Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 41766 del 23/09/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 41766 Anno 2014
Presidente: ZAMPETTI UMBERTO
Relatore: MAZZEI ANTONELLA PATRIZIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da

SCIUTO Biagio, nato a Catania il 31 ottobre 1948,

avverso il decreto della Corte di appello di Catania, in data 18 dicembre 2013,
nel proc. n. 102/2013.

Visti gli atti, il decreto impugnato e il ricorso;
udita, nella camera di consiglio del 23 settembre 2014, la relazione svolta dal
consigliere Antonella Patrizia Mazzei;
lette le conclusioni del pubblico ministero presso questa Corte di cassazione, in
persona del sostituto procuratore generale, Gioacchino Izzo, il quale ha chiesto
la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO
1. Con decreto deliberato il 18 dicembre 2013 e depositato il 3 gennaio
2014, la Corte di appello di Catania ha confermato il decreto del Tribunale della
sede, depositato 1’11 luglio 2013, col quale era stato disposto nei confronti di
Sciuto Biagio l’aggravamento della misura di prevenzione della sorveglianza

Data Udienza: 23/09/2014

speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno e l’aumento dell’importo
della cauzione, di cui al precedente decreto emesso dallo stesso Tribunale il 4
gennaio 2011.
L’aggravamento ha esteso la durata della misura di ulteriori anni due, fermo
l’obbligo di soggiorno nel comune di residenza, e ha imposto allo Sciuto
l’ulteriore versamento, a titolo di cauzione, della somma di euro cinquemila alla

A ragione della decisione la Corte territoriale ha addotto, innanzitutto, che
non sussisteva la denunciata incompatibilità del presidente del Tribunale che
aveva deciso l’aggravamento, per essere stato già autore, nel 2005, quando
esercitava le funzioni di giudice per le indagini preliminari, di ordinanza di
custodia cautelare in carcere nei confronti del prevenuto per il delitto di
associazione di tipo mafioso; nel merito, ha sostenuto che l’aggravamento della
misura era giustificato dal fatto che lo Sciuto, come da intercettazioni ambientali
e telefoniche eseguite nell’ambito di più recente procedimento penale per
l’omicidio di Fichera Sebastiano, e secondo le dichiarazioni di diversi collaboratori
di giustizia, lungi dall’abbandonare il suo ruolo di componente di vertice
dell’omonimo clan mafioso Sciuto/Tigna, aveva continuato ad esercitare le sue
funzioni di capo in seno all’organizzazione malavitosa.
La circostanza che l’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa a suo
carico come mandante dell’omicidio del Fichera, fosse stata annullata da questa
Corte di cassazione per contraddittorietà ed imprecisione degli elementi indiziari,
non era ostativa, secondo la Corte territoriale, alla conferma dell’aggravamento
della misura di prevenzione e relativa cauzione, vuoi per l’autonomia del
procedimento di prevenzione da quello penale, vuoi per l’emersione nel suddetto
più recente procedimento penale di concreti elementi di attuale impegno
delinquenziale dello Sciuto, come da intercettazioni ambientali e propalazioni dei
collaboratori di giustizia che confermavano la continuità della militanza criminale
del prevenuto.
La Corte territoriale, infine, ha richiamato altro elemento sopravvenuto
rispetto a quelli disponibili al tempo del primo decreto applicativo della misura di
prevenzione, costituito da una denuncia dello Sciuto, nel 2009, per un delitto di
estorsione continuata aggravata, ai sensi dell’art. 7 d.l. n. 152 del 1991, in
danno della L.O.C. Auto s.r.l.

2. Avverso il predetto decreto ha proposto ricorso per cassazione lo Sciuto
tramite il difensore, avvocato Arduino La Porta, il quale, con unico motivo,

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cassa delle ammende.

deduce l’erronea applicazione della legge penale e il difetto di motivazione per
carenza e illogicità.
Il ricorrente ripropone, innanzitutto, l’eccezione di incompatibilità del
presidente del collegio di primo grado, deliberante l’aggravamento della misura
di prevenzione, trattandosi dello stesso giudice che, nel 2005, aveva emesso
l’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti dello Sciuto, perché

mafioso. Tale incompatibilità sarebbe confortata dalla considerazione che la
pericolosità sociale addotta a fondamento dell’aggravamento della misura
discenderebbe proprio dalla ritenuta militanza mafiosa dello Sciuto, che aveva
determinato, a suo tempo, l’applicazione della predetta misura coercitiva.
Il ricorrente aggiunge che non sarebbe rilevante la mancata ricusazione del
presidente del primo collegio, da attribuire a motivi meramente contingenti (la
detenzione dello Sciuto in luogo diverso da Catania e la mancanza di procura
speciale a favore del difensore per poter ricusare il giudice); e sottolinea che
l’aggravamento fu disposto d’ufficio dal tribunale, in assenza di specifica richiesta
del pubblico ministero, come emergerebbe dal verbale di udienza e dalla
motivazione del decreto.
Quanto al vizio sostanziale denunciato, il ricorrente osserva che questa
Corte di cassazione, con sentenza del 24 aprile 2013, ha annullato la conferma,
da parte del tribunale del riesame, della più recente ordinanza di custodia
cautelare in carcere nei confronti dello Sciuto, quale mandante dell’omicidio di
Fichera Sebastiano, per difformità delle dichiarazioni accusatorie dei collaboratori
di giustizia affatto convergenti tra loro; e censura la dichiarata indipendenza dei
due procedimenti (cautelare e di prevenzione), poiché sostenuta dalla Corte
territoriale solo a sfavore dello Sciuto, avendo il giudice della prevenzione
utilizzato a carico del ricorrente la più recente ordinanza applicativa della misura
cautelare coercitiva, ma non anche la sentenza di questa Corte di annullamento
della conferma della medesima ordinanza da parte del tribunale del riesame.
La presunta ingerenza dello Sciuto nelle attività del clan mafioso sarebbe
stata desunta da una conversazione di cui era stata interlocutrice la moglie del
Fichera, Aurichella Agata, erroneamente interpretata dai giudici della
prevenzione, poiché l’Aurichella, nella predetta conversazione, non aveva
attribuito l’iniziativa o l’esecuzione dell’omicidio del marito allo Sciuto, ma al
contrario si era lamentata del fatto che lo Sciuto non fosse preventivamente
intervenuto per evitare il delitto, evidentemente non riconducibile, secondo il
ricorrente, ad una sua iniziativa; in ogni caso, nulla autorizzava a desumere da
quella conversazione il coinvolgimento dello Sciuto nell’omicidio.
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ritenuto gravemente indiziato del delitto di partecipazione ad associazione di tipo

L’assassinio del Fichera, peraltro, risale al 2009 ovvero ad epoca precedente
la prima applicazione della misura di prevenzione a carico dello Sciuto nell’anno
2011, sicché non avrebbe potuto ritenersi un fatto nuovo idoneo a determinare
l’aggravamento della sorveglianza speciale.
L’ulteriore elemento nuovo, addotto a sostegno dell’aggravamento,
costituito dalla presunta partecipazione dello Sciuto al reato di estorsione

tutto errato, poiché lo Sciuto da quel delitto è stato assolto per non aver
commesso il fatto, giusta sentenza del 16 aprile 2012 del Tribunale di Catania,
come documentato dal difensore fin dal primo grado del procedimento.
L’entità della cauzione, infine, disposta in sede di aggravamento nella
misura di euro cinquemila, in aggiunta a quella di euro tremila originariamente
stabilita, risulterebbe eccedente il massimo previsto dalle disposizioni in materia.

3. Il Procuratore generale presso questa Corte di cassazione ha chiesto la
declaratoria di inammissibilità del ricorso consentito solo per violazione di legge,
tenuto conto dell’adeguata e puntuale motivazione resa nel provvedimento
impugnato su tutti i temi dedotti dal ricorrente, tale da escludere che essa possa
essere ritenuta inesistente o meramente apparente e, quindi, integrare l’unico
vizio di violazione di legge denunciabile col ricorso per cassazione in subiecta
materia.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.
Manifestamente infondata è la riproposta incompatibilità del presidente del
primo collegio, alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 306 del
1997, correttamente richiamata nel decreto impugnato, sia perché, in generale,
non sussiste incompatibilità tra giudice della misura cautelare e giudice del
giudizio di merito; sia perché, in concreto, come riconosciuto dallo stesso
ricorrente, l’aggravamento della misura di prevenzione personale è stato
disposto sulla base di elementi riversati in diversa più recente ordinanza di
custodia cautelare in carcere, a carico dello Sciuto, nell’ambito di procedimento
per l’omicidio di Fichera Sebastiano, mentre l’ordinanza cautelare richiamata nel
primo provvedimento applicativo della misura di prevenzione era inerente alla
partecipazione del prevenuto, con ruolo apicale, all’omonima associazione di tipo
mafioso.

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continuata aggravata in danno della L.O.C. Auto di Fabio Cannizzaro, sarebbe del

Le altre doglianze si risolvono in censure motivazionali non consentite in
questa sede, atteso che già l’art. 4, comma undicesimo, dell’abrogata legge 27
dicembre 1956, n. 1423, disciplinante le misure di prevenzione nei confronti
delle persone pericolose, e, attualmente, l’art. 10, comma 3, del d.lgs. 6
settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di
prevenzione), prevedono il ricorso per cassazione avverso il decreto della Corte

E, al riguardo, come è stato più volte chiarito dalla giurisprudenza di questa
Corte, il vizio di motivazione può assurgere a violazione di legge soltanto quando
si risolva nell’assoluta mancanza, sotto il profilo letterale o concettuale, di
qualsiasi argomentazione a sostegno della pronunzia (artt. 111 Cost. e 125 cod.
proc. pen.), ovvero consista nell’esposizione di ragioni che nulla hanno a che
vedere con l’oggetto dell’indagine, in guisa da rendere assolutamente
incomprensibile l’iter logico seguito dal giudice (c.f.r., ex multis, Sez. 5, n. 19598
del 08/04/2010, dep. 24/05/2010, Palermo, Rv. 247514, e precedenti conformi:
n. 34021 del 2003 Rv. 226331, n. 15107 del 2004 Rv. 229305, n. 35044 del
2007 Rv. 237277).
Tali casi sono estranei alla fattispecie in esame, tenuto conto che la Corte
d’appello ha dato ampio spazio alle ragioni del proprio convincimento circa la
legittimità del decreto impugnato, con particolare riguardo alla persistente
pericolosità sociale dello Sciuto quale componente di vertice dell’omonima
associazione di tipo mafioso, senza ignorare il precedente annullamento, da
parte di questa Corte di cassazione, dell’ordinanza di custodia cautelare in
carcere che lo riteneva mandante dell’omicidio di Fichera Sebastiano, ma
evidenziando che, indipendentemente dal suo coinvolgimento nel suddetto
delitto, dal nuovo procedimento penale era emerso il permanente ruolo dello
Sciuto quale dirigente della cosca, per la sua partecipazione a summit mafiosi e
per direttive impartite nel settore degli stupefacenti, come da dichiarazioni dei
collaboratori di giustizia, Pettinati Vincenzo e D’Aquino Gaetano, restando
palesemente recessivo, nell’economia motivazionale del provvedimento, il finale
richiamo all’ulteriore sopravvenuta denuncia dello Sciuto per estorsione
continuata e aggravata, ai sensi dell’art. 7 d.l. n. 152 del 1991, in danno della
L.O.C. Auto s.r.I., fatto dal quale il prevenuto è stato assolto per non aver
commesso il fatto, come da sentenza indicata dal ricorrente; senza tacere, come
correttamente evidenziato nel decreto impugnato, l’autonomia del procedimento
di prevenzione dagli esiti del procedimento penale, in conformità della costante
giurisprudenza di questa Corte (c.f.r., ex multis, Sez. 6, n. 4668 del 08/01/2013,
dep. 30/01/2013, Parmigiano, Rv. 254417).
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I

di appello in materia di misure di prevenzione solo per violazione di legge.

E’, infine, manifestamente infondato anche il dedotto sforamento della
pretesa entità massima di cauzione applicabile, per l’imposizione, in sede di
aggravamento della misura di prevenzione, dell’ulteriore somma di euro
cinquemila da versare in garanzia, in aggiunta a quella originaria determinata in
euro tremila.
L’art. 31 d.lgs. 6/09/2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle

somma da versare presso la cassa delle ammende a titolo di cauzione, disposta
dal tribunale con l’applicazione della misura di prevenzione, lasciando la
determinazione della sua entità alla discrezionalità del giudice, nell’ambito di una
ponderata valutazione delle condizioni economiche della persona sottoposta alla
misura e dei provvedimenti di urgenza eventualmente adottati a norma dell’art.
22 dello stesso d.lgs., in funzione della costituzione di un’efficace remora alla
violazione delle prescrizioni imposte.

2. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del
ricorrente, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle
spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost., sent. n. 186 del
2000), anche al versamento a favore della cassa delle ammende di una sanzione
pecuniaria che si stima equo determinare, tra il minimo e il massimo previsti, in
euro mille.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di mille euro alla cassa delle
ammende.

Così deciso, in Roma, il 23 settembre 2014.

misure di prevenzione) non prevede, infatti, alcun limite massimo di valore della

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