Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 41747 del 23/09/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 41747 Anno 2014
Presidente: ZAMPETTI UMBERTO
Relatore: MAZZEI ANTONELLA PATRIZIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da
VIGGIANO Maria Giovanna, nata a Potenza il 16/03/1964.
avverso la sentenza della Corte di appello di Salerno in data 15/03/2013 nel
procedimento n. 1688/2011.

Con la costituzione come parte civile di POTENZA Donato.

Visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita, nella pubblica udienza del 23 settembre 2014, la relazione svolta dal
consigliere Antonella Patrizia Mazzei;
udite le conclusioni del pubblico ministero presso questa Corte di cassazione, in
persona del sostituto procuratore generale, Luigi Riello, il quale ha chiesto il
rigetto del ricorso;
rilevato che il difensore della parte civile non è comparso;
rilevato che il difensore della ricorrente non è comparso.

Data Udienza: 23/09/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Viggiano Maria Giovanna è stata condannata, con sentenza del Tribunale
di Potenza, in composizione monocratica, emessa il 12 novembre 2008, alla pena
di mille euro di multa per il delitto di diffamazione continuata, commesso in
Potenza fino al settembre 2003, in danno di Potenza Donato, costituitosi come

risarcimento del danno, da liquidarsi in separata sede, e alla rifusione delle spese
di giustizia liquidate in complessivi euro 1.300,00.
Tale sentenza è stata integralmente riformata in grado di appello con
l’assoluzione dell’imputata perché il fatto non sussiste, giusta sentenza della
Corte di appello di Potenza in data 26 marzo 2010.
Il ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza, proposto soltanto dal
Procuratore generale della Repubblica di Potenza, è stato definito con sentenza
in data 13 maggio 2011 della quinta sezione di questa Corte, che ha annullato la
decisione assolutoria e ha disposto la trasmissione degli atti per nuovo giudizio
alla Corte di appello di Salerno.
Il giudice di rinvio, con sentenza del 15 marzo 2013, in riforma della
decisione di condanna del 12 novembre 2008, ha dichiarato non doversi
procedere nei confronti della Viggiano per essere, nel frattempo, intervenuta la
prescrizione del reato ascrittole; tuttavia, esaminato nel merito l’appello ai soli
fini delle statuizioni civili, ai sensi dell’art. 578 cod. proc. pen., ha riconosciuto la
responsabilità dell’imputata e ha, quindi, confermato la condanna della stessa al
risarcimento del danno, da liquidarsi in separata sede, a favore della parte civile,
oltre alle spese processuali da questa sostenute.

2. Avverso quest’ultima sentenza ha proposto ricorso per cassazione la
Viggiano tramite il difensore, avvocato Donatello Cimadomo, il quale, con unico
motivo ex art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., denuncia l’erronea
applicazione degli artt. 578 e 576 cod. proc. pen.
Illegittimamente la Corte di appello di Salerno avrebbe confermato le
statuizioni civili della sentenza di primo grado per una duplice ragione: erronea
applicazione dell’art. 578 cod. proc. pen., poiché la sentenza di condanna del
Tribunale di Potenza, in data 12 novembre 2008, era stata travolta dalla
sentenza di appello del 26 marzo 2010 che aveva assolto l’imputata con formula
piena, sicché la sopravvenuta prescrizione non avrebbe consentito alla Corte di
appello, nel giudizio di rinvio, di pronunciarsi sull’azione civile nell’ambito di un
processo penale per reato ormai estinto; erronea applicazione, altresì, dell’art.
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parte civile, a favore del quale l’imputata è stata anche condannata al

576 cod. proc. pen., poiché la sentenza di appello del 26 marzo 2010, la quale,
in riforma della sentenza di primo grado, aveva assolto l’imputata perché il fatto
non sussiste, era stata oggetto di ricorso per cassazione da parte del solo
Procuratore generale della Repubblica e non anche della parte civile, sicché
l’ablazione delle statuizioni civili doveva ritenersi definitiva.

1. Il ricorso è infondato.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, è ammissibile la condanna al
risarcimento dei danni a favore della parte civile da parte del giudice di rinvio che
affermi la responsabilità dell’imputato, anche nell’ipotesi in cui la sentenza di
assoluzione emessa dal giudice di appello sia stata impugnata dal solo pubblico
ministero e non anche dalla parte civile (Sez. 4, n. 45982 del 27/05/2003,
dep. 28/11/2003, Casadei, Rv. 226720; conforme: Sez. U, n. 30327 del
10/07/2002, dep. 11/09/2002, Guadalupi, Rv. 222001).
Coerentemente l’annullamento con rinvio della sentenza di appello, la quale
abbia ribaltato il giudizio di condanna emesso in primo grado, prosciogliendo
l’imputato nel merito, impone al giudice del rinvio, ove vi sia stata costituzione di
parte civile e sopravvenga una causa di estinzione del reato per prescrizione o
amnistia, di esaminare l’appello dell’imputato ai soli effetti civili anche nel caso in
cui l’annullamento della sentenza assolutoria sia stato pronunciato su ricorso per
cassazione proposto dal solo pubblico ministero.
Nell’ipotesi suddetta, invero, l’oggetto del giudizio di rinvio non è la sentenza
di assoluzione annullata, bensì quella di condanna con le statuizioni a favore
della parte civile, impugnata dall’imputato, e i motivi del gravame devono essere
esaminati ai fini della conferma o meno della condanna dell’appellante al
risarcimento del danno e alle spese, pur nella sopravvenuta estinzione del reato
per prescrizione e nonostante l’assenza di iniziativa impugnatoria della parte
civile avverso la sentenza assolutoria, considerata l’immanenza della parte civile
ritualmente costituita in ogni stato e grado del processo, ai sensi dell’art. 76,
comma 2, cod. proc. pen., la quale viene meno solo nel caso di revoca espressa
ovvero nei casi di revoca implicita, non estensibili al di là di quelli tassativamente
previsti dall’art. 82, comma 2, cod. proc. pen. (c.f.r., ex multis, Sez. 5, n. 39471
del 04/06/2013, dep. 24/09/2013, De Iuliis, Rv. 257199, proprio in tema di
parte civile non impugnante).
Ne discende l’infondatezza degli assunti della ricorrente che muovono da
due errori: quello di ritenere inattuale la decisione di condanna al momento del
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CONSIDERATO IN DIRITTO

compimento della prescrizione del reato, in realtà sopravvenuta nel corso del
giudizio di rinvio dopo l’annullamento della sentenza di assoluzione e, dunque, in
pendenza di giudizio di appello di rinvio avverso la sentenza di condanna di
primo grado; quello di ritenere definitiva l’eliminazione delle statuizioni civili con
la sentenza di assoluzione, risultando quest’ultima annullata su ricorso del solo

2. Per le ragioni esposte il ricorso deve essere, dunque, respinto e la
ricorrente va condannata, a norma dell’art. 606, comma 1, cod. proc. pen., al
pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

Così deciso, in Roma, il 23 settembre 2014.

Procuratore generale della Repubblica e non anche della parte civile.

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