Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 41777 del 02/07/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 41777 Anno 2014
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: DOVERE SALVATORE

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) PINZARRONE ANTONINO, N. IL 29.5.1978,
avverso la sentenza n. 4635/2011 pronunciata dalla Corte di Appello di Palermo
il 3/4/2013;
udita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Salvatore Dovere;
udite le conclusioni del P.G. Dott. Francesco Salzano, che ha chiesto il rigetto del
ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1. All’esito di giudizio abbreviato, Pinzarrone Antonino è stato giudicato dal
Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Agrigento colpevole del
reato di omicidio colposo, commesso con violazione delle regole sulla circolazione
stradale in danno di Ancona Vitalba, e condannato alla pena di anni uno mesi
otto di reclusione.
Secondo quanto accertato dal giudice agrigentino, intorno alle ore 03:00 del
26 novembre 2008 il Pinzarrone, mentre percorreva una strada statale alla guida
di una Renault Clio, a causa dell’eccessiva velocità e delle condizioni psicofisiche
alterate dall’uso di sostanze stupefacenti, perdeva il controllo della propria
autovettura, che andava ad urtare dapprima il guardrail posto sul lato destro
rispetto al senso di marcia percorso e quindi si arrestava di traverso sulla
opposta corsia. Nel mentre il Pinzarrone veniva soccorso dal conducente di una
Ford Fiesta che lo precedeva, Crocchiolo Vincenzo, sopraggiungeva dall’opposta

Data Udienza: 02/07/2014

direzione di marcia l’autovettura Opel Corsa condotta da Ancona Davide, la quale
investiva in pieno la Renault Clio e successivamente anche la Ford Fiesta, dal
Crocchiolo fermata regolarmente sul margine destro della propria carreggiata.
Nel duplice impatto Ancona Vitalba, passeggero di Ancona Davide, riportava
lesioni che ne cagionavano la morte.

2. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Palermo ha
confermato la menzionata pronuncia rigettando la prospettazione difensiva

aveva concretizzato una condicio sine qua non del sinistro e del suo epilogo. Ad
avviso del Collegio distrettuale, infatti, da un verso non vi è dubbio che il
comportamento del Pinzarrone aveva determinato una condizione di pericolo e
che soltanto successivamente e a causa di esso l’Ancona aveva perso il controllo
della propria auto compiendo una roto-traslazione oraria e poi invaso la corsia
opposta. Sotto altro profilo, la Corte di appello ha escluso l’applicabilità della
presunzione di cui all’articolo 2054, comma 2 cod. civ. spiegando che essa può
trovare applicazione solo quando rimanga incerto il comportamento specifico che
ha causato il danno o nei casi in cui si ignora l’atto generatore del sinistro e che
tale principio è solo un criterio di distribuzione della responsabilità che va
superato quando si è pervenuti al compiuto accertamento delle responsabilità
delle parti coinvolte. Ha quindi concluso per l’efficacia concausale della condotta
del Pinzarrone nella produzione dell’evento infausto, quantificandola nel 30%.
La Corte di appello ha poi respinto l’ulteriore motivo di appello attinente alla
mancata concessione delle attenuanti generiche e alla misura del trattamento
sanzionatorio, rimarcando come l’imputato sia gravato da ben tre precedenti
penali per stato di ebbrezza per fatti compiuti nell’aprile e nel giugno del 2005
nonché nel novembre 2008, e come risultasse ingiustificata l’applicazione delle
circostanze attenuanti generiche.

3. Ricorre per cassazione il Pinzarrone a mezzo del difensore, avvocato
Antonino Gaziano.
3.1. Con un primo motivo deduce violazione di legge e vizio motivazionale
esponendo che “nessuna risposta logica è stata fornita alle doglianze avanzate
con i motivi di appello”: il ricorrente si duole della valutazione operata dalla
Corte di appello in merito alla efficienza causale del comportamento tenuto da
Ancona Davide, che avrebbe dovuto essere ritenuto assorbente in quanto
specifico antecedente senza il quale l’evento morte non si sarebbe verificato.
Aggiunge l’esponente che il Pinzarrone non ha perpetrato alcuna violazione di
regola di condotta che abbia avuto valenza causale in quanto “l’ipotetica catena

2

secondo la quale il sopraggiungere della vettura condotta da Ancona Davide

causale deve ritenersi interrotta dalla condotta della vittima”. Anche a voler
ritenere che l’imputato abbia tenuto la condotta colposa che gli è stata ascritta,
non vi sarebbe prova che l’evento causato da tale comportamento possa ritenersi
opera del medesimo. Si richiama al riguardo il criterio dell’aumento del rischio e
lo scopo della norma cautelare violata per concludere che il percorso
motivazionale della sentenza impugnata appare del tutto incongruente e non in
grado di condurre ad un giudizio di colpevolezza per il reato in contestazione in
capo all’imputato, asserendo che è anomalo che si giunga ad un giudizio di

tecnico.
3.2. Con un secondo motivo di ricorso si deduce vizio motivazionale e
violazione di legge per non essere stata data alcuna risposta logica alle doglianze
avanzate con i motivi di appello in punto di mancato riconoscimento delle
attenuanti generiche, da ritenersi prevalenti sulla contestata aggravante, in
considerazione del comportamento mantenuto dal ricorrente, della assoluta
occasionalità ed episodicità dei fatti, della personalità dell’imputato, dell’assoluta
risalenza dei fatti e dello scarso valore penale dei reati di cui ai precedenti. La
Corte di appello avrebbe al riguardo fatto ricorso ad una mera clausola di stile;
mentre in punto di determinazione della pena si ravvisa una mancanza assoluta
di motivazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il ricorso è infondato, nei termini di seguito precisati.
4.1. Appare opportuno rammentare che in presenza di decisioni che
condividono la valutazione della prova e le conclusioni, le motivazioni rese dai
giudici di merito si completano vicendevolmente, sicché ne va fatta una lettura
complessiva ed integrata, ferma restando la necessità che la pronuncia del
giudice dell’impugnazione manifesti di aver valutato le doglianze mosse con i
motivi di appello (cfr., ex multis, Sez. 4, n. 15227 del 14/02/2008 – dep.
11/04/2008, Baretti, Rv. 239735, per la quale se l’appellante si limita alla
riproposizione di questioni di fatto già adeguatamente esaminate e
correttamente risolte dal primo giudice, oppure di questioni generiche, superflue
o palesemente inconsistenti, il giudice dell’impugnazione ben può motivare per
relazione; quando invece le soluzioni adottate dal giudice di primo grado siano
state specificamente censurate dall’appellante, sussiste il vizio di motivazione,
sindacabile ai sensi dell’art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen., se il
giudice del gravame si limita a respingere tali censure richiamando la censurata
motivazione in termini apodittici o meramente ripetitivi, senza farsi carico di
argomentare sull’inadeguatezza od inconsistenza dei motivi di impugnazione).

condanna nei casi incidente stradale in assenza del contributo di un perito

Nel caso che occupa l’incidenza sul piano della causazione dell’evento
infausto della condotta serbata da Ancona Davide è stata analizzata già dal
Giudice per le indagini preliminari, il quale ha concluso per il concorso di diversi
fattori causali, puntualizzando che la condotta gravemente colposa dell’Ancona
non avrebbe potuto determinare l’evento senza la preesistente situazione di
pericolo creata dal Pinzarrone. La Corte di appello, dal canto suo, ha ribadito che
soltanto a causa della condizione di pericolo determinata dalla condotta di guida
dell’odierno imputato l’Ancona aveva perso il controllo della sua autovettura,

anche con l’autovettura Ford Fiesta posta correttamente a margine della strada
dal soccorritore Crocchiolo Vincenzo. A fronte di tali puntualizzazioni, corrette
ancorché scarne, l’esponente si limita formulare censure di carattere generico,
ad esempio laddove afferma che nessuna risposta logica sarebbe stata fornita
alle doglianze avanzate con i motivi di appello; o apertamente infondate,
segnatamente laddove imputa al Collegio distrettuale di non aver valutato il
comportamento dell’Ancona; ovvero ancora meramente assertive, come quando
afferma che l’evento morte non è opera dell’Ancona perché tale evento non era
prevedibile. Lo stesso esponente tuttavia non può fare a meno di affermare così condividendo il giudizio di concausalità cui sono pervenuti i giudici di merito
– che “la condotta tenuta dal Pinzarrone non ha, da sola, cagionato l’evento
morte della vittima”.
E’ altresì manifestamente infondata la doglianza che si muove per il mancato
ricorso all’ausilio di una perizia.
Mette conto rilevare, al riguardo, che il giudizio formulato in sede di
gravame si è avvalso del contributo tecnico offerto dal consulente del pubblico
ministero; che pertanto non risponde al vero che quel giudizio sia stato
formulato in assenza di informazioni tecniche, veicolate nel processo da un
esperto; che alcuna norma stabilisce l’obbligatorietà del ricorso agli esperti,
siano essi consulenti o pentiti, per l’accertamento delle responsabilità connesse a
sinistri stradali con esiti pregiudizievoli per la incolumità o la vita delle persone;
che il ricorrente neppure enuncia in quale guisa il mancato ricorso all’ausilio di
una perizia abbia determinato un vulnus alla compiutezza dell’accertamento
processuale, manifestato da una motivazione afflitta da vizi censurabili in sede di
legittimità.
4.2. Tanto osservato a riguardo dei limiti del ricorso, va rammentato che la
giurisprudenza di questa Corte, in tema di sinistri stradali, identifica la causa
sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l’evento in quel fattore che, per
essere assolutamente eccezionale, e pertanto imprevedibile, assume su di sé

percorrendo poi la traiettoria incontrollata che lo aveva portato ad impattare

l’intera efficienza eziologica dei molteplici fattori che, su un piano puramente
naturalistico, si pongono quali antecedenti dell’evento.
E’ noto che per mitigare il rigore derivante dalla meccanica applicazione del
principio generale contenuto nell’art. 41, co. 1 cod. pen., ovvero del principio per
il quale vi è equivalenza nelle cause che possono individuarsi come produttive
dell’evento, così identificate attraverso il noto procedimento che taluno chiama di
‘eliminazione mentale’ (teoria della “condicio sine qua non”), il legislatore ha
dato rilievo a cause sopravvenute dal carattere peculiare. Non può trattarsi di

altra pregressa, poiché se così fosse saremmo in presenza di una disposizione
(quella dell’art. 41, co. 3 cod. pen.) inutile, perché all’esclusione della valenza
giuridica delle diverse ‘cause’ si perverrebbe già con l’applicazione del principio
condizionalistico previsto dall’art. 41, co. 1 cod. pen.
L’attitudine eziologica di ciascuna causa è premessa della regola
dell’equivalenza causale (altrimenti neppure si potrebbe parlare di ‘causa’).
Perché possa ritenersi interrotto il nesso condizionalistico tra condotta del
trasgressore ed evento è necessario che il fattore interferente assorba per
intero il processo causale. E’ quanto si esprime comunemente con l’affermazione
per la quale la condotta del trasgressore degrada, da causa, ad occasione
dell’evento. E’ quanto si pretende con la richiesta del necessario carattere di
eccezionalità della causa sopravvenuta (ma, secondo l’opinione preferibile, anche
precedente o concomitante: art. 41, co. 3 cod. pen.).
Deve pertanto trattarsi, secondo questo condivisibile orientamento, di un
processo non completamente avulso dall’antecedente, ma “sufficiente” a
determinare l’evento, secondo un’accezione di sufficienza che non può essere
identificata nell’autonomia cui allude l’art. 41, co. 1 cod. pen. (sicchè fuorviante
è il riferimento sovente operato al carattere, che si vorrebbe dover essere
proprio della causa sufficiente, della “totale indipendenza dalla condotta
dell’imputato”: Cass. Sez. 5, sent. n. 11954 del 26/01/2010, Palazzolo, Rv.
246549; Cass. Sez. 5, sent. n. 15220 del 26/01/2011, Trabelsi e altri, Rv.
249967).
4.3. Lo snodo essenziale del tema in esame sembra a tutt’oggi essere quello
del reperimento di un’adeguata definizione di “causa sufficiente”, la quale va
ricercata nella prospettiva propria del giudizio di attribuzione di responsabilità
giuridica. Si tratta, detto altrimenti, del concetto ‘giuridico’ di causa sufficiente.
Ciò posto, è più agevole comprendere che tale concetto non può e non deve
essere colto alla luce di leggi fisiche, ma sulla base delle ragioni dell’imputazione
giuridica. Viene perciò in rilievo, ad esempio per la teoria della causalità umana,
il potere di signoria dell’uomo, in forza del quale si afferma che “può dunque

cause in grado di instaurare un processo causale del tutto autonomo da ogni

essere oggettivamente attribuito all’agente quanto è da lui dominabile ma non
ciò che fuoriesce da questa possibilità di controllo” (Cass. Sez. 4, sent. n. 9967
del 18/01/2010, P.G. e P.C. in proc. Otelli e altro, Rv. 246797). Fuori della
possibilità di controllo viene ritenuto, secondo questa ricostruzione, “il fatto che
ha una probabilità minima, insignificante di verificarsi: il fatto che si verifica
soltanto in casi rarissimi.., nei giudizi sulla causalità umana si considerano
“propri” del soggetto tutti i fattori esterni che concorrono con la sua azione,
esclusi quelli che hanno una probabilità minima, trascurabile di verificarsi; in altri

4.4. Nel fare propria questa teoria la giurisprudenza di legittimità svolge
un’utile precisazione. Per l’attribuzione del fatto sul piano oggettivo è
necessario: a) che l’imputato con la sua condotta abbia posto in essere un
fattore causale del risultato, vale a dire un fattore senza il quale il risultato
medesimo nel caso concreto non si sarebbe avverato; b) che l’evento non sia
dovuto al concorso di fattori eccezionali. La causa sopravvenuta idonea ad
escludere il rapporto di causalità (o a procurane la sua interruzione, come
altrimenti si dice) presuppone quindi l’esistenza di un percorso causale
ricollegato all’azione (od omissione) dell’agente ma si pone rispetto a questo
come addizione completamente atipica, di carattere assolutamente anomalo ed
eccezionale; di un fattore che non si verifica se non in casi del tutto imprevedibili
a seguito della causa presupposta (Cass. Sez. 4, sent. n. 9967 del 18/01/2010,
cit.).
Tanto vale per il fattore interferente che abbia concorso nella determinazione
di quel medesimo evento cui avrebbe condotto il percorso causale facente
interamente capo all’agente/omittente, qualora non fosse intervenuto
quell’ulteriore addizione causale.
Ma vale, secondo la prevalente giurisprudenza, anche nell’ipotesi in cui il
fattore interferente, che si innesta nel decorso causale già innescato dalla
condotta del trasgressore, aggrava l’evento che si sarebbe prodotto.
Anche in tali casi non risulta comunque reciso il nesso causale e la
concorrenza causale di condotte di altri dal reo assume valore solo sul piano
sanzionatorio.
4.5. La natura eccezionale ed imprevedibile del fatto sopravvenuto va
valutata secondo una prospettiva ex post e prettamente oggettiva, che assuma il
punto di vista coincidente con l’id quod plerumque accidit; si tratta di un tipico
accertamento devoluto al giudice del merito che deve logicamente valutare il suo
convincimento sul punto. Ciò è avvenuto nel caso in esame perché, secondo i
giudici di primo e di secondo grado, non può reputarsi causa totalmente
autonoma ed imprevedibile il fatto di altro utente della strada che sia

termini esclusi i fattori che presentano un carattere di eccezionalità”.

inosservante delle regole che disciplinano la circolazione stradale, quale
indubbiamente fu l’Ancona, che aveva mantenuto una velocità non adeguata, sia
in rapporto ai limiti di velocità previsti nel tratto percorso, sia in rapporto alle
condizioni di tempo e di luogo.
In effetti, le regole in materia di circolazione stradale si prefiggono di
assicurare che la medesima avvenga senza pregiudizio per gli utenti. Si tratta,
infatti, di un’attività ad elevato coefficiente di pericolosità. Ciascuno, conducente
o pedone, deve adeguare la propria condotta alle circostanze concrete,

stesso fonte di pericolo. Non a caso, in tema di reati commessi con violazione
delle norme sulla circolazione stradale, la giurisprudenza di legittimità è
particolarmente rigorosa, riconoscendosi per la più parte nel principio per il quale
“costituisce di per sè condotta negligente l’aver riposto fiducia nel fatto che gli
altri utenti della strada si attengano alla prescrizioni del legislatore, poiché le
norme sulla circolazione stradale impongono severi doveri di prudenza e
diligenza proprio per far fronte a situazioni di pericolo, determinate anche da
comportamenti irresponsabili altrui, se prevedibili (Cass. sez. 4, sent. n. 32202
del 15/7/2010, Filippi, rv. 248354).
L’affermazione del giudice distrettuale è quindi in linea con il principio di
diritto secondo il quale l’utente della strada deve regolare la propria condotta in
modo che essa non costituisca pericolo per la sicurezza di persone e cose,
tenendo anche conto della possibilità di comportamenti irregolari altrui, sempre
che questi ultimi non risultino assolutamente imprevedibili (Cass. sez. 4, sent. n.
26131 del 3/6/2008, Garzotto, rv. 241004).
Ne consegue la correttezza della valutazione della Corte di merito quanto
alla sussistenza del nesso causale tra la violazione ascritta al Pinzarrone e
l’evento illecito, sotto il profilo della non interruzione del medesimo per effetto
della condotta tenuta dall’Ancona.
5. In relazione al secondo motivo di ricorso va ricordato che in tema di
onere motivazionale quanto al diniego delle circostanze attenuanti generiche,
esso risulta adempiuto solo che il giudice manifesti di aver valutato l’esistenza di
eventuali fattori rilevanti nella prospettiva in parola; per contro egli non ha
l’obbligo di motivare specificamente al riguardo della valenza o della irrilevanza
di ciascuno di essi, essendo sufficiente che venga indicato quello ritenuto
dominante ed assorbente (cfr. Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010 – dep.
23/09/2010, Giovane e altri, Rv. 248244).
Nel caso di specie la Corte di appello ha fatto riferimento al grado della colpa
particolarmente elevato, al danno di estrema gravità arrecato alla vittima, ai tre

rappresentandosi l’evenienza che il comportamento di altri utenti divenga esso

precedenti penali per guida in stato di ebbrezza, dei quali non si è mancato di
indicare la significativa collocazione cronologica. Risulta pertanto ampiamente
motivato il diniego delle attenuanti generiche e allo stesso modo risulta con quei
riferimenti motivata anche l’entità della pena ritenuta equa.

6. Deve in ogni caso rilevarsi che le contravvenzioni ascritte all’imputato
risultano estinte per essere decorso il termine massimo di prescrizione. Infatti,
commesse il 26.11.2008, il termine di cinque anni previsto dal combinato

28.11.2013.
Avendo il giudice di primo grado indicato l’ammontare della pena inflitta per
tali contravvenzioni, pari nel complesso ad un mese di reclusione, questa Corte è
in grado di rideterminare la pena in anni uno mesi sette e giorni dieci di
reclusione.

7.

In conclusione, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio

limitatamente ai reati di cui ai capi b) e c) della rubrica perché estinti per
prescrizione e la pena da infliggere a Pinzarrone Antonino determinata in un
anno, sette mesi e dieci giorni di reclusione.
Il ricorso va rigettato nel resto.
P.Q.M.
annulla la sentenza impugnata senza rinvio limitatamente ai reati di cui ai capi b)
e c) della rubrica perché estinti per prescrizione e determina la pena da infliggere
a Pinzarrone Antonino in un anno, sette mesi e dieci giorni di reclusione; rigetta
il ricorso nel resto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 2/7/2014.

disposto agli art. 157, co. 1 e 161, co. 2 cod. pen. è spirato con il decorso del

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