Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4175 del 22/10/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 4175 Anno 2014
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: CAMMINO MATILDE

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
LAGROTTERIA GIOVANNI N. IL 13/08/1970
avverso la sentenza n. 942/2012 CORTE APPELLO di CATANZARO,
del 06/12/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MATILDE CAMMINO;

Data Udienza: 22/10/2013

Con sentenza in data 6 dicembre 2012 la Corte di appello di Catanzaro confermava la
sentenza emessa il 12 aprile 2011 dal Tribunale di Vibo Valentia con la quale Lagrotteria Giovanni
era stato dichiarato colpevole dei reati di ricettazione e detenzione per la vendita di merce recante
marchi contraffatti, accertati in Vibo Valentia Marina il 23 luglio 2007, ed era stato condannato,
ritenuta la continuazione, ravvisata per la ricettazione l’ipotesi attenuata prevista dall’art.648
secondo comma c.p., alla pena di mesi sette di reclusione ed euro 300,00 di multa.

Con il ricorso si deduce la violazione di legge, con riferimento agli artt.648 e 474 c.p., e la
mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in quanto la contraffazione dei
prodotti era inidonea a trarre in inganno, essendo stata la merce posta in vendita al mercato
settimanale e a prezzi notevolmente inferiore a quelli dei corrispondenti prodotti autentici; inoltre, il
reato di ricettazione non poteva concorrere con il reato previsto dall’art.474 c.p. e difettava,
peraltro, l’elemento soggettivo della consapevolezza della provenienza delittuosa della merce.
Il ricorso è inammissibile.
Il primo motivo è generico e, comunque, manifestamente infondato. Secondo la consolidata
giurisprudenza di questa Corte il reato previsto dall’art.474 c.p. tutela la fede pubblica -intesa come
affidamento nei marchi o nei segni distintivi- e non gli acquirenti, per cui è del tutto irrilevante che
l’acquirente sia in grado, avuto riguardo alla qualità del prodotto, al prezzo, al luogo dell’esposizione
nonché alla figura del venditore, di escludere la genuinità del prodotto, in quanto ciò che rileva è
esclusivamente la possibilità di confusione tra i marchi e non già quella tra i prodotti (Cass. sez.V
17 aprile 2008 n.33324, Gueye; 14 febbraio 2008 n.11240, Ady; sez.V 5 luglio 2006 n.31451,
Gningue).
Anche il secondo motivo è manifestamente infondato.
Le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n.23427 del 9 maggio 2001 (ric. P.M. in
proc. Ndiaye), hanno infatti affermato che il delitto di ricettazione (art.648 c.p.) e quello di
commercio di prodotti con segni falsi (art.474 c.p.) possono concorrere, atteso che le fattispecie
incriminatici descrivono condotte diverse sotto il profilo strutturale e cronologico, tra le quali non
può configurarsi un rapporto di specialità, e che non risulta dal sistema una diversa volontà espressa
o implicita del legislatore. Quanto all’elemento soggettivo, con argomentazione contraddittoria
rispetto alla sostenuta riconoscibilità ictu ocu/i da parte degli acquirenti della contraffazione, il
ricorrente sostiene il difetto dell’elemento soggettivo della ricettazione che la Corte territoriale ha
ritenuto sussistente sulla base del corretto richiamo alla giurisprudenza di legittimità. Più volte
questa Corte ha infatti affermato che la conoscenza della provenienza delittuosa della cosa può

Avverso detta sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione.

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desumersi da qualsiasi elemento, anche indiretto, e quindi anche dal comportamento dell’imputato
che dimostri la consapevolezza della provenienza illecita della cosa ricettata, ovvero dalla mancata o non attendibile – indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la quale è sicuramente
rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede
(Cass. sez.II 11 giugno 2008 n.25756, Nardino; sez.II 27 febbraio 1997 n.2436, Savic).

pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle ammende di una somma che,
alla luce dei principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000, sussistendo
profili di colpa, si stima equo determinare in euro 1.000,00.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e al versamento alla Cassa delle ammende di una somma di euro 1.000,00.
Così deciso in Roma il 22 ottobre 2013
il cons. est.

Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al

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