, all’esito di rito ordinario, per i delitti di bancarotta fraudolenta
patrimoniale e documentale, asseritamente commessi quale amministratore di
diritto fino al 18 giugno 1994 – e successivamente di fatto – della “Supercasa
s.r.l.”, dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Roma del 21 giugno 1995.
1.1 La Corte d’appello di Roma, con sentenza del 27 giugno 2013, in riforma
della decisione del primo giudice, assolveva l’imputato dalla bancarotta
documentale, confermando sia la condanna per la bancarotta per distrazione
(consistita nella disnnissione di numerosi beni immobili), sia la pena già applicata
di tre anni di reclusione in relazione a tale reato, pari al minimo edittale, in
considerazione del riconoscimento delle attenuanti generiche equivalenti alla
contestata aggravante del danno di speciale gravità (art. 219 L. Fall.).
2. Contro la sentenza ricorre per Cassazione il difensore dell’imputato, avv.
Mauro Gionni, con atto affidato a sei motivi.
2.1 Con il primo motivo si deduce violazione dell’articolo 606, lettera e),
cod. proc. pen., per travisamento della prova e travisamento del fatto in
relazione ai presunti atti distrattivi imputati al Giannetti ed alla sussistenza
dell’elemento soggettivo del reato. Il ricorrente ritiene indimostrato che le
cessioni di immobili furono fatte in frode ai creditori, poiché non vi è prova che il
ricavato fu utilizzato per scopi extra sociali; inoltre tali immobili erano già
sottoposti ad ipoteca volontaria per 1 miliardo di lire in favore della Cassa di
risparmio, con conseguente impossibilità di soddisfo di eventuali altri creditori.
Al tempo delle cessioni la società godeva di ottimo stato di salute, tanto da
ottenere agevolmente credito dalle banche, come è stato dimostrato dalla prova
documentale articolata dalla difesa, a fronte della quale la vicenda della fattura
asseritamente falsa. riguardante l’appalto per l’edificazione della scuola di
Acquaviva Picena. non assumeva alcun rilievo.

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Mauro Gionni, ha concluso riportandosi ai motivi di ricorso.

A giudizio del ricorrente l’esposizione debitoria, ammesso che ci sia stata, è
da ricondurre certamente a buona fede, come dimostrato dal fatto che
l’affidamento non veniva messo in dubbio dalle banche.
2.2 Con il secondo motivo si deduce violazione dell’articolo 606, lettere b)
ed e), cod. proc. pen., in relazione all’elemento soggettivo del reato e alla
ritenuta sussistenza del nesso di causalità tra le cessioni immobiliari ed il

le operazioni compiute dal Giannetti ed il dissesto della società, considerato che
il fallimento è intervenuto tre anni dopo.
2.3 Con il terzo motivo si deduce violazione dell’articolo 606, lettere b) ed
e), cod. proc. pen., in relazione all’identificazione del Giannetti quale soggetto
attivo del reato ed all’affermazione di un suo ruolo di amministratore di fatto.
Sotto il primo profilo si evidenzia che l’imputato non rivestiva più la carica di
amministratore unico della società dal 18 luglio 1994, quando vi subentrò Meli
Mario, e che la sentenza dichiarativa del fallimento risale al 21 giugno 1995.
Quanto al secondo profilo, si rileva che l’amministratore di fatto nonché
gestore della società, unitamente al Meli, era tale Poli Vito, come dimostrato
dalla difesa, poiché dai verbali assembleari emergeva la cessione della carica di
amministratore al Meli e l’impegno a pagare la cessione tramite assegni a firma
del Poli (il quale fu anche condannato per una vicenda di emissione di assegni a
nome della Supercasa s.r.I.); sempre il Meli si impegnò a pagare onorari e spese
notarili degli atti sottoscritti il 18 luglio 1994; ulteriore elemento è rappresentato
dal fatto che la sede societaria fu trasferita subito dopo la cessione, così
interrompendo ogni contatto tra la società e l’imputato Giannetti.
L’omessa considerazione degli elementi probatori offerti dalla difesa
determina, a giudizio del ricorrente, il vizio di travisamento della prova per
omissione, travisamento del fatto o mancanza di motivazione.
2.4 Con il quarto motivo si deduce violazione dell’articolo 606, lettere d) ed
e), cod. proc. pen., per mancata assunzione di una prova decisiva e mancanza di
motivazione in ordine a tale diniego, con riferimento alla necessità di una perizia
contabile, volta ad accertare la natura e l’entità dei crediti del passivo maturato.
2.5 Con il quinto motivo si deduce violazione dell’articolo 606, lettera e),
cod. proc. pen., per contraddittorietà ed illogicità del giudizio di bilanciamento
delle circostanze, difetto assoluto di motivazione sulla denegata prevalenza delle
attenuanti generiche e vizio di motivazione in relazione alla rideterminazione del
trattamento sanzionatorio, a seguito dell’assoluzione per la bancarotta

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dissesto dell’impresa. Nel caso di specie non vi è prova del nesso di causalità tra

documentale e, dunque, dell’esclusione dell’aggravante ex art. 219 del R.D. 16
marzo 1942.
Si sostiene che il giudice di appello avrebbe dovuto ridurre la pena
complessiva, invece di confermare quella applicata dal primo giudice. La
riduzione dì pena era tanto più necessaria alla luce della concezione pluralistica
del reato di bancarotta, fatta propria dalle Sezioni Unite di questa Corte, sicché

eliminare una circostanza e non ridurre la pena, oppure non modificare il giudizio
di equivalenza delle attenuanti generiche in giudizio di prevalenza.
2.6 Con il sesto motivo si deduce violazione dell’articolo 606, lettera e), cod.
proc. pen., in relazione all’art. 219 del R.D. 16 marzo 1942, per mancanza di
motivazione in ordine all’applicazione della circostanza del danno di speciale
gravità, sull’errato presupposto che non vi fosse contestazione da parte della
difesa. Invero la richiesta di assoluzione dell’imputato ricomprendeva
implicitamente anche la contestazione dell’aggravante.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso va rigettato.
1.1 Con riferimento al primo motivo, va rilevato che il ricorrente contesta il
carattere distrattivo delle vendite immobiliari, logicamente spiegato dalla
sentenza impugnata: egli aveva ceduto l’intero patrimonio immobiliare a se
stesso, senza che nelle casse sociali entrasse alcun corrispettivo, attraverso una
vendita di ben 15 beni immobili in favore di due società (Italia costruzioni s.r.l. e
P.N. costruzioni s.r.I.) facenti parte del cd. Gruppo Giannetti ed
inequivocabilmente riconducibili all’imputato; l’anno successivo le due società
cedevano gli stessi immobili a Pierozzi Mattia, marito della figlia del ricorrente ed
alla Tuttocasa s.r.I., sempre del Pierozzi, oltre che della moglie e della figlia di
Giannetti. Con questa argomentazione, non contestata in sede di appello, il
ricorrente non si confronta in alcun modo, limitandosi a richiedere a questa Corte
un’inammissibile diversa valutazione del materiale istruttorio in atti. A fronte di
tali doglianze, si riscontra una motivazione tutt’altro che illogica ed anzi congrua
e logica, anche con riferimento al dissennato ricorso al credito bancario, meglio
approfondito nella decisione di primo grado, che illustra gli accertamenti operati
dal funzionario della Carifermo, Giulia Pomanti, incaricata di verificare la
posizione del Giannetti.

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appare contraddittorio e manifestamente illogico assolvere per un reato,

1.2. Va ricordato in questa sede che il “travisamento del fatto” invocato dal
ricorrente, non è deducibile in Cassazione; a seguito delle modifiche dell’art.
606, comma 1, lett. e), ad opera della L. n. 46 del 2006, art. 8, non è consentito
dedurre il “travisamento del fatto”, stante la preclusione per il giudice di
legittimità di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a
quella compiuta nei precedenti gradi di merito, ma solo il “travisamento della

39048 del 25/09/2007, Casavola, 238215).
Tale doglianza è dunque inammissibile.
2. Quanto al secondo motivo, si deve ribadire che, nonostante l’isolata
decisione di Sez. 5, n. 47502 del 24/09/2012, Corvetta, Rv. 253493, la
giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere che il delitto di bancarotta
fraudolenta per distrazione è reato di pericolo a dolo generico, per la cui
sussistenza, pertanto, non è necessario che l’agente abbia consapevolezza dello
stato di insolvenza dell’impresa, né che abbia agito allo scopo di recare
pregiudizio ai creditori (Sez. 5, n. 3229 del 14/12/2012 – dep. 22/01/2013,
Rossetto, Rv. 253932; Sez. 5, n. 232 del 09/10/2012 – dep. 07/01/2013, Sistro,
Rv. 254061). Occorre piuttosto che la condotta distrattiva, idonea a determinare
uno squilibrio tra attività e passività – ossia un pericolo per le ragioni creditorie risulti assistita dalla consapevolezza di dare al patrimonio sociale, o ad alcune
attività, una destinazione diversa rispetto alla finalità dell’impresa e di compiere
atti che possano cagionare danno ai creditori: occorre, in altre parole, che
l’agente, pur non perseguendo direttamente tale danno, sia quantomeno in
condizione di prefigurarsi una situazione di pericolo (Sez. 5, n. 40726 del
06/11/2006, Abbate, Rv. 235767).
2.1 Così come è stato ribadito che ai fini della sussistenza del reato di
bancarotta fraudolenta patrimoniale non è necessaria l’esistenza di un nesso
causale tra i fatti di distrazione ed il successivo fallimento (Sez. 5, n. 27993 del
12/02/2013, Di Grandi, Rv. 255567); i precedenti giurisprudenziali invocati sul
punto dal ricorrente riguardano la bancarotta impropria da reato societario, nella
quale la ricorrenza del nesso di causalità è imposta dalla struttura complessa
della fattispecie penale, che vede un reato societario come elemento costitutivo,
a sua volta causa o concausa del dissesto societario.
2.2 Individuando l’intento dell’imputato nello svuotamento della società, la
sentenza impugnata ha adeguatamente motivato in ordine all’elemento
soggettivo del reato, per cui il secondo motivo è infondato.

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prova” (Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099;. Sez. 5, n.

3. Stessa sorte merita il terzo motivo; la Corte territoriale ha ben spiegato
che il trasferimento della sede sociale da Ascoli Piceno a Roma fu un’operazione
fittizia, poiché in via Marcantonio Colonna n. 49 interno 29 la società risultò
inesistente ed il Giannetti, attraverso la cessione degli immobili, operò lo
“svuotamento” della società, trasferendone la proprietà a persone di famiglia
attraverso una doppia cessione degli stessi, senza che alcun corrispettivo fosse

le operazioni di vendita dei 15 immobili. Ne consegue l’irrilevanza delle
successive modifiche della composizione degli organi sociali.
La deduzione del travisamento per omessa considerazione degli elementi
probatori offerti dalla difesa è inammissibile, poiché gli elementi che il ricorrente
denuncia come ignorati non risultano avere i caratteri della decisività
prospettata, in quanto il Tribunale li ha valutati ponendoli a confronto con quelli
di segno opposto prodotti dall’accusa, per concludere nel senso della fittizietà
della cessione.
4. Il quarto motivo è infondato.
4.1 Va innanzi tutto ricordato che il vizio previsto dall’art. 606, lett. d), cod.
proc. pen., è configurabile quando non sia stato ammesso un mezzo di prova
che, in astratto, poteva determinare una diversa valutazione da parte del
giudice, inficiando il giudizio formulato.
4.2 Con riferimento al caso di specie, va richiamato il costante orientamento
espresso da questa Corte secondo il quale la perizia non può farsi rientrare nel
concetto di prova decisiva, fatto proprio dall’art. 606. La lettera d) citata
contiene infatti un esplicito riferimento all’art. 495, comma 2, cod. proc. pen. e,
pertanto, si riferisce alle prove a discarico, mentre la perizia non può essere
considerata tale, stante il suo carattere per così dire “neutro”, sottratto alla
disponibilità delle parti e sostanzialmente rimesso alla discrezionalità del giudice
(Sez. 4, n. 4981 del 05/12/2003, Ligresti, Rv. 229665).
La mancata effettuazione di un accertamento peritale non può quindi essere
dedotta con la censura in esame; ferma restando la possibilità di dedurre il vizio
di motivazione ove il giudice di merito fondi la ricostruzione dei fatti su
ìndimostrate affermazioni o su pareri tecnici legalmente acquisiti al processo, ma
non valutati criticamente.
4.3 Più in generale va ricordato che la rinnovazione dell’istruzione
dibattimentale, ex art. 603, comma 2, cod. proc. pen., è doverosa in caso di
nuove prove sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado, salvo il

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versato alla Supercasa s.r.I.; la società cessò di operare alla fine del 1992, dopo

limite costituito da richieste di prove vietate dalla legge o manifestamente
superflue o irrilevanti; diversamente, nell’ipotesi contemplata dall’art. 603,
comma 1, cod. proc. pen., la rinnovazione è subordinata alla condizione che il
giudice ritenga, nell’ambito della propria discrezionalità, che i dati probatori già
acquisiti siano incerti e che l’incombente processuale richiesto rivesta carattere
di decisività (Sez. 2, n. 31065 del 10/05/2012, Lo Bianco, Rv. 253526; Sez. 2, n.

La rigorosa condizione cui è subordinato l’abbandono del principio di oralità
vigente nel giudizio di appello, che è procedimento critico avente per oggetto la
sentenza di primo grado, è stata motivatamente esclusa dalla Corte territoriale,
che ha evidenziato la superfluità della prova richiesta, una volta individuata nella
condotta dell’imputato la causa del fallimento della società e considerata la
completezza dell’istruzione dibattimentale.
5. Il quinto motivo è infondato.
5.1 La Corte territoriale ha motivatamente confermato il giudizio di
equivalenza delle attenuanti generiche con l’aggravante del danno patrimoniale
di speciale gravità, unica rimasta a seguito dell’intervenuta assoluzione per la
bancarotta documentale, in considerazione della gravità del fatto, dell’intensità
del dolo e dei plurimi precedenti penali per reati di diversa natura (falso in titoli
di credito, reati contro il patrimonio, reati in materia urbanistica).
5.2 In generale va ricordato che il giudizio di bilanciamento delle attenuanti
generiche con le aggravanti è una statuizione che l’ordinamento rimette alla
discrezionalità del giudice di merito, per cui non vi è margine per il sindacato di
legittimità, quando la decisione sia motivata in modo conforme alla legge e ai
canoni della logica, come appunto avvenuto nel caso di specie.
La pena di tre anni di reclusione rappresenta il minimo edittale, per cui non
poteva essere ridotta, pur avendo la Corte escluso la circostanza aggravante
prevista dall’art. 219, comma 2, n. 1 L. fall..
5.3 La linea argomentativa della Corte territoriale non presta il fianco a
censura, rendendo adeguatamente conto delle ragioni della decisione adottata;
d’altra parte non è necessario, a soddisfare l’obbligo della motivazione, che il
giudice prenda singolarmente in osservazione tutti gli elementi di cui all’art. 133
cod. pen., essendo invece sufficiente l’indicazione di quegli elementi che
assumono eminente rilievo nel discrezionale giudizio complessivo (Sez. 2, n.
3609 del 18/01/2011, Sermone, Rv. 249163).
6. Il sesto motivo è inammissibile, in quanto proposto per la prima volta in

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i?

3458 del 01/12/2005, Di Gloria, Rv. 233391).

sede di legittimità, in contrasto con l’orientamento costante di questa Corte (Sez.
3, n. 21920 del 16/05/2012, Hajmohamed, Rv. 252773) secondo cui la denuncia
di violazioni di legge non dedotte con i motivi di appello costituisce causa di
inammissibilità originaria dell’impugnazione. Il parametro dei poteri di cognizione
del giudice di legittimità è delineato dall’art. 609, comma 1, cod. proc. pen., il
quale ribadisce in forma esplicita un principio già enucleabile dal sistema, e cioè

Detti motivi – contrassegnati dall’inderogabile “indicazione specifica delle ragioni
di diritto e degli elementi di fatto” che sorreggono ogni atto d’impugnazione
(artt. 581, comma 1, lett. e; art. 591, comma 1, lett. c, cod. proc. pen.) – sono
funzionali alla delimitazione dell’oggetto della decisione impugnata ed
all’indicazione delle relative questioni, con modalità specifiche al ricorso per
cassazione.
Né può condividersi l’affermazione del ricorrente, secondo cui l’appello
riguardante l’affermazione di responsabilità implicitamente comprendeva anche
una censura in ordine alla sussistenza dell’aggravante: occorre infatti riferirsi al
concetto di “capi” o “punti” della decisione impugnata, che sono stati enunciati
nell’originario atto di impugnazione a norma dell’art. 581, comma primo, lett. a),
cod. proc. pen., nel senso di statuizioni suscettibili di autonoma considerazione
(cfr. Sez. U, n. 10251 del 17/10/2006, Michaeler, Rv. 235699) e non può
dubitarsi sul fatto che la questione inerente alla configurabilità dell’aggravante
operata dal giudice di primo grado sia diversa

da quella attinente

all’affermazione di responsabilità.
7. In conclusione il ricorso va rigettato, con la

conseguente condanna

dell’imputato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma, il 20 novembre 2014
Il consigliere estensore

Il Presidente

la commisurazione della cognizione di detto giudice ai motivi di ricorso proposti.

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