Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4174 del 07/10/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 4174 Anno 2015
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: MICCOLI GRAZIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DE CHIARA ALESSANDRO N. IL 02/03/1960
avverso la sentenza n. 1/2012 TRIBUNALE di SANTA MARIA
CAPUA VETERE, del 01/10/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 07/10/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GRAZIA MICCOLI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 07/10/2014

Il Procuratore Generale della Corte di Cassazione, dott. Eduardo Vittorio SCARDACCIONE, ha
concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza impugnata il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere – in composizione
monocratica- ha confermato in data 1 ottobre 2012 la pronunzia resa in primo grado dal
giudice di pace di Pignataro Maggiore, con la quale Alessandro DE CHIARA era stato
condannato alla pena di giustizia per il reato continuato di cui agli artt. 81, 594 e 612 cod.
pen., per aver offeso l’onore ed il decoro di Luigi Belcufiné, rivolgendogli la seguente frase: “sei

aver minacciato lo stesso Belcufiné, proferendo la seguente frase: “ti devo scannare, ti devo
tagliare il collo”.
2. Propone ricorso l’imputato, con atto sottoscritto dal suo difensore, deducendo i seguenti due
motivi.
2.1 Vizio di motivazione e violazione di legge con riferimento alla valutazione delle risultanze
probatorie. L’affermazione di responsabilità sarebbe basata solo sulle dichiarazioni della
persona offesa, della cui attendibilità invece il giudice di merito avrebbe dovuto dubitare tenuto
conto degli accadimenti e del contesto nel quale si sono svolti.
2.2 Con il secondo motivo vengono dedotti la violazione di legge con riferimento alla
ammissione delle prove testimoniali da parte del giudice di pace, il quale ha disposto l’esame di
un teste non indicato nelle liste delle parti e invece ha rigettato la richiesta di esame di
soggetti indicati dall’imputato come presenti al momento dei fatti.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato e, conseguentemente, va dichiarata la sua
inammissibilità.

1.

Il ricorrente ha dedotto il vizio di motivazione in ordine alla valutazione dell’attendibilità

della persona offesa, richiamando elementi di fatto in ordine alla conflittualità esistente
all’epoca dei fatti tra l’imputato e la stessa persona offesa e censurando la sentenza che non
avrebbe approfondito profili pur sollecitati dalla difesa nei motivi d’appello.
Va ricordato che a questa Corte non possono essere sottoposti giudizi di merito, non consentiti
neppure alla luce del nuovo testo dell’art. 606, lettera e, cod. proc. pen.; la modifica normativa
di cui alla legge 20 febbraio 2006 n. 46, infatti, ha lasciato inalterata la natura del controllo
demandato alla Corte di cassazione, che può essere solo di legittimità e non può estendersi ad
una valutazione di merito. Il nuovo vizio introdotto è quello che attiene alla motivazione, la cui
mancanza, illogicità o contraddittorietà può essere desunta non solo dal testo del
provvedimento impugnato, ma anche da altri atti del processo specificamente indicati; è perciò
possibile ora valutare il cosiddetto travisamento della prova, che si realizza allorché si
introduce nella motivazione un’informazione rilevante che non esiste nel processo oppure
quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronunzia. Attraverso
l’indicazione specifica di atti contenenti la prova travisata od omessa, si consente nel giudizio
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un vigliacco e basta, guardati la tua stanza da letto che è piena di polvere sotto il letto”; e per

di cassazione di verificare la correttezza della motivazione della sentenza impugnata.
Tanto premesso, occorre rilevare nel caso in esame che il motivo dedotto nel ricorso è del tutto
generico; le censure sono formulate in modo stereotipato, senza alcuna considerazione degli
elementi evidenziati e degli argomenti spesi nella sentenza impugnata e, peraltro, vengono
rappresentati elementi di fatto non valutabili in questa sede.
L’assenza di un collegamento concreto delle censure mosse con la motivazione della sentenza
impedisce di ritenere rispettati i requisiti di forma e di contenuto minimo voluti per
l’impugnazione di legittimità, che deve rivolgersi al provvedimento e non può invocare una

Peraltro, l’esame del provvedimento impugnato consente di ritenere che la motivazione del
giudice d’appello sia congrua ed improntata a criteri di logicità e coerenza nella valutazione
della attendibilità della persona offesa, le cui dichiarazioni sono supportate da una serie di altri
elementi di prova specificamente indicati sia nella sentenza di appello che in quella di primo
grado, alla quale la prima anche ha fatto legittimamente rinvio.
A tal proposito, va ricordato che le Sezioni Unite di questa Corte hanno definitivamente chiarito
che “le regole dettate dall’art. 192, comma terzo, cod. proc. pen. non si applicano alle
dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a
fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata
da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca
del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a
quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone (Sez. U, n. 41461 del
19/07/2012 – dep. 24/10/2012, Bell’Arte ed altri, Rv. 253214).
Né va trascurato nel caso in esame che la sentenza impugnata ha confermato quella di primo
grado in ordine alla penale responsabilità del De Chiara, sicché vanno ribaditi i principi secondo
i quali, in tema di ricorso per cassazione, quando ci si trova dinanzi a una “doppia pronuncia
conforme” e cioè a una doppia pronuncia (in primo e in secondo grado) di eguale segno (vuoi
di condanna, vuoi di assoluzione), l’eventuale vizio di travisamento può essere rilevato in
sede di legittimità solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica deduzione) che
l’argomento probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come
oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado (Sez. 4, n. 4060
del 12/12/2013 – dep. 29/01/2014, Capuzzi e altro, Rv. 258438).
2. Parimenti inammissibile deve ritenersi il secondo motivo dedotto dal ricorrente con
riferimento alla ammissione delle prove testimoniali da parte del giudice di pace, il quale ha
disposto l’esame di un teste non indicato nelle liste delle parti e invece ha rigettato la richiesta
di esame di soggetti indicati dall’imputato come presenti al momento dei fatti.
Questa Corte ha già avuto modo di affermare che l’ammissione di prove non tempestivamente
indicate dalle parti nelle apposite liste non comporta alcuna nullità, né le prove in questione,
dopo essere state assunte, possono essere considerate inutilizzabili, posto che l’art. 507 cod.
proc. pen. consente al giudice di assumere d’ufficio anche prove irregolarmente indicate dalle
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mera rilettura dei fatti.

parti, ed in ogni caso non sussiste un divieto di assunzione che possa attivare la sanzione di
inutilizzabilità prevista dall’art. 191 cod.proc.pen. (Sez. 5, n. 8394 del 02/10/2013 – dep.
21/02/2014, Tardiota, Rv. 259049).
Peraltro, risulta che sia il primo giudice che quello di appello, su specifica doglianza del
ricorrente, hanno ampiamente motivato in ordine alla ordinanza istruttoria nella quale è stato
disposto l’esame di un teste e rigettata la richiesta di assumere altre prove per superfluità.
3. Pertanto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; alla declaratoria di inammissibilità
segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di euro

P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro mille in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 7 ottobre 2014
nsiglie

stensore

Il Presidente

1000 in favore della Cassa delle Ammende.

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