Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 41686 del 28/10/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 41686 Anno 2015
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: TARDIO ANGELA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SCUDERA VINCENZO, nato il 23/08/1958
avverso l’ordinanza n. 882/2014 GIP TRIBUNALE di GELA del
14/07/2014;

sentita la relazione fatta dal Consigliere dott. Angela Tardio;
sentite le conclusioni del Procuratore Generale dott. Antonio
Gialanella, che ha chiesto dichiararsi la inammissibilità del ricorso;
udito per il ricorrente il difensore avv. Flavio Sinatra, phe ha chiesto
l’accoglimento del ricorso.

Data Udienza: 28/10/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 14 luglio 2014 il G.i.p. del Tribunale di Gela ha
applicato nei confronti di Scudera Vincenzo la misura cautelare della custodia in
carcere in relazione al delitto di omicidio premeditato in danno della moglie
Palmieri Rosaria, commesso in Gela alla fine di aprile 1987 per motivi abietti,
consistiti, come da imputazione provvisoria, nel voler continuare liberamente la

dopo che quest’ultima l’aveva scoperta, liberandosi del corpo della vittima, che
aveva sotterrato facendo credere a tutti che fosse andata via con altro uomo.

2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione per saltum,
ex art. 311, comma 2, cod. proc. pen., l’indagato a mezzo del suo difensore,
avv. Flavio Sinatra, chiedendone l’annullamento sulla base di due motivi.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge, ex art.
606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 125, comma 2, e
292, commi 2, lett. e), e 2-ter, cod. proc. pen.
Secondo il ricorrente, che premette l’esperibilità del ricorso immediato
avverso ordinanza applicativa di misura cautelare coercitiva solo per violazione di
legge, sussiste il lamentato “difetto di motivazione” sotto diversi e autonomi
profili, poiché:
– il Giudice ha recepito acriticamente, in punto di esigenze cautelari e per
intero, le argomentazioni svolte dai Carabinieri nella comunicazione di notizia di
reato, allegata per stralcio al ricorso, e nella richiesta del Pubblico Ministero, e
non ha dato un’autonoma motivazione, con conseguente apparenza e inesistenza
dello schema motivazionale adottato;

il provvedimento impugnato che, in via esemplificativa, non si è

autonomamente avveduto della risalenza del fatto all’anno 1987, non può essere
considerato motivato per relationem, essendosi limitato solo a “personalizzare”
la comunicazione di notizia di reato e la richiesta del Pubblico Ministero che
circolarmente l’aveva recepita, senza indicare le ragioni della coerenza con la sua
decisione degli elementi indiziari, non oggetto di esame, meditazione, analisi e
argomentazione autonoma;
– né l’ordinanza cautelare ha motivato in ordine al tempus commissi delicti,
incidente sulle valutazioni da farsi quanto all’attualità delle esigenze cautelari e
alla scelta della misura, secondo i principi fissati dalla richiamata giurisprudenza
di questa Corte, e da apprezzarsi in modo autonomo e disgiunto rispetto agli altri
elementi indicati nell’art. 292, comma 2, lett. c), cod. proc. pen.;

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relazione extraconiugale intrapresa segretamente con la cugina della moglie,

- l’ordinanza, inoltre, limitandosi ad affermare, dopo la fedele riproduzione
del contenuto della comunicazione di notizia di reato, che è estremamente grave
il fatto, è spiccata la pericolosità del suo autore e sono intense le esigenze
cautelari, si è servita di argomentazioni di puro genere e di asserzioni
apodittiche, non indicando tra l’altro, con motivazione ermetica, rispetto a cosa
sia sussistente la sua pericolosità, risalendo il suo ultimo precedente all’anno
2004 per fatti consumati nel febbraio 1998, né la base valutativa di riferimento

dell’attualità delle stesse seguendo i parametri comunitari dettati in materia e le
decisioni costituzionali e di legittimità;
– alla luce della previsione dell’art. 292, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., è
necessaria l’esposizione delle specifiche esigenze cautelari (e degli indizi) che
giustificano in concreto l’applicazione della misura e l’indicazione dei pertinenti
elementi di fatto e dei motivi della loro rilevanza, mentre il Giudice (o meglio la
comunicazione di notizia di reato) non ha motivato -quanto al pericolo di
inquinamento probatorio- in ordine alla sussistente cristallizzazione del materiale
probatorio tratto soprattutto dal contenuto delle intercettazioni ambientali e
telefoniche, né -quanto al pericolo di fuga- in ordine alla sua concretezza, né quanto al pericolo di reiterazione dei reati- in ordine alla risalenza dei precedenti
penali e alla mancanza di condanne conseguenti agli indicati precedenti di
polizia.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge, ex art.
606, comma 1, lett. b) ed e) , cod. proc. pen., in relazione agli artt. 25, comma
1, Cost., 8 e 9 cod. proc. pen. e 125, comma 3, cod. proc. pen.
Secondo il ricorrente, la denuncia di incompetenza territoriale, avanzata in
via subordinata poiché l’evocazione della competenza territoriale presuppone la
possibilità di emettere, a seguito di eventuale pronuncia di annullamento
dell’ordinanza, un nuovo provvedimento coercitivo a norma dell’art. 27 cod.
proc. pen., si fonda sul rilievo che il procedimento correlato alle indagini, cui è
stato sottoposto dalla Procura della Repubblica – D.D.A. di Caltanissetta, è stato
archiviato dal G.i.p. del Tribunale di Caltanissetta il 30 maggio 2005.
La riapertura delle indagini è stata disposta dallo stesso G.i.p. il 4 ottobre
2013 su richiesta della locale Procura D.D.A., che ha proceduto in data 8 ottobre
2013 alla nuova iscrizione a notizia di reato.
Il procedimento è stato, poi, trasmesso a Gela per competenza territoriale,
poiché la vittima viveva a Gela quando è scomparsa e ivi è stata vista l’ultima
volta, come riferito a p. 6 dell’ordinanza impugnata dal G.i.p., che nella
successiva p. 197 ha invece escluso che potesse identificarsi il luogo in cui
sarebbe avvenuta l’azione omicidiaria, aggiungendo l’operatività delle regole

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della ritenuta intensità delle esigenze cautelari, mentre doveva dare conto

suppletive di cui all’art. 9, comma 2, cod. proc. pen., che invece non potevano
operare, essendosi già radicato a Caltanissetta il procedimento con l’esercizio
dell’azione penale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo del ricorso è inammissibile.
1.1. Si premette in diritto che, in materia di misure cautelari personali,

dispone una misura coercitiva (art. 309 cod. proc. pen.) e può proporre ricorso
per cassazione, oltre che contro la decisione emessa in sede di riesame (art.
311, comma 1, cod. proc. pen.), anche direttamente, nel caso di violazione di
legge, contro l’ordinanza che dispone una misura coercitiva (art. 311, comma 2,
cod. proc. pen.)
La facoltà di scelta tra i due mezzi alternativi di impugnazione
dell’ordinanza, che “dispone una misura coercitiva”, incontra, pertanto, un limite
nell’oggetto delle censure, che nel ricorso

per saltum possono riguardare

esclusivamente vizi di violazione di legge, mentre nel gravame sulla decisione del
Tribunale del riesame (cui è conferito il potere di integrare il provvedimento
generico e di rimediare i difetti attinenti alla motivazione, nell’ambito dei poteri
attribuitigli dall’art. 309, comma 9, cod. proc. pen.) possono riguardare anche la
diversa e specifica ipotesi di vizio della motivazione, previsto dall’art. 606,
comma 1, lett. e), cod. proc. pen.
1.2. Questa Corte, nel rimarcare che la violazione di legge va intesa in senso
stretto, e cioè come inosservanza comportante nullità di uno specifico precetto
normativo, ha costantemente affermato che in essa può farsi rientrare soltanto il
caso dell’assoluta mancanza di motivazione, cui può equipararsi la mera
apparenza della medesima, poiché il relativo obbligo è imposto dagli artt. 125,
comma 3, e 292, comma 2, cod. proc. pen.
Non vi rientrano, invece, anche la insufficienza, incompletezza o illogicità
della motivazione in ordine alla valutazione degli indizi di colpevolezza e della
sussistenza delle esigenze cautelari, che rilevano ai sensi dell’art. 606, comma 1,
lett. e), cod. proc. pen., e la cui eventuale sussistenza, che implica l’esistenza di
una motivazione (e quindi l’assenza della violazione di legge con riferimento
all’art. 292, comma 2, lett. c, cod. proc. pen., secondo cui l’ordinanza deve
contenere, tra l’altro, a pena di nullità, “l’esposizione delle specifiche esigenze
caute/ari e degli indizi che giustificano in concreto la misura disposta, con la
indicazione degli elementi di fatto da cui sono desunti e dei motivi per i quali essi
assumono rilevanza”), comporterebbe l’annullamento con rinvio dell’ordinanza
impugnata, in contrasto con gli effetti che, invece, dovrebbero derivare
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l’imputato può proporre richiesta di riesame, anche nel merito, dell’ordinanza che

dall’accoglimento del ricorso immediato (tra le altre, Sez. 1, n. 6039 del
14/12/1994, dep. 11/02/1995, Bisogno, Rv. 200740; Sez. 1, n. 14363 del
22/08/1995, dep. 08/09/1995, Serio ed altri, Rv. 202395; Sez. 1, n. 4371 del
29/08/1995, dep. 15/09/1995, Campanale, Rv. 202457; Sez. 2, n. 858 del
21/02/1996,

dep. 12/03/1996,

Rv.

Sacco,

204254;

Sez.

6,
1,

16/02/1996, dep.

29/03/1996,

Destro,

Rv.

204773;

Sez.

dep.

05/06/1998,

Maggi,

Rv.

210670;

Sez.

28/04/1998,

n.
n.

1, n.

845

del

2383 del
2888

del

09/04/1999, dep. 20/05/1999, Zanzarelli, Rv. 213383, e, tra quelle più recenti,

5, n. 35532 del 25/06/2010, dep. 01/10/2010, Angelini, Rv. 248129; Sez. 6, n.
18725 del 19/04/2012, dep. 16/05/2012, Ponzoni, Rv. 252643).
1.3. Si è, in particolare, puntualizzato, sempre sullo specifico tema dei limiti
del ricorso immediato per cassazione avverso l’ordinanza applicativa di una
misura cautelare coercitiva, che, con riferimento alla motivazione, la mancanza
si concretizza quando essa sia graficamente assente e l’apparenza si configura
quando il giudice indichi in modo del tutto generico le fonti dalle quali ha inteso
trarre gli indizi di colpevolezza, ovvero si richiami in modo indeterminato al tipo
di prova acquisita, o, ancora, accenni solo vagamente agli elementi di discolpa
dell’interessato apoditticamente ritenendoli superati da quelli a suo carico (Sez.
6, n. 4789 del 28/11/1997, dep. 12/02/1998, Mineo B., Rv. 210578), ovvero
quando la motivazione presenti vizi di completezza e logicità tanto gravi da
determinare un effetto di assoluta incomprensibilità (Sez. 6, n. 2563 del
26/06/1996, dep. 29/08/1996, Acampora, Rv. 205897), ovvero manchino gli
elementi strutturali dell’ordinanza che ha disposto la misura (Sez. 5, n. 4942 del
04/08/1998, dep. 19/08/1998, Sesana, Rv. 211825).
Sotto coerente e concorrente profilo, questa Corte ha anche più volte
sottolineato la non esperibilità del ricorso “per saltum” quando con esso ci si
intenda dolere della inosservanza dei canoni contenutistici cui deve obbedire, ai
sensi dell’art. 292, comma secondo, lett. e) e c-bis), l’ordinanza impositiva della
misura cautelare, dal momento che si tratta di regole della cui osservanza il
giudice è tenuto a dar conto proprio nell’ambito della motivazione (tra le altre,
Sez. 2, n. 2556 del 04/04/1997, dep. 30/04/1997, Sorbo, Rv. 207416; Sez. 5, n.
982 del 24/02/1999, dep. 22/03/1999, Pacini Battaglia P., Rv. 21287; Sez. 6, n.
41123 del 28/10/2008, citata, in motivazione; Sez. 6, n. 18725 del 19/04/2012,
citata, in motivazione).
1.4. Alla luce degli indicati principi, che il Collegio condivide e riafferma, il
ricorso proposto da Scudera Vincenzo espressamente e volutamente per saltum
avverso l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal G.i.p. del
Tribunale di Gela, e come tale non convertibile in richiesta di riesame, non si
sottrae al rilievo della sua inammissibilità.
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Sez. 6, n. 41123 del 28/10/2008, dep. 04/11/2008, Melechì, Rv. 241363; Sez.

Le censure mosse dal ricorrente, invero, sotto l’apparenza della denuncia di
violazione di legge, attingono sostanzialmente la contestata osservanza dei
canoni contenutistici cui deve conformarsi l’ordinanza cautelare, astraendo,
peraltro, in termini aspecifici dall’analisi dei suoi contenuti valutativi, oltre che
descrittivi, ovvero si risolvono in prospettazioni critiche afferenti alla contestata
coerenza e completezza delle argomentazioni spese dal Giudice della cautela per
pervenire alla individuazione delle ritenute esigenze cautelari, contrapponendo
criticamente ragioni di non attualità della misura e di non adeguatezza e

l’apparenza, anche in ordine all’adeguatezza della stessa, e riproponendo una
rilettura e rivalutazione nel merito degli elementi di fatto utilizzati, senza
denunciare alcun vizio di legittimità riconducibile alla violazione di legge nel
senso prima indicato.

2. Anche il secondo motivo è inammissibile.
2.1. La denuncia di incompetenza territoriale del G.i.p. del Tribunale di Gela
a emettere l’ordinanza di custodia cautelare impugnata è, invero, avanzata,
secondo la stessa prospettazione difensiva, in via subordinata rispetto
all’accoglimento del primo motivo, in dipendenza della sua correlazione con la
presupposta futura possibilità di emettere nuovo provvedimento coercitivo a
norma dell’art. 27 cod. proc. pen. dopo l’eventuale annullamento di quello
impugnato.
La inammissibilità del primo motivo preclude, pertanto, l’esame di tale
motivo subordinato.
2.2. In ogni caso, e a prescindere dalla questione della proponibilità della
eccezione di incompetenza per territorio con il ricorso per cassazione per saltum,
l’eccezione è priva di alcun giuridico pregio.
La richiesta di archiviazione (accolta il 30 maggio 2005 dal G.i.p. del
Tribunale di Caltanissetta) e quella di riapertura delle indagini (autorizzata il 4
maggio 2013 dallo stesso G.i.p.) non hanno, infatti, comportato, contrariamente
a quanto dedotto dal ricorrente, esercizio dell’azione penale, che, invece, avviene
con la formulazione del capo d’imputazione da parte del pubblico ministero nei
casi previsti dall’art. 405, comma 1, cod. proc. pen., né il provvedimento del
G.i.p., che ha accolto la richiesta di archiviazione e ha poi autorizzato la
riapertura delle indagini, ha instaurato il rapporto processuale tra le parti che,
invece, segue alla richiesta di giudizio da parte del pubblico ministero (Sez. 6, n.
368 del 04/02/1994, dep. 22/03/1994, P.M. in proc. Sepe, Rv. 197944).
Il G.i.p. del Tribunale di Gela ha dato, inoltre e comunque, esaustivo conto,
a fronte della rilevata carenza di elementi riconducenti al luogo della

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congruenza della spesa motivazione, della quale si limitano ad affermare

commissione dell’azione omicidiaria, delle regole suppletive di cui all’art. 9 cod.
proc. pen., che ha coerentemente apprezzato.

3. Il ricorso deve essere, in definitiva, dichiarato inammissibile.
Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali,
nonché -valutato il contenuto del ricorso e in difetto dell’ipotesi di esclusione di
colpa nella proposizione dell’impugnazione- al versamento, in favore della Cassa
delle ammende, della somma che si determina nella misura ritenuta congrua di

Non comportando la presente decisione la rimessione in libertà del ricorrente
la Cancelleria dovrà provvedere all’adempimento prescritto dall’art. 94, comma
1-ter, disp. att. cod. proc. pen.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro mille alla Cassa delle ammende.
Dispone trasmettersi, a cura della Cancelleria, copia del provvedimento al
Direttore dell’Istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94, comma 1-ter, disp. att.
cod. proc. pen.
Così deciso in Roma, il 28 ottobre 2014

Il Consigliere estensore

Il Presidente

euro mille.

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