Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4183 del 12/11/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 4183 Anno 2015
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: DE MARZO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MOTTA DOMENICO N. IL 07/05/1948
avverso la sentenza n. 2251/2005 CORTE APPELLO di BOLOGNA,
del 14/06/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 12/11/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIUSEPPE DE MARZO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per 32.,
Ai n

Udito, per la parte civile, l’Avv
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< 1-0-- Data Udienza: 12/11/2014 Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 14/06/2013 la Corte d'appello di Bologna, per quanto ancora rileva, ha confermato l'affermazione di responsabilità di Domenico Motta, al quale era contestato il reato di cui agli artt. 110 cod. pen., 216, comma primo, n. 1, 219, comma primo e 223, comma primo, I. fall., per avere contribuito, nella qualità di direttore generale della Ubalit s.p.a., dichiarata fallita in data 28/03/1995, in concorso con l'amministratore unico Augusto Gori e con l'amministratore di fatto Carlo Cappelli, all'emissione di assegni per un importo all'attività della società. 2. L'imputato ha personalmente proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi. 2.1. Con il primo motivo, si lamenta erronea applicazione dell'art. 23 (rectius: 223) I. fall., sottolineando che la qualifica di direttore generale indicata nel capo di imputazione non era stata accertata nel corso del processo, giacché il Motta era stato assunto come direttore amministrativo, senza alcun potere di firma. Il ricorrente, in definitiva si duole del fatto che la sentenza impugnata, oltre a non chiarire quale condotta l'imputato aveva posto in essere in concorso con l'amministratore e quale ne era stata l'efficienza causale rispetto alla produzione dell'evento, avrebbe operato un'inammissibile interpretazione estensiva dell'art. 223 I. fall. 2.2. Con il secondo motivo, si lamentano vizi motivazionali, rilevando che la Corte d'appello: a) non aveva specificato la condotta posta in essere dal Motta in concorso con l'amministratore; b) aveva attribuito al Motta un'autonomia nella gestione del denaro e della contabilità, smentita dal fatto che gli assegni sequestrati, predisposti da altri impiegati, erano stati sottoscritti dall'amministratore della società; c) aveva trascurato di considerare che quest'ultimo eseguiva le direttive dell'amministratore di fatto; d) aveva assegnato rilievo alla ritenuta irreperibilità del Motta, dopo la frenetica attività di erogazione di denaro, trascurando di considerare che, come era stato chiarito dalla difesa, l'imputato era stato, al contrario, arrestato per altri fatti. 3. Nell'interesse del Motta è stata depositata memoria con la quale si deduce l'intervenuta prescrizione del reato e si lamenta il mancato approfondimento, da parte della Corte territoriale, del profilo eziologico e psicologico rispetto al dissesto. 4. Sempre nell'interesse dell'imputato, all'udienza di discussione, è stata depositata memoria nella quale si svolgono argomenti a sostegno della prospettata questione di legittimità costituzionale dell'art. 10 della I. n. 251 del complessivo di oltre un miliardo di lire a favore di persone del tutto estranee 2005, in relazione oltre che agli art. 3 e 111 Cost., anche agli artt. 10, 11 e 117 della Carta fondamentale. Considerato in diritto 1. La questione relativa alla prescrizione del reato, che, secondo la tesi sviluppata nella prima memoria depositata nell'interesse dell'imputato, sarebbe addirittura intervenuta prima della sentenza di secondo grado, è inammissibile per manifesta infondatezza. Ed, infatti, ai fini dell'operatività delle disposizioni transitorie della nuova sentenza di primo grado, indipendentemente dall'esito di condanna o di assoluzione, determina la pendenza in grado d'appello del procedimento, ostativa all'applicazione retroattiva delle norme più favorevoli. (Sez. U, n. 15933 del 24/11/2011 - dep. 24/04/2012, Rancan, Rv. 252012). Nel caso di specie, la sentenza di primo grado è del 22/09/2004, ossia risulta essere antecedente all'entrata in vigore della I. n. 251 del 2005. Ne discende che deve farsi applicazione della previgente normativa e del conseguente termine prescrizionale di ventidue anni e sei mesi, non ancora spirato rispetto alla data della sentenza dichiarativa di fallimento (28/03/1995) che segna il momento di decorrenza del termine (v., ad es., Sez. 5, n. 592 del 04/10/2013 - dep. 09/01/2014, De Florio, Rv. 258712). Manifestamente infondata risulta anche la questione di legittimità costituzionale della norma transitoria di cui all'art. 10 I. n. 251 del 2005 per contrasto con l'art. 117 Cost. per il tramite della norma interposta costituita dall'art. 7, comma 1, CEDU, sollevata dalla difesa dell'imputato, che non prospetta nella sostanza alcuna argomentazione diversa da quelle che hanno costituito oggetto della sentenza della Corte costituzionale n. 236 del 2011, che ha dichiarato non fondata la predetta questione di legittimità costituzionale (successivamente ritenuta manifestamente infondata con ordinanza n. 314 del 2011). La Corte, ricostruendo l'evoluzione della giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani, ha chiarito che, in base alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali del 4 novembre 1950, ratificata con legge 4 agosto 1955, n. 848, il principio di retroattività della lex mitior riguarda la fattispecie incriminatrice e la pena e non anche la disciplina di termini di prescrizione. Ne consegue che la deroga al principio di retroattività della lex mitior, introdotta dall'art. 10, comma 3, legge n. 251 del 2005, non viola alcun obbligo convenzionale e, di conseguenza, neppure l'art. 117 Cost. (cfr. in tal senso anche la citata sentenza n. 15933 del 2012 delle Sezioni Unite). 2 disciplina della prescrizione, introdotta dalla I. n. 251 del 2005, la pronuncia della Del pari manifestamente infondata è la questione di legittimità prospettata per l'irragionevole disparità di trattamento che la previsione realizzerebbe, in violazione dell'art. 3 Cost., giacché, come chiarito da Corte cost. n. 72 del 2008: a) la circostanza che nel processo sia stata pronunciata una sentenza di primo grado è significativamente correlata all'istituto della prescrizione, come si desume dall'art. 160 cod. pen., che considera rilevante ai fini della prescrizione la sentenza (oltre il decreto di condanna ed altri atti processuali); b) la ragionevolezza della scelta legislativa di escludere l'applicazione ai giudizi essa - poiché nei giudizi in esame il materiale probatorio, in linea di massima, è ormai stato acquisito - mira ad evitare la dispersione delle attività processuali già compiute all'entrata in vigore della legge n. 251 del 2005, secondo cadenze calcolate in base ai tempi di prescrizione più lunghi vigenti all'atto del loro compimento e così tutela interessi di rilievo costituzionale sottesi al processo (come la sua efficienza e la salvaguardia dei diritti dei destinatari della funzione giurisdizionale). Il che, per altro aspetto, vale altresì a rendere manifestamente infondata la questione anche in relazione all'ultimo parametro invocato dal ricorrente, ossia l'art. 111 Cost. 2. I due motivi di ricorso, esaminabili congiuntamente per la loro stretta connessione logica, sono inammissibili. Con specifico riguardo al primo motivo, si rileva che la nozione di direttore generale di cui all'art. 223, comma primo, I. fall. va individuata in ragione dei poteri sostanziali esercitati e non delle denominazioni formali attribuite all'agente (v., ad es., i principi affermati da Sez. 5, n. 5176 del 11/03/1983, Benassi, Rv. 159349). La figura normativa in esame identifica tutti i soggetti che, titolari di un rapporto di impiego, sono rivestiti di poteri direttivi non limitati ad un singolo ufficio, reparto o stabilimento, ma estesi all'intera impresa. Proprio attenendosi a tali criteri, i giudici di merito hanno sottolineato il ruolo di direttore amministrativo e finanziario del Motta e i concreti poteri esercitati con riguardo alla generalità dell'attività della Ubalit s.p.a. e dei quali si darà conto infra, analizzando i denunciati vizi motivazionali. Va, pertanto, escluso che sia stata operata un'inammissibile applicazione analogica dell'art. 223 I. fall. Manifestamente infondata è poi la critica, formulata in entrambi i motivi, relativa alla mancata specificazione dell'apporto fornito dal Motta, giacché i giudici di merito hanno analiticamente descritto il contributo concorsuale dell'imputato. Premesso che, essendosi in presenza di una doppia pronuncia conforme in punto di penale responsabilità dell'imputato, le motivazioni delle due sentenze di 3 pendenti in appello e in cassazione è ulteriormente comprovata dal rilievo che merito vanno ad integrarsi reciprocamente, saldandosi in un unico complesso argomentativo (cfr., in motivazione, Sez. 2, n. 46273 del 15/11/2011, Battaglia, Rv. 251550), si rileva che la decisione di primo grado ha sottolineato: a) che il contabile incaricato di predisporre gli assegni attraverso i quali si è realizzata la distrazione aveva in più occasioni chiesto al Motta, che curava tutta l'attività contabile e amministrativa, i documenti giustificativi, a volte ricevendone la generica risposta che si trattava di pagamenti di consulenze, a volta ottenendo l'impegno ad una consegna degli stessi, in realtà mai avvenuta; b) che lo stesso dell'emissione dei titoli, ottenendo dall'imputato la spiegazione che si trattava di pagamenti eseguiti per ripianare i debiti sociali; c) che i libretti degli assegni erano nella disponibilità del Motta, che ne gestiva l'utilizzazione e che aveva predisposto un programma di emissione degli stessi, realizzato, anche dopo che egli era scomparso dall'azienda, attraverso la postdatazione dei titoli; d) che gli assegni erano stati effettivamente incassati dai beneficiari ed erano stati contabilizzati nei libri sociali alla voce "conto corrente soci", anche quando erano emessi a vantaggio di soggetti estranei alla società. Quest'ultimo profilo, relativo alla artefatta giustificazione operata in sede di annotazione dei pagamenti, su disposizione del Motta, è sviluppato dalla sentenza di secondo grado. Escluso, pertanto, che i giudici di merito si siano sottratti al dovere di indicare la condotta attraverso la quale si è realizzato il contributo dell'imputato alle contestate distrazioni, va aggiunto che gli ulteriori rilievi sviluppati in ricorso sono, del pari, inammissibili, in primo luogo, perché non si confrontano in alcun modo con le disposizioni date del Motta e relative alla annotazione contabile dei pagamenti, diretta ad occultare la realtà, disposizioni che rivelano la piena consapevolezza dell'estraneità delle operazioni alle finalità sociali e del pregiudizio recato alla conservazione del patrimonio sociale e, in secondo luogo, perché insistono nel dato della sottoscrizione degli assegni da parte di soggetti diversi dal Motta, completamente trascurando le considerazioni svolte dai giudici di merito a proposito delle direttive date dall'imputato in vista della predisposizione degli assegni. In tale contesto, le ragioni della scomparsa del Motta dalla vita sociale assumono un rilievo assolutamente secondario, che non altera in modo significativo la ricostruzione dei fatti e la valutazione degli stessi, quali operate dalla Corte territoriale. 3. Alla pronuncia di inammissibilità consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al 4 Gori, ossia il firmatario degli assegni, aveva chiesto al Motta le ragioni versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, in ragione delle questioni dedotte, appare equo determinare in euro 1.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. Il Componente estensore Il Presidente Così deciso in Roma il 12/11/2014

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